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Centro Pecci
Christiane Löhr
Colorescenze

 
Christiane LöhrChristiane Löhr, Sette Sculture per la base, Colorescenze 2024.Centro Pecci Prato


Artext
Le Genealogie
di Christiane Löhr

Colorescenze. Artiste, Toscana, Futuro, al Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci, è una mostra collettiva, un progetto ibrido e stratificato di un specifico territorio, quello toscano. E un progetto che presenta una temporalità incerta, profondamente radicata e intricata in una storia, in numerose storie. In mostra riunite artiste diverse per età, formazione e linguaggi impiegati, che pur non condividendo una vera e propria origine sono accomunate da una sorta di «genealogia di prossimità». Un luogo capace di offrirci la possibilità di una prospettiva radicale da cui guardare alternative e nuovi mondi.

L'ampia sala dedicata alle opere di Christiane Löhr si apre su di una pedana sollevata a pochi centimetri dal suolo dove si può assistere ad un esperimento semantico-visivo, il tentativo di scrivere su uno spazio in orizzontale e verticale, ri-scrivere con pochissimi mezzi 'la nazione delle piante'. Che si tratti di neurobiologia vegetale in una sequenza che non genera alcuna parola - il suo senso resta segreto. Ma forse vi riconosciamo anche un’estetica archeologica improntata a familiarizzare attraverso la mediazione, la lotta per stabilire una presenza e prendere il controllo di uno spazio. Riguarda la vulnerabilità, in una scala molto piccola, riguarda la creazione di stabilità da quella fragilità.

La pratica di Christiane Löhr sembra la risoluzione di un problema di varianti, si tratta inoltre di come arrivare a qualcosa di stabile anche se i materiali che usa sono molto transitori, così fragili che sembrano come se potessero scomparire da un momento all'altro. Se compaiono elementi architettonici come cupole o colonne, è perché derivano da qualcosa di inerente ai materiali. Seguono semplicemente la logica del materiale. "È un dialogo. Il materiale fa qualcosa, poi io faccio qualcosa, insieme arriviamo a una forma. C'è una visione mentale che segue quella fisica".

In mostra Christiane Löhr parla di spazio, ed è chiaro che ciò segna il nucleo della sua opera.
È lo spazio che viene catturato nelle le sue sculture, attraverso l'ordinamento costruttivo di elementi presi dalla natura, come semi, steli d'erba e peli di animali. Tuttavia, non è che renda consapevolmente lo spazio in queste opere, ma che piuttosto lo trovi spontaneamente durante la sua contemplazione, da osservazioni classiche, certo, come volume, proporzione e l'interazione di vuoto e massa. Nella sua ricerca di trovare un equilibrio tra gli elementi coinvolti, esplora anche la tensione come si manifesta nel contrasto tra fragilità e stabilità, o l'opposizione di peso e assenza di peso. C'è intimità in questa relazione, tra opera e osservatore che si dispiega all'interno dello spazio. Durante questa esperienza Christiane Löhr guida la nostra attenzione utilizzando singoli pezzi come codice di un linguaggio, come se le installazioni fossero lunghe frasi ed i semi le parole segrete.
Così nella scultura s’insinua la temporalità, quella durata manifesta nella mimesi dell'attuale. L'opera diventa una cosa che si legge, un rituale, se non una performance, una pièce, e non è un caso che persegua l’interesse mostrato nei suoi primi lavori installativi per l’elemento drammaturgico e la scultura.

Christiane LöhrChristiane Löhr, Samenbeutel (Seed Bag), 2022 Semi di cardi, retina, chiodi d’acciaio / thistle seeds, hair net, steel nails 65 x 40 x 30 cm


La mossa del cavallo

"Cosa fa scultura: la domanda resta aperta". A Dusseldorf dove si laurea nel 1996 nella classe di insegnamento di Jannis Kounellis apprende che spazio e proporzione sono due delle caratteristiche principali del lavoro. Ma anche una attitudine, un pensiero militante quello che rende liberi dalla mimesi, di uscire fuori dal quadro, quello di conquistare il mondo, in senso dialettico.
Non è mai stata una novità, è una condizione, nel novecento, dopo il periodo futurista. Quando doveva esserci un'apertura totale, capace di arrivare lì dove sono arrivati, nella loro pur diversa radicalità, i russi. Ma da ogni apertura per poterla vivere, bisogna avere un centro, altrimenti ci si perde.
La lingua intesa come grande tradizione, costituiva una centralità? Certo. Non la si deve perdere: quando si parla di radici ipotetiche, è di riconoscimento che si parla. Riferirsi a quello che da lì prende inizio, e tutti i riferimenti successivi conducono nello stesso punto d'origine. La vita poi è espansiva, naturalmente.
Evoluzione o rivoluzione? Viktor Šklovskij in un testo dal titolo La mossa del cavallo, (1923) pone le basi a quello che si definisce Formalismo Russo. Evolverà in Strutturalismo e nella moderna Semiotica. L'importanza di questo testo diamantino risiede nel ri-tratto singolare di artisti contemporanei, dai quale elabora e definisce il concetto di straniamento (far uscire il lettore dall'automatismo della percezione) come procedimento centrale dell'opera d'arte.
Come? È la differenza!
Fenomeno che si produce ogni giorno. Che se affiora in questa prospettiva, c’è già una positività: se questo elemento c’è, c’è un’apertura, uno squarcio. E' la scrittura, del destino della storia e si sottolinea, il destino tragico, inteso come fato.
La codifica, forma e materia dello spazio, avviene per sintesi passiva e le radici iletiche della sensibilità.
In quanto si vive in quella maniera, e non in un’altra, sperando che a livello emotivo paghi.
'Un peso non è un’ipotesi, determina uno spazio' afferma Kounellis, è in questo vortice del significante (assi ed orizzonti del reale) dove si schiera anche la trama, e quindi anche un’idea della vita, che la scultura si prende tutta l'attenzione, suscita la nostra meraviglia nel riconoscervi l'invenzione.

La teoria del significato

La persistenza della visione è una ipotesi di un fenomeno.
L'effetto sarebbe simile alla latenza o anche alla memoria iconica.
Nel racconto di Christiane Löhr i viaggi prima in India e poi in Giappone sono sotto il segno dell'attenzione differente. Ma ciò che differisce dalla modalità psicologica è poter definire la forma di una presenza fusa con l'opera, che sappia abolire le distanze facendosi tutt'uno con il quadro. Sia esso musicale, pittorico, letterario, teatrale. Nel cubismo, che è antipsicologico, ci sono valori linguistici: il pittore è lì, di fronte alle forme, e ci ragiona. Il problema è che la psicologia cancella l'epicità, perché riconduce ogni cosa al personale. L’ambizione teorica chiave è quella di superare la dicotomia mente/corpo orientando la ricerca a una prospettiva di radical embodiment, un asse di indagine di forte componente biologica che lascia emergere la conoscenza mediante il processo stesso del vivere. Si tratta di mondi paralleli. Mentre produciamo mondi, producendo quei mondi produciamo noi stessi.
La scala del corpo umano gioca un ruolo importante nei disegni e le sculture di Chistiane Lohr.
"Poiché le sculture sono realizzate con le mie mani, hanno una sensazione molto intima e fisica. A volte penso che riflettano ciò che è in sé quando ci si trova di fronte. Come organi corporei. Le sculture toccano un gran numero di condizioni formali. E immagino che portano di noi quegli equivalenti: il plesso solare, il sistema nervoso o il fegato, per esempio. Trovo interessante pensare che abbiamo queste cose invisibili dentro di noi e poi, quando c'è qualcosa di analogo di fronte a noi, reagiamo in un senso molto corporeo". Non so se è così che Christiane Lohr lo faccia, mettere un corpo dentro il vuoto, ma questa è la sua invenzione.

Fonti - Colorescenze Catalogo Mostra Centro Pecci Prato
Da una conversazione con Jannis Kounellis. Gioia Costa
Mimesis. Siamo conversando. Doppiozero.

Christiane LöhrChristiane Löhr, Raum sein, BASE / Progetti per l’arte, Firenze


Christiane Lohr
Scultura Architettura
Dialoghi

D - Invitata da tempo a realizzare per Base una mostra Site Specific, Christiane Löhr in questo progetto prende come dire un respiro, cosi da far respirare il luogo. Una modalità forse banale per ricordare che l'incontro con l'opera d'arte non è mai qualcosa di troppo complicato. Forse si può partire da una grammatica comune e quindi un invito a parlare del titolo della mostra - "Essere Spazio".

CL - E' molto diverso questo invito da una mostra in un museo o in una galleria dove ci vuole molto tempo per la preparazione. Avevo qualche idea in proposito ma sono arrivata a Base con solo il materiale. Cosi ho preparato la mostra senza limiti e in un modo molto libero. Ho installato tre nuovi lavori progettati nel momento in cui sono arrivata.

D - "Essere Spazio" è quindi un prendere coscienza, come di un respiro, una ronda, una relazione che si crea da una processualità tra le opere ed il contenitore.

CL - E' vero. Lo spazio di Base è molto particolare. E' molto piccolo ma nella sua essenzialità quasi monumentale. Nello spazio c'è una sensibilità molto intuitiva. Lo sento come una collaborazione dell'atmosfera, le proporzioni e quello che io provo.

D - Ogni spazio espositivo funziona indipendentemente dalle dimensioni?

CL - Non ho paura dei grandi spazi; gli unici che non funzionano sono gli spazi poco chiari. Gli spazi che hanno molto carattere sono una sfida ma anche completamente arricchenti.

D - Instauri un rapporto naturale con i materiali, trini di cavallo, fiori, semi. Ma spostandoli in uno spazio museale è come se tu in parte negassi una loro naturalità. Forse vuoi attribuirne una nuova?

CL - Parto dalla caratteristica specifica dell'elemento, distanziato dal luogo di provenienza. Guardo a cosa mi porta il materiale, che cosa posso fare per arrivare al suo limite, come entra in tema con lo spazio, quasi una cosa immateriale che crea qualcosa di ecologico, filosofico.

D - Ti senti una scultrice? Come ti relazioni con la grande tradizione della scultura. Ti muovi su un paradosso, da una contraddizione?

CL - In tedesco la parola corrispondente a scultura ( ) ha il significato di togliere qualcosa. Non è come la pietra che si intaglia. Altro termine è plastica ma fa pensare ad altro. In realtà scultura è una parola che parte dallo spazio, fa pensare alla perfezione e come noi guardiamo o ci sentiamo osservando qualcosa, altro da noi.

D - Nelle opere sul muro con i crini di cavallo c'è come una tensione che si esercita da muro a muro. Nell'ambiente contiguo si avvertono dei passaggi come dei ritmi e delle cadute...

CL - Nella scultura c'è quello che io voglio ma anche quello che impone il materiale e lo spazio. Mi piace molto scoprire cosa c'è dentro, che cosa spinge. Ascoltare cosa c'è già e seguire quello che suggerisce la forma e la sua natura. Ci sono dei lavori realizzati con le piante che creano un senso particolare, sono molto leggeri e le onde dell'aria le fanno muovere, un poco come una membrana, uno strumento di misura. E lo stesso con il lavoro dei trini di cavallo che diventano elastici al mutare di temperatura.

D - Come ti sei avvicinata alla natura, al mondo vegetale e animale?

CL - È una lunga storia, che ha a che fare con la mia biografia, ovviamente. Quando avevo diciotto anni, ho vinto un cavallo a una lotteria in una scuderia dove ero solita andare a cavallo. Nessuno sapeva all'epoca che la cavalla che avevo vinto era incinta. Il suo puledro mi ha accompagnato per ventiquattro anni. Ciò significava che ogni giorno percorrevo ripetutamente lo stesso sentiero, facevo le stesse faccende: spazzolavo l'animale, pulivo la sua stalla, gli davo nuovo fieno. E significava anche che avevo gli stessi materiali nelle mie mani giorno dopo giorno. In quel periodo, ho anche iniziato a studiare arte e ho imparato le stesse cose che impara ogni studente: disegno, pittura, scultura, fusione. Ma a un certo punto sono entrati in gioco i materiali che facevano parte della mia vita quotidiana. Naturalmente ero già molto interessata ad essi, interessata a osservare la natura. Ricordo che da bambina prestavo molta attenzione a ogni piccola cosa nel nostro giardino. Rovesciavo ogni sasso per vedere cosa succedeva sotto di esso. Sono cresciuta in un complesso residenziale degli anni Settanta a Coblenza, vicino alla valle della Mosella. Se si camminava per qualche metro verso il fiume, improvvisamente appariva una natura selvaggia. Ero circondata da cose molto lontane dalla mia vita quotidiana. Potevo osservare piante, animali, geologia e assistere a trasformazioni. Credo che questo abbia cambiato il mio modo di vedere le cose e il mio modo di pensarle.

D - Prima del processo effettivo di creazione di un'opera in studio, devi cercare e trovare materiali organici specifici che cambiano a seconda della stagione e della posizione.

CL - Sì, tutto nasce dalla mia vita quotidiana. Trovo cose mentre vado in bicicletta o quando cammino per la città. Non è un processo separato dal resto della mia vita. Penso di essere un cacciatore-raccoglitore, sempre alla ricerca. È come un istinto. Ho solo bisogno di guardare, di vedere cosa c'è sul terreno. Mi sento a casa quando vedo la terra esposta. Il ritmo delle stagioni preclude anche la disponibilità di alcuni materiali. Quando arriva la primavera, prima compaiono i denti di leone, poi il tipo successivo di piante e poi quello dopo ancora. Non smette mai di stupirmi, offrendomi sempre un nuovo percorso di scoperta. Immagino il passare del tempo come una spirale in cui si arriva sempre allo stesso punto ma in qualche modo si continua a progredire. Non lavoro come un archivista. Non ho una scorta di materiali che uso quando sono dell'umore giusto; non lavoro così. Sono piuttosto sempre desiderosa di arrivare a un nuovo punto con le cose che incontro nel corso della mia vita quotidiana.
Ho trovato per esempio i materiali di questa mostra non nella natura addomesticata ma in periferia, nella zona industriale di Firenze vicino ad Ikea, dove c'e una coltivazione selvatica di cardi.

D - Non è una natura romantica o incontaminata, sono luoghi dove c'è un atto di conquista.

CL - Per me, queste opere sono completamente radicali. Se metti quattro fili d'erba in una stanza, è una proposta radicale e rischiosa. Sto entrando in una situazione che può finire in un fallimento totale. Non riguarda l'aspetto romantico della natura.

D - Costruisci le tue sculture senza colla o filo; raggiungi quella stabilità bilanciando attentamente le forze. Molte delle tue sculture hanno una base geometrica o sembrano ricordare strutture architettoniche: colonne, cupole, cubi. Sei tu a determinare la forma finale o i tuoi materiali?

CL - È un dialogo. Il materiale fa qualcosa, poi io faccio qualcosa, insieme arriviamo a una forma. C'è una visione mentale che segue quella fisica. Non è come se avessi un mucchio di elementi da costruzione davanti a me e poi li assemblo semplicemente. Si tratta di una visione interiore, di fisica e anche di stabilità in senso filosofico. Si tratta di testare ciò che un materiale ti consente di fare. Si tratta di come arrivo a qualcosa di stabile anche se i materiali che uso sono molto transitori, così fragili che sembrano come se potessero scomparire da un momento all'altro. Quando compaiono elementi architettonici come cupole o colonne, è perché derivano da qualcosa di inerente ai materiali. Seguo semplicemente la logica del materiale. Voglio lavorare con quello, non contro di esso. Non si tratta mai di decostruzione o distruzione. Si tratta sempre di costruzione. È qualcosa che descriverei come una vaga connessione tra la storia naturale e la storia della civiltà.

D - Qual è il primo passo? Ci sono disegni preparatori?

CL - Non ci sono mai schizzi. Le opere si sviluppano in uno spazio mentale e con molta immaginazione. Si tratta di trovare una forma e scoprire come questa forma esista nello spazio. Le sculture non spostano lo spazio, ma lo avvolgono, lo attraversano. Ciò mi ha permesso di riscoprire la matematica, o più precisamente la geometria, anche se non era il mio forte a scuola, quando ho cercato di capire cosa fosse un pentagono o un esagono, studiando le diverse consistenze, in base alla loro simmetria o divisibilità. I miei oggetti sono infatti composti da molte parti molto piccole. Quando queste tante parti diventano una, il lavoro è finito.

D - Hai parlato di alcuni lavori che chiami Colonne. C'è contiguità con l'architettura di Firenze?

CL - Penso di si, nelle colonne in verticale, dove ho cominciato ad esporre una forma più definita e riconoscibile.

D - È molto interessante vedere come le sculture cambiano quando vengono installate in uno spazio espositivo.

CL - Si, per farlo, devo trovare il punto focale dello spazio, dove tutto si unisce. E quando un'opera può amplificare il focus di quel punto particolare, lo trasforma in un flashpoint. Solo allora un oggetto ti appare come una presenza.

D - La scala del corpo umano gioca un ruolo importante nei disegni. È il caso delle sculture?

CL - Poiché le sculture sono realizzate con le mie mani, producono una sensazione molto intima e fisica. A volte penso che riflettano ciò che è in sé quando ci si trova di fronte. Come organi corporei. Le sculture toccano un gran numero di condizioni formali. Ci sono opere scure e compatte, poi ci sono le opere in filigrana di crine di cavallo che sono quasi come disegni spaziali. E immagino che portiamo dentro di noi questi equivalenti: il plesso solare, il sistema nervoso o il fegato, per esempio. Trovo interessante pensare che abbiamo queste cose invisibili dentro di noi e poi, quando c'è qualcosa di fronte a noi, reagiamo in un senso molto corporeo.

D - In una scultura dove qualcosa è anche architettura è come entrare dentro, può ruotare, volgersi da interno ad esterno.

CL - La scultura è in connessione con l'architettura. E devo lavorare molto per arrivare ad una coreografia, perché in una mostra c'è anche il movimento dello spettatore e tutto questo richiede una grande coordinazione tra interno ed esterno.

Fonti - Christiane Löhr Essere spazio BASE/Firenze. Conversazione con Lorenzo Bruni
Colorescenze. Conversazione con Ilaria Mariotti Centro Pecci Prato
Christiane Löhr Saggi ed interviste Catalogo Hatje Cantz.

Christiane LöhrChristiane Löhr, Gebirge (Montagne), 2023 Semi di edera / Ivy seeds 23 x 67 x 30 cm

 

Christiane Löhr
Colescenze
a cura di Stefano Collicelli Cagol e Elena Magini
28 giugno—24 novembre 2024
Site : Centtro Pecci

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