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ME Vannucci
Antonello Ghezzi
Il dovere della felicità

 
Antonello Ghezzi Antonello Ghezzi, Del cielo, 2024, Calce su tela alluvionata Misure variabili.


Antonello Ghezzi
IL DOVERE DELLA FELICITA’

Dialogo fra Antonello Ghezzi e padre Bernardo Gianni
abate di San Miniato al Monte.

Carissimo Padre Bernardo

Dopo il nostro bellissimo incontro al Mudac di Carrara salutandoci e augurandoci buon viaggio verso le nostre rispettive direzioni, ci siamo dati qualche indicazione sulle strade da percorrere per lasciare la città delle bianche montagne, c’è stata qualche battuta sull’utilizzo del navigatore e hai terminato il dialogo dicendo che avremmo forse potuto, un giorno, pensare ad un’opera su questo argomento, sulle direzioni, sulle strade da percorrere.
Non lo potevi sapere, ma da alcune settimane stavamo proprio affrontando queste questioni, per la nostra prossima mostra di ottobre alla galleria ME Vannucci di Pistoia.
Massimiliano, nostro gallerista e amico, quando ci ha proposto di realizzare questa mostra, ci aveva proposto di individuare un altro artista con il quale o con la quale intraprendere un dialogo. Così tornando a casa seguendo il percorso del navigatore della nostra auto e la sua linea blu che ci avrebbe guidato fino a Bologna, io e Nadia ci siamo detti: “E se questo dialogo - che è la nostra condizione quotidiana di lavoro- lo facessimo con Padre Bernardo?”
Ed eccoci qui, questa lettera vorrebbe continuare quel discorso nato tra i saluti nel parcheggio del museo, nel giorno in cui terminava la mostra “Trovarsi tra le stelle” e nasceva la nuova mostra dal titolo “Il dovere della felicità”.
Il titolo è il punto dal quale siamo partiti per pensare le opere che piano piano prendono forma nel nostro studio, da dove ora ti stiamo scrivendo questa lettera.
È consapevolmente controverso, ambiguo e ambivalente perché sentiamo il bisogno, noi per primi e speriamo ciò accada nelle persone che visiteranno la mostra, di riflettere su cosa sia la felicità, su che cosa voglia dire essere felici e soprattutto perché ci sia la parola dovere accanto appunto a felicità.
Può un paradosso tramutarsi in sincero invito?
Ci sono venuti in aiuto gli scritti di Seneca sulla felicità e abbiamo voluto approfondire il concetto di dovere.

Antonello GhezziAntonello Ghezzi, Roma, 21/3/58, 2024 Incisione su specchio, struttura di legno e impianto luminoso Mappa delle stelle del 21 marzo 58, su Roma, ovvero quando è stato scritto da Lucio Anneo Seneca l'opera "De vita beata".


Da treccani.it
DOVERE significa avere l’obbligo di fare qualcosa (dobbiamo essere onesti; il cittadino deve pagare le tasse; se hai promesso, devi mantenere). In molti casi, il verbo dà alla frase un tono di comando, oppure di volontà, o desiderio (così dev’essere; devo in tutti i modi riuscire a parlargli); in altre situazioni invece il significato è attenuato, e il verbo esprime un consiglio o una preghiera (dovete ascoltarmi; devi essere sincero con me); spesso è usato al modo condizionale, e significa essere necessario o essere opportuno (dovresti cambiare l’olio al motore; dovresti farlo): si ricorre al condizionale per esprimere questa necessità o opportunità in una forma cortese e attenuata.
2. Il verbo dovere può anche esprimere la necessità di fare qualcosa (devo mangiare; devi fare più moto), un bisogno (devo parlarti) o una costrizione dovuta a una qualche circostanza (è dovuto partire all’improvviso).
3. Può indicare qualcosa di stabilito o che si farà a breve (dovevo partire il giorno dopo; devo ancora rivedere i conti),
4. oppure può esprimere probabilità (devi essere stanco; oggi dovrebbe piovere).
5. Con il complemento oggetto, significa dover dare, essere debitore verso qualcuno (mi deve ancora qualche migliaio di euro), e si usa anche in senso figurato per qualcosa di non materiale (dovete rispetto al maestro; mi devi una spiegazione).
6.Come sostantivo, la parola indica l’obbligo morale di fare qualcosa, oppure anche un obbligo dovuto alla religione o alla società (doveri verso la società, il prossimo, la famiglia)
.
Se come esercizio affianchiamo il concetto di felicità ad ogni accezione di dovere, le riflessioni che emergono ci sembrano tutte interessanti. Naturalmente emergono anche molti dubbi. Per esempio, abbiamo noi il diritto di individuare la felicità come dovere?
Noi come artisti, noi come persone, e forse anche come persone che vivono in una certa parte di mondo.
Eppure, d’altro canto siamo certi che la questione è universale. Non solo tutti gli esseri umani ma anche tutti gli esseri viventi hanno questa tensione verso la felicità, il punto poi è individuare cosa essa sia. E non ritorniamo forse ancora una volta, a risponderci che possiamo trovarla nella relazione con gli altri? Caro padre Bernardo, in queste riflessioni abbiamo solo domande più che risposte, la condizione dell’artista se non addirittura di ogni essere umano però tra i dubbi, le questioni, e il grande desiderio di affrontare l’argomento, ci sono venute in mente alcune opere che secondo noi arrivano da angolazioni diverse. Abbiamo individuato nelle frecce che vanno in tante direzioni, una condizione umana che viviamo tutti i giorni.
Ci siamo immaginati una installazione fatta di cinque semafori, che hanno frecce che indicano tutte le direzioni, a sfondo giallo.

Il caos e il depistaggio, frecce che ci mandano di qua, di là, ma ce n’è una, una sola, blu e in centro, che va verso l’alto. Ad ognuno il compito di capire quale sia la sua direzione.
Lo stesso concetto abbiamo voluto esprimerlo dipingendo queste frecce in una vela di una barca, che in galleria si spiegherà grazie al vento di un ventilatore. Come un viaggio che si compie sulla terraferma, invitiamo ancora una volta a trovare la propria direzione, unico modo ci dice Seneca, per essere felici.
In una parete, piccolo ma visibile, ci sarà anche un pulsante, come quelli per accendere la luce delle scale. “Premere per cambiare il mondo” è la scritta retroilluminata posta sopra al pulsante. Abbiamo il coraggio di premere il pulsante? Vogliamo farlo? Cosa accadrà e ci accadrà una volta premuto?
Infine nella stessa grande sala sarà presente il progetto fotografico “Cosa non è inferno?”, composto dalle foto scattate a Beirut dove per le strade della città libanese, si poteva leggere la domanda che Marco Polo pone alla fine de Le Città invisibili. Ci spinge a chiederci chi è cosa non è inferno, in mezzo all’inferno e ci sembra che sia un altro tassello importante della nostra ricerca.
Sempre nella galleria, ma in altre sale abbiamo invece voluto dare altre personalissime indicazioni di cosa ci può aiutare nel nostro percorso/viaggio. Ci sarà “Shooting stars”, una macchina dei desideri che ci permette grazie ad un collegamento astronomico di veder accendere un fascio luminoso improvviso, quando cade in diretta, una stella cadente.
E proprio infine, forse l’unica risposta che davvero crediamo di avere: lo sguardo al cielo, ancora una volta, e per questo porteremo tanti cieli stellati, di stelle provenienti di mappe stellari vere, di stelle dipinte e quindi casuali, come quelle che vediamo alzando gli occhi verso l’universo. Stelle che sono sempre state con noi, e che una via ce l’hanno sempre indicata. Grazie di cuore per il tempo che hai potuto dedicarci e che ci dedicherai leggendo la nostra lettera.

Bologna 27/08/2024
Nadia e Paolo

Antonello GhezziAntonello Ghezzi, Veduta generale della mostra con al centro l’opera Seconda navigazione, 2024 Pittura su vela, ventilatori


Carissima Nadia
carissimo Paolo


vi ringrazio dal cuore per avermi invitato a questo dialogo a distanza, ispirato ma anche prodigiosamente attuato, nonostante la nostra distanza fisica, dalla forza espressiva delle vostre opere esposte a Pistoia, creazioni che al momento posso soltanto immaginare, ma che senz’altro avranno la capacità di trasfigurare le mie povere parole e i miei monchi pensieri accelerandone ogni eventuale dinamismo perché una misteriosa compresenza delle nostre sillabe in reciproco ascolto arricchisca tutto di me e magari -perdonate la mia presunzione- incrementi di senso e di significato la vostra già fecondissima ricerca artistica e intellettuale.
Mi interpellate da tante settimane sulla felicità, anzi sul «dovere della felicità». Ho fatto fatica a scriverne, lo ammetto, e non solo per la grande quantità di cose da fare che ogni giorno rallenta o addirittura impedisce al mio cervello di riflettere e di pensare come dovrebbe. In realtà c’era e resta in me un’imprecisabile resistenza alla parola “dovere”. Più ancora alla connessione fra felicità e dovere. Sogno infatti ogni notte una nostra umanità che compia se stessa non in obbligo ad una determinata e gerarchizzata doverosità, ma prevalentemente per una libera e appassionata adesione alla sua vera verità e la vera verità della dignità umana ritengo sia la libertà, la libertà qualificata, temperata ed esaltata dall’amore, dalla gratuità dell’amore, oltre ogni schema e imposizione sociale, culturale o, peggio ancora, ideologica. Vero è che in tempi di radicale e disperato individualismo l’appello al dovere e, direi, al dovere del dovere, appare come un invito indifferibile alla obbligatorietà di relazioni segnate dall’apprezzabile presa di coscienza che senza un decentramento adeguato da noi stessi e dal conseguente monoteismo dell’io finiremo per morire di un cannibalismo senza speranza e senza vergogna. Ne abbiamo un evidente riscontro nelle vicende belliche che in questi ultimi mesi tornano ad avere un’incidenza distruttiva e contagiosa a prima vista inarrestabile. In questo contesto appare salutare e ricco di buon senso qualsiasi appello alla pace, anzi alla doverosità della pace, per fermare un processo distruttivo e disgregativo. Un dover-diventare-pace che presuppone e propizia il diritto-a-vivere-e-generare-futuro alla nostra famiglia umana.
Scrive l’amata poetessa Mariangela Gualtieri:

Guarda la natura
di questa umana bestia. Nuova
specie appena da poco manifesta
forse tumore o febbre passeggera
di questo verde globo – parassita folle
che rema contro sé, prepara ai figli
un veleno tutto spruzzato storto
tutto che gonfia e ammala. Corpi grossi
ha la specie ora. E teste indebolite.
Si torna indietro. Ancora si prova
la scena primitiva del più forte
la scena di uno che bastona
uno comanda e un popolo
cieco lo sostiene contro se stesso.
Dove andiamo? Non riesco a dirlo –
guarda come arretriamo.

Antonello GhezziAntonello Ghezzi, Del cielo, 2024 Calce su tela alluvionata Misure variabili


Ecco, a questo quesito -«dove andiamo?»- mi piace immaginare che le vostre opere, la vostra arte, la vostra intelligenza tentino di dare una risposta che inverta la constatazione purtroppo ben motivata della nostra poetessa. L’umanità arretra, non vi è dubbio, l’umanità arretra, «ancora si prova / la scena primitiva del più forte».
Molteplici sono i semafori e le frecce che accoglieranno coloro che visiteranno le vostre installazioni a Pistoia. Ci sarò anche io un giorno là con voi e sarò felice di essere disorientato, di rendermi conto che il mio telefonino potrà avere anche la app con la bussola digitale, avrà pure la versione più aggiornata di Google Maps, ma certamente non saprà mai dirmi che direzione dare ai miei piedi per raggiungere e come raggiungere la felicità. Non esiste un magnete naturale o artificiale che, come stella polare, orienti in modo meccanico e obbligante direzioni che dobbiamo scegliere attraverso il travaglio della riflessione, il fermento del cuore, il discernimento delle emozioni, la cura e la passione delle relazioni. Che bello che lì da voi ci sia una freccia rivolta al cielo: dal vostro bellissimo cielo, forse colorato di quello splendido blu cobalto alla Yves Klein che ho ammirato nella vostra opera esposta a Carrara, non piovono missili infuocati a distruggere il nostro sogno di felicità e le nostre migliori speranze. Grazie al vostro estro creativo ci sentiamo presi per mano, uno dopo l’altro disposti in fila indiana, come fossimo bambini e bambine dagli occhi colmi di stupore, per imparare a sognare desideri impossibili. Grazie alle vostre Shooting stars, infatti, queste orrende notti di guerra, rischiarate da esplosioni assassine, diventeranno una promettente notte di San Lorenzo, in cui ciascuno, anche un miope da record paraolimpionico come me, potrà mettere a fuoco per tempo la scintilla cadente dal cielo cui annodare l’indicazione fulminea di un auspicio, di un desiderio, di una speranza senza le quali non esiste accesso alla felicità, tanto vero è, almeno in parte, il leopardiano meditare sul sabato di un innominato villaggio:

Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l’ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Antonello GhezziAntonello Ghezzi, Del cielo, 2024 Calce su tela alluvionata Misure variabili


Qualcuna di queste scintille, sfilatesi troppo velocemente dall’orlo ellittico della loro orbita, inciderà la terra e ci obbligherà a interrogarci quale inferno si celi sotto il manto compatto della nostra indifferenza e del nostro oblio. Un inferno in drammatica emersione è Beirut, città che amo, che conosco e che in queste ore è devastata dalla follia di una guerra che, assolutizzando l’istinto della vendetta e della maniacale autodifesa, sbaraglia da una parte e dall’altra dei contendenti il dono più delicato che abbiamo con e per la vita: il futuro! Grazie, Nadia e Paolo, di importunare la nostra anestetizzata percezione della contemporaneità con queste immagini metropolitane che ci ricordano la possibilità di intravedere anche fra le fiamme dell’odio infernale le persistenze paradossalmente edeniche che abitano ancora e nonostante tutto nella dignità di chi non si rassegna al male e di chi non intende cedere al «veleno tutto spruzzato storto» che «gonfia e ammala» i nostri cuori. A proposito di città mi è caro evocare qui un bellissimo intervento così potentemente attuale di Giorgio La Pira che ai sindaci delle città capitali di tutto il mondo riuniti a Firenze nel 1955 indicava come la stessa civitas sappia misteriosamente curare se stessa, lasciandosi trasfigurare -grazie a chi la abita, a chi in essa accoglie e a chi da essa si lascia accogliere- da organismo ammalato a laboratorio escatologico, dunque già almeno in parte paradisiaco e per questo proteso alla giustizia, alla pace, al bene comune, alle ragioni più feconde e durature di vita e di speranza: La crisi del nostro tempo - che è una crisi di sproporzione e di dismisura rispetto a ciò che è veramente umano - ci fornisce la prova del valore, diciamo così, terapeutico e risolutivo che in ordine ad essa la città possiede. Come è stato felicemente detto, infatti, la crisi del tempo nostro può essere definita come sradicamento della persona dal contesto organico della città. Ebbene: questa crisi non potrà essere risolta che mediante un radicamento nuovo, più profondo, più organico, della persona nella città in cui essa è nata e nella cui storia e nella cui tradizione essa è organicamente inserita. E prima di finire questo discorso sul valore delle città per il destino della civiltà intiera e per la destinazione medesima della persona, permettete che io dia un ammirato sguardo d’insieme alle città millenarie, che, come gemme preziose, ornano di splendore e bellezza le terre dell’Europa e dell’Asia. Signori, ci vorrebbe qui, per parlare di esse, il linguaggio ispirato dei profeti: di Tobia, di Isaia, di Geremia, di Ezechiele, di San Giovanni Evangelista. Per ciascuna di esse è valida la definizione luminosa di Pèguy: essere la città dell’uomo abbozzo e prefigurazione della città di Dio.

Antonello GhezziAntonello Ghezzi, Del cielo, 2024 Calce su tela alluvionata Misure variabili


Carissima Nadia, carissimo Paolo, il nostro dialogo o, meglio, questo nostro parlarci e pensarci a distanza nel vortice sinfonico dell’unico stupore destato dalla vostra molteplice e articolata gestazione di bellezza, volge al termine. Così mi avevate avvertito durante le caldissime settimane estive che ci hanno preparato a questo nostro incontro:
In una parete, piccolo ma visibile, ci sarà anche un pulsante, come quelli per accendere la luce delle scale. “Premere per cambiare il mondo” è la scritta retroilluminata posta sopra al pulsante. Abbiamo il coraggio di premere il pulsante? Vogliamo farlo? Cosa accadrà e ci accadrà una volta premuto?
Non so se davvero esiste o per lo meno sia concettualmente giustificabile un «dovere della felicità»: a me non sembra possibile essere pienamente felice su questa terra per la consapevolezza nitida e lancinante che la nostra famiglia umana ogni istante è ferita dallo scandalo della fame che uccide, della violenza che uccide, dell’ingiustizia che uccide, dell’egoismo che uccide, dell’indifferenza che uccide, dell’individualismo che uccide e che innumerevoli altri attriti di ogni genere impediscono ai più la gioia piena della vita della vita e dell’amore dell’amore. E in definitiva so bene che pure io sono parte in causa di queste dinamiche afflittive che magari inconsapevolmente si alimentano, anche se non con il mio deliberato consenso, quantomeno con la mia tacita complicità e con una buona dose di mia superficialità. So molto bene anche che il vostro laboratorio creativo è alieno dalla perimetrazione di comfort zone dove la felicità si trascolora in generico e alienante benessere e estetizzante astrazione. So, sento che il vostro estro mi e ci aiuta a scegliere di premere quel pulsante non per accedere a un mondo onirico e virtuale, ma solo per risvegliare in me la consapevolezza che per cambiare il mondo non posso, non devo, non basta premere un pulsante, fosse questo collegato anche alla più raffinata delle tecnologie: posso, voglio, anzi, più onestamente, desidererei voler premere il mio cuore e solo quello per attivare qualcosa in me e intorno a me che contribuisca ad una felicità che non sia il mio diritto, nemmeno il nostro diritto, tantomeno un preconfezionato e pre-condizionato senso del dovere, ma quel ben più esigente cambio di mentalità e di cultura -il Vangelo a questo proposito mi fa amare la parola conversione- senza il quale troppo parziali e soggettivistiche sarebbero quelle presunte felicità che non si lasciano imparentare da quel dirimente «I care» che Don Lorenzo Milani ci ha insegnato e testimoniato a Barbiana, opponendosi al fascistissimo «me ne frego». Smossa dal vento e dalle sue plurali energie che per fortuna niente e nessuno sa fino in fondo prevedere e determinare, la vostra arte ha drizzato una vela sulle spiagge di Pistoia, pronta a solcare mari immaginari che in obbedienza alla forza invisibile, ma reale dell’aria sollevata e agitata da indomite energie apre il nostro sguardo a orizzonti imprevedibili da raggiungersi non con la concretezza banale, coartante e misurabile dell’asfalto, ma attraverso la tremula e inquieta fluidità delle acque. Su quel vostro bastimento ondivago ci salga l’umanità intera, una sorta di arca in cui siamo noi l’«umana bestia» di cui Mariangela ci parlava all’inizio di questa nostra interlocuzione, avvertendoci della sconcertante regressione che stiamo vivendo, causando e subendo. Forse soltanto sul vostro veliero capiremo finalmente che la ricerca della felicità avrà felice esito anzitutto se ci disponiamo ad essere umili discepoli e solleciti ricettori di energie che con il loro impalpabile e ingestibile soffio ci precedono, ci raggiungono e ci sospingono nella speranza di trovare la nostra libera, cordiale e intelligente accoglienza. A Carrara avete avvicinato il mio e il nostro occhio a un bellissimo periscopio che ha schiuso al mio sguardo una meta che il formidabile sestante della vostra arte ha proposto alla disillusa rassegnazione dei nostri cuori immobili. Non credo di essere un adeguato timoniere, ma sono pronto a fare la mia parte su quel vostro quasi improvvisato vascello, obbedendo al vento, ascoltando il mare e interrogando le stelle. Il miracoloso approdo di una possibile felicità per tutta l’umanità e nondimeno per la creazione tutta intera più che dovere, più che diritto ci parrà l’ambizioso traguardo di un’avventurosa navigazione al compimento della quale potremo far nostri i mirabili versi, tutti straordinariamente siderali, di Margherita Guidacci:

Per l’ultima volta, più intensa
Di tutte le altre volte insieme, risplendo e ardo.
Non m’importa il domani, l’orizzonte chiuso degli eventi.
Pagherò col buio compatto. Ma in quest’istante
Tutto quello ch’io fui, tutto quello che mi fu dato conoscere e amare,
vive centuplicato nel rogo di splendore
in cui ho gettato me stessa,
ora e nel punto predestinato dell’universo,
io la fenice che non rinasce: Supernova
Nadia, Paolo: buone rotte astrali!

Bernardo
San Miniato al Monte, Firenze
Domenica 6 ottobre 2024

Antonello Ghezzi Antonello Ghezzi, Del cielo, 2024 ME. Galleria Vannucci


 

A DUE #3
Antonello Ghezzi "Il Dovere della Felicità’
13 10 - 30 11 2024
Site ME. Galleria Vannucci
@ 2025 Artext

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