Il mio lavoro sta cambiando, l’oggetto di studio è diventato proprio il territorio,
le sue comunità, ma con uno sguardo dal di dentro
questa volta. Sviluppo una metodologia precisa: mi sposto nelle zone
“marginali”, osservo il paesaggio, ascolto e traduco in scritti
e in immagini le mie intuizioni.
Non sitratta più di semplici attraversamenti
ma, come direbbe Vito Teti, di una
«Partire e
restare sono i due poli della storia dell’umanità. Al diritto a migrare
corrisponde il diritto a restare, edificando un altro senso dei luoghi e
di se stessi. Restanza significa sentirsi ancorati e insieme spaesati in un
luogo da proteggere e nel contempo da rigenerare radicalmente […].
E, forse, partire, tornare, restare sono diventate – o sono sempre state
– modalità diverse di viaggiare. Se non ti senti prigioniero di nessun
luogo o padrone di qualche luogo, vuol dire che possiedi la libertà
del cammino»(2). Inizio questo tornare dalle parole, a volte anche dal
dialetto – d’altronde anche mio padre negli ultimi anni si diletta,
finalmente, nella poesia vernacolare pubblicando i suoi primi libri.
Questo sistema di ri-significazione parte, quindi, dall’altro: io trascrivo,
incido, batto e baratto le parole che mi vengono date.
Continuo a costruire un grande
, simile a quello che ho
prodotto in Cile, ma qui la sopravvissuta sono io.
molto preciso, con regole stringenti
ma non rigide. Chi decide di partecipare ai miei lavori accetta le mie
condizioni, quello che chiedo sempre è semplicemente
una parola:
/ti do la mia parola,
ti do il mio mondo è, infatti, il titolo di una mia mostra personale
(alla Fondazione Rossini di Briosco a cura di Francesca Guerisoli nel 2017) che
racchiude tutta la serie di lavori di natura partecipata e relazionale che
ho prodotto tra il 2015 e il 2020 circa.
Il mio modo di raccontare passa attraverso il corpo che diventa
non solo un segno che scrive lo spazio ma una forma di
discorso corale,tramite il gesto performativo, del territorio. In questa fase sono alla
continua ricerca di significati, non faccio altro che porre domande.
Questa metodologia diventa come un
prendersi cura non solo di chi ho
di fronte, della parola data, delterritorio, ma anche della mia pratica
stessa, la mia posizione d’artista diventa necessariamente più chiara
ed evidente. L’arte per me non ha un valore miracoloso di guarigione
ma è nella forma, nel processo di traduzione in questo movimento tra
parola e immagine, che io intervengo con attenzione.
L’elemento del gioco è molto forte nella mia produzione di natura
performativa; le regole che accompagnano ogni azione sono ben delineate –
lascio sempre dei fogli scritti con la “declinazione” del mio lavoro –,
non c’è una sceneggiatura ma nulla viene lasciato al caso nella costruzione
della dinamica: lavoro sull’emotività non sfruttandola ma
piuttosto inserendola in un contesto ben definito. In questo senso, la
mia non è un’operazione magico-rituale, ma un atto che si poggia sulla
concretezza della nostra esistenza. Chi decide di partecipare accetta
in piena libertà le mie “direttive”, si mette in gioco e corre dei rischi,
perché l’arte è un gioco serio.
Impero Ottomano Alviani - performance - ArtSpace 2015
È un percorso in cui invito l’altro a fidarsi e ad aprirsi; la parola è il
più piccolo frammento della comunicazione, un significante che porta
un significato, un’astrazione simbolica che “nasce accanto” all’oggetto
o all’azione che rappresenta. Non è sempre facile tracciare i contorni
del nostro mondo interno attraverso il linguaggio. Le parole hanno
un potere enorme: quello di dare speranza, di far ridere, ma anche di
ferire e di togliere la speranza. Il mio intento non è di natura psicoanalitica, è piuttosto una rappresentazione visiva e simbolica di un processo, in cui la comunicazione e il linguaggio sono il mezzo e la forma. Le parole in questi anni sono state la mia cartina di tornasole: lo
strumento con cui ho inciso i vinili di Lucciole, ho rotto i piatti di
Parole Cunzate, ho battuto sulle mie tredici Olivetti Lettera 32, ho
resistito con
Impero Ottomano. Non mi definisco una performer né
una video-artista
tout court, piuttosto preferisco essere un’investigatrice,
raccolgo tracce, narrazioni e testimonianze nelle mie esplorazioni,
perché di questo si tratta. La scrittura e l’incontro sono il perno su
cui ruota la mia pratica di natura relazionale e partecipativa. Per circa
cinque anni non ho fatto altro che cercare di nominare il mondo. Per
farlo ho imparato a questionare, ho iniziato a costruire un enorme
archivio di parole sensibili di natura relazionale.
Millenovecentosettanta lucciole 2015 cover vinile, collage courtesy Elena Bellantoni
La scrittura è forma. Le parole sono come immagini, chiariva bene
Foucault a proposito dell’opera
Questa non è una pipa di Magritte –
nell’omonimo testo del 1973 –, e assumono la solidità di un oggetto.
Alla fine degli anni ’60 Kosuth radicalizza il metodo di Magritte, lo
raffredda, fino a farlo diventare pura analisi di laboratorio del linguaggio e del suo funzionamento.
Etimologicamente “parola” deriva dal greco
para-ballo che vuol
dire ‘girare intorno a qualcosa’(moto che in geometria prende forma
nella
parabola , mentrenel Cristianesimo indica le storie,
parabole appunto,di Gesù presenti nel Vangelo), discorrere su un determinato soggetto.
Mi interessa la fisicità di questa definizione, dove il linguaggio
diviene un’azione che nel suo movimento crea un nuovo spazio, che
chiamo “relazionale”. Nelle mie performance il gesto della scrittura
attraverso un oggetto diventa atto artistico che prende forma da una
spinta interna ed emotiva sublimata nell’oggetto stesso. Si crea così
un
discorso collettivo tra me e chi partecipa attraverso le parole scritte che circolano nello spazio. Quello che attivo non è solo il pensiero, lo spostamento/svuotamento tra forma e significato – come avveniva nelle ricerche degli anni ’70 – ma l’atto simbolico del
dare la parola.
Esiste una qualità “infantile” in questo processo che evoca qualcosa di molto antico, questo qualcosa per me ha a che fare con il procedimento creativo. Come sostiene Nicolas Bourriaud in
Il radicante 3, l’artista è un traduttore di segni, un “semionauta” che ricerca e mette
insieme pezzi di questo mondo frammentato. La parola diventa un
confine, la terra fertile in cui arte e vita si mescolano.
Elena Bellantoni, Pane e libertà performance courtesy dell'artista
Nel mio lavoro gioco dentro e con le parole, che diventano il luogo
di scambio nelle mie performance, ilterreno dell’incontro con l’altro.
Ogni mia azione inizia con un “componimento poetico”, ovvero una
lista di parole, di associazioni che creo per
scrivere la performance,
per entrare nel lavoro e visualizzarlo. Non nascondo affatto questo
processo del pensiero, anzi, esso diviene parte integrante delle mie
regole e declino le parole come “parole passeggere”, “parole cunzate”,
“parole resistenti” ecc., che sono dei “vestiti che mi cucio addosso”.
Le consegno al pubblico perché, prima di chiedere a chi partecipa
un vocabolo,
io gli do la mia parola. Raccolo narrazioni attraverso le
parole che diventano immagini.
Impero Ottomano perfomance installazione 2016, dettaglio mostra Fondazione Pietro e Alberto Rossini, courtesy dell'artista
Parole Passeggere. Testo Completo
Note
1 Vito Teti, Pietre di Pane, Quodlibet, 2011, p. 22.
2 Nicolas Bourriaud, Il radicante, Postmediabooks, 2011.
Biografia
Elena Bellantoni (1975) artista e docente ABAQ L’Aquila, ABA Roma e NABA di Roma. Laureata in Storia dell’Arte Contemporanea studia a Parigi e Londra, dove nel 2007 ottiene un MA in Visual Art presso l'University Art of London. Nel 2007 è cofondatrice Platform Translation Group a Londra, nel 2008 apre lo spazio 91mQ art project space di Berlino. La sua ricerca artistica si concentra sui concetti di identità ed alterità - esplorando territori e comunità - impiegando il corpo e il linguaggio come mezzi di interazione. I dispositivi che l’artista utilizza vanno dal video, alla fotografia, alle installazioni, dalle sculture al disegno. Nel 2024 Bellantoni viene selezionata tra gli artisti finalisti del Mario Merz Prize alla Fondazione Merz di Torino. Nel 2023 l’artista apre la sfilata di Dior primavera-estate 2024 con l’installazione NOT HER presso i Giardini delle Tuileries di Parigi. Tra le residenze e premi: 2020 vince il Premio ArtTeam Cup; 2018 vince Nctm e l’Arte Studio Legale con residenza a Belgrado, Atene e Istanbul; 2017 The Subtle Urgencies, alla Fondazione Pistoletto e l’ArtHouse, Italia/Albania; 2016 selezionata dalla Soma Mexico, per residenza a Città del Messico; 2009 As long as I’m walking residenza con Francis Alÿs e Cuauthémoc Medina, curata da 98weeks, Beiruth. Nel 2018 è tra gli artisti vincitori della IV edizione dell'Italian Council del MIBACT; nel 2019 presenta il libro del progetto al MAXXI di Roma con un focus sulla su tutta la sua produzione video. Nel 2018 è selezionata nei Collateral di Manifesta12 a Palermo e per Gran Tour d'Italie del MIBACT. Nel 2014 vince il Premio speciale Repubblica.it al Talent Prize; 2012 con In Other Words, the Black Market of Translation – Negotiating Contemporary Cultures vince il bando NGBK a Berlino con mostra alla Kunstraum Kreuzberg Bethanien. Nel 2009 vince il Movin’up Worldwide del GAI (Giovani Artisti Italiani) dalla Presidenza Consiglio dei ministri Italiano per residenza a Santiago del Cile; nel 2006 vince il Tempelhof-Schöneberg Kunstpreis di Berlino. Tra le mostre: La Grande visione italiana. Collezione Farnesina, The Arts House of the Old Parliament, Singapore, Tokyo, New York 2023; Racconti (in)visibili tra Cielo e Terra, Reial Cercle Artistic, Barcellona 2023; Se ci fosse luce sarebbe bellissimo, Fondazione Dino Zoli, Forlì 2023; Imperfetto Mare, CUBO e Torre Unipol, Bologna 2022; Parole Erranti: Tomaso Binga ed Elena Bellantoni, Residenza dell’ Ambasciatore, Berna, Svizzera 2022; Il video rende felici / video arte in Italia, Palazzo delle Esposizioni 2022, Roma; In-finito, Istituto Italiano di Cultura a Madrid, 2022; Performative 0.1, MAXXI L’Aquila, 2021; Farnesina Collection, an open window on Contemporary Art, Istituto di Cultura Italiano, Parigi, 2020; Les paralleles du sud Manifesta13, Marsiglia, 2020; You got to burn to shine La Galleria Nazionale Roma 2019; Elena Bellantoni VideoGallery, MAXXI, Roma 2019; Analogue Eye Harboured, Cape Town 2018; The Picture Club, in “Across the Board: parts of Whole”, American Academy in Rome, Roma 2016. Collezioni pubbliche e private: Ministero Affari Esteri La Farnesina, Istituto Centrale per la Grafica, Fondazione Filiberto Menna e la collezione Fondazione Pietro ed Alberto Rossini. I suoi lavori video sono presenti nell’Italian Area Contemporary Archive a cura di Viafarini a Milano. Tra le monografie: Parole Passeggere: la pratica artistica come semantica dell’esistenza, Castelvecchi 2023; Elena Bellantoni, On the breadline Quodlibet 2019; Elena Bellantoni una partita invisibile con il pubblico, Postmedia Books, 2018.
Parole Passeggere 2015 performance installazione Stazione Ostiense in collaborazione con MAXXI courtesy dell'artista
Elena Bellantoni
Parole Passeggere la pratica artistica come semantica dell’esistenza
Collana Fuoriuscita, a cura di Christian Caliandro Ed. Castelvecchi
@ 2025 Artext