Arcangelo Sassolino
Artext - Da dove prende inizio l’urgenza di fare arte. Quali estetiche e pensieri ti hanno influenzato…
Come hai cominciato a lavorare con le tecnologie?
Arcangelo Sassolino - Difficile collocare l'inizio, di sicuro più questioni esistenziali si coalizzano negli anni e ti ritrovi dentro. Sicuramente mi ha influenzato l'informale, qualche minimale, la land art, l'arte povera, ma più di tutto continuo ad interrogarmi sull’ assurda condizione dell’esistere ed esserne per giunta anche coscienti. La precarietà della vita resta la vera influenza. La tecnologia e la meccanica mi sono venute in soccorso quando ho sentito il bisogno di introdurre nel mio lavoro azione.
A. - Già nelle “macchine celibi” di Duchamp il dramma è raccontato ed eseguito attraverso dei dispositivi autonomi.
E’ possibile scrivere le tue opere attraverso una formula, una espressione di una legge fisica eseguibile e programmabile? Quale è l’immagine (immagine come matrice booleana) che vorresti fosse percepita?
A.S. - Magari fosse possibile con una formula di tipo matematico inchiodare tutta una poetica.
Se fosse così basterebbe produrre un unico lavoro comprensivo di tutto quello che hai in mente. Questa idea che il prossimo lavoro sia quello risolutivo, quello che ingloba tutto è uno dei motivi per cui si continua a produrre; poi ci si accorge, regolarmente, che si è lavorato su un ennesimo parziale.
Ecco, diciamo così, solo vedendo la retrospettiva di un artista, un arco di tempo che abbraccia alcuni decenni e decine e decine di lavori te ne esci con la sensazione di portarti via l’ essenza di quell’artista, hai l’impressione di avere fatto tuo qualcosa di suo che solo tanto lavoro visto assieme e ravvicinato rivela.
elisa, 2012
Acciaio e sistema idraulico / 490 x 770 x 590 cm
A. - Il corpo e la macchina costituiscono la metafora più efficace per l’arte degli ultimi decenni.
Entrambi subiscono gli effetti ”della compressione e della consapevolezza”
Potresti dire delle tue “Performance inorganiche”, di questo immaginario industriale di “partita perfetta” in-azione nelle tue opere…
A.S. - Corpo e macchina; in parte è vero. Ma prendi ad esempio l’archetipo del cristo in croce, quante volte é stato dipinto o scolpito nei secoli?
Ed è ancora lì, inesaurito, vivo come tema. Ognuno l’ha fatto a modo suo con risultati che vanno dal sublime all’inutile. La macchina è diventata soggetto d’arte solo dal secolo scorso, ne abbiamo già viste tante e inevitabilmente se ne vedranno sempre di più andando avanti.
Ma come per il cristo in croce ognuno ha il suo modo di interpretare o far suo questo soggetto. Per quanto mi riguarda costruisco macchine per mettere in scena azioni inafferrabili, pericolanti, repentine, estenuate ... in qualche caso devo avvalermi per forza di congegni meccanici, ma la macchina per me è strumento non è tema di analisi.
Queste azioni si portano dentro un possibile fallimento o lo provocano sotto forma di cedimento, di frantumazione.
A. - L’opera come modello sperimentale!
Hai delle teorie a cui fai riferimento per il tuo lavoro..
A.S. - Non è mio compito citare teorie, non sono neanche abbastanza dotto, di sicuro si possono trovare rimandi. Comunque: l'opera cos’è senza sperimentazione?
Come puoi andare avanti senza un’analisi continua sull’ azione del ‘fare arte’? Devi buttarti nel vuoto, rischiare, sconfinare nell’incerto e sconosciuto. Come fai a fare questo se non sperimenti?
Se ti muovi all’interno del recinto del conosciuto e inciprii un pò il tuo stile fai la tua carriera e puoi anche trovare fortuna, ma se la tua natura ti spinge a camminare da solo in terreni inesplorati lo fai e basta.
A. - Potremmo considerare il processo creativo interno alle tue opere attraverso un “senso” differente, un accertamento della percezione sensibile…
Tu sostieni che “Lavorare il marmo – o assemblare un dispositivo – in ogni caso l’azione dello scultore è cercare ancora la natura originaria in un tracciato…
E questo processo come può “restituire la verità dell’arte” ?
A.S. - Cerco di andare a ritroso nella catena, andare all'indietro a cercare il primo anello.
Per esempio, il marmo e il processo classico che compie lo scultore: porta un blocco in studio, ha una forma in testa che fa o fa fare prima sbozzando e poi rifinendo, alla fine viene messo in mostra il risultato di queste operazioni.
Bene, quel pezzo di marmo grezzo da cui si inizia in origine era nel buio, incarnato dentro la massa/montagna e ad un certo punto viene spezzato via dalla madre/cava.
Ecco, quello strappo, quel momento di distacco, quel suono, quell’ azione necessaria per isolarlo per sempre a me interessa di più di tutto quello che avviene dopo. Voglio, in un certo modo, mettere in scena quel momento, quell’azione originaria. Poter ricreare quel sentimento è come isolare una verità primigenia che dopo andrebbe perduta nei processi successivi.
E’ per questo che cerco sempre azioni scarnificate, ridotte all'osso come una caduta, una rottura, un attrito, un lancio. Ho la speranza di avvicinarmi di più alla verità trattando con queste azioni basilari. Per farlo devo cercare di mettere in scena un reale prepotente.
Afasia #1. 2008
Acciaio, vetro, gas, plc computer
A. - L’aria, la pressione è la sostanza invisibile che in-forma l’opera e che può “diventare terrificante tanto da far cambiare volume ad un archetipo iniziale…” "Piccolo Animismo" 2011.
Forzare i limiti dei materiali, come l’acciaio e tirarne fuori un elemento imprevisto è come “Prendere per il collo la materia”…
A,S. - La pressione è imprescindibile dalla fisica.
Tanto per cominciare è dentro e fuori dal nostro corpo. E’ silente, ma intrinseca a quasi tutto ciò che ci circonda, ci si rende conto solo quando una diga cede o il vento diventa uragano che era lì da prima.
Nella mia pratica é un elemento fondamentale.
Nel caso di ‘piccolo animismo’ i materiali usati sono aria e acciaio; la prima viene messa in pressione contro l’altro tanto da farlo cedere, deformare, farlo cantare. Materia dentro e contro materia.
A. - Giocare sulle simulazioni si è rivelato un dispositivo semplice e sorprendentemente efficace per fare il punto di come i nostri contesti locali plasmano la nostra visione del mondo.
Potresti dirmi della tua idea di Artista, e del suo ruolo nel contemporaneo?
E di come attingi al deposito del reale che restituisci in forma di immagini e di lavori.
A.S. - Non nutro nessuna idea romantica sul ruolo dell’artista o sull’importanza dell’arte per una società.
Adoperando un massimalismo disfattista potrei anche accennare a tanta pusillanimità e sedicenza della critica, o a tanto conformismo del collezionismo o al discorso padronale che fa il mercato...
Alla fine uno fa quello che può, fa il suo lavoro, segue la sua strada, le fortune sono alterne, e se hai qualcosa da dire il tempo lo restituisce.
E comunque se penso alla maggior parte della gente che conosco, anche i miei parenti per esempio, passa attraverso la vita senza neppure essere sfiorata dall’arte. Questo fa riflettere.
Nello specifico, masse d’acciaio, pistoni idraulici, cariche in pressione, questo realismo mi dà la possibilità di mettere in atto situazioni in cui si annida una visione di annientamento, vulnerabilità, caducità.
Per quanto mi riguarda, filtro l’immaginario che mi circonda vivendoci dentro e il mio inconscio me lo rimanda elaborato sotto forma di immagini quasi del tutto pronte per essere prodotte senza dover stare lì a pensarci su tanto.
Dilatazione pneumatica di una forza attiva - 2010 - Acciaio, vetro, gas
Afasia 2 − 2008 - Acciaio e azoto compresso a 250 bar
A. - Cosa vedi quando vai in un museo, una mostra d’arte.
Cosa vediamo quando osserviamo un tuo lavoro?
In-tensioni, denudamento da una sovrastruttura, la pratica ricombinatoria…
A.S. - Beh dipende naturalmente. Una mostra può essere una straordinaria fonte di ispirazione, guardandola ti vien voglia di lavorare, senti che quello che fai è giusto; ti ispira e basta, e questo avviene quando percepisci un’onestà che permea i lavori che stai vedendo a prescindere da chi, quando e che media sia stato usato. Altre volte esci da una mostra sconfitto, mi pervade uno stato di profonda depressione, vado via con la sensazione di aver guardato qualcosa per niente sostenuto da una poetica o da un pensiero, ma solo furbesco se non inutile e nato morto.
Su quello che vedono gli altri sul mio lavoro non posso rispondere io.
Di certo questa problematica tra quello che l’artista fa e quello che il fruitore percepisce non sembra trovare facilmente o sempre il giusto scambio neppure dopo tanti anni, neppure con artisti storici, prendi ad esempio un fuoriclasse come Fontana sono ancora lì che si perdono sul silenzioso mistero del taglio/buco e mancano completamente il bersaglio sul fatto che lui ha fatto finalmente atterrare la pittura ad un grado zero dopo un lento avvicinamento durato secoli. Ma forse va bene così.
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