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Abitare il Museo
Il corpo dell'arte

 
Virgilio SieniVirgilio Sieni, Lumen Naturae (2024), Museo di San Marco


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Lumen Naturae
Museo di San Marco
Virgilio Sieni


Lumen Naturae Progetto coreografico di Virgilio Sieni per il Museo di San Marco a Firenze parla dei movimenti nella vita dei corpi, l’aprirsi, in essi, di uno spazio vuoto. La medesimezza che ne è l’entità formale può far sorgere la coscienza ferma e illuminata di un ulteriore, di qualcosa che recuperi l’idea di corpo come luogo di elezione e contenimento dell’evento.
È attorno a una simile ipotesi che Lumen Naturae di Virgilio Sieni sembra muoversi impegnando il nostro sguardo di spettatori e attori in un esercizio di trascendenza.

'Dieci danzatrici e danzatori, disposti nelle vicinanze degli affreschi del Beato Angelico al Museo di San Marco a Firenze, propongono ai visitatori esercizi ascoltati, brevi sequenze contemplate, ripetizioni meditate, sguardi di attenzione allo spazio delle celle. Le dieci opere scelte del Beato Angelico abitano lo spazio in San Marco creando un tragitto inteso come una forma meditata del camminare. Il pubblico sarà invitato in questo cammino silenzioso a osservare liberamente e a richiedere, se lo desidera, la trasmissione dell'opera attraverso il gesto. Quello che nasce è un'idea di agorà del gesto trasmesso sottovoce: un veicolare di gesti di vicinato e vernacolari, aderenti alle opere e colmi d'ascolto'.

I dieci danzatori, sulla scena degli affreschi, disegnano sequenze che movimentano le forme rappresentate della pittura parietale, richiamano la densità delle prospettive rinascimentali, il creaturale e il doloroso ritrarsi nelle figure della compassione.
Ma vi è soprattutto il ricomporsi di un’armonia naturale che pare avvolgere i corpi chiudendo, in un segno superiore le corrispondenze, i tratti nei quali la relazionale si fa più esplicita e intensa. Il segno superiore sarà dunque inscritto in un terzo corpo, quello delle forme di pathos che si de-scrivono nella scena donandonele ad un tempo un volume di esistenza.
Nel racconto si ritraccia, nella dialettica con il sonoro degli ambienti e con gli interventi posturali, una morfologia di forme sulle quali la performance si schiude e si dispone. Si tratta di una struttura che condivide con la civiltà antica il carattere di mimesis, il mistero che trafigge il sentimento di una distanza che, proprio come una 'schemata' greca attraversata dalla genealogia cristiana realizza ancora il prodigio, tramutando la contemplazione in movimento ed estasi.

Movimento, tempo; immersione sensoriale, commozione: ancora una volta da questo percorso fiorentino attraverso le opere del Beato Angelico, per le celle del museo, usciamo modificati. Ma anche le opere – ce lo dicono i loro colori; ce lo confermano le luci, i rumori e i silenzi delle stanze che le ospitano – risentono della nostra presenza. La sfida è ai modelli; sfida alla stessa idea di Rinascimento. E, ancora una volta, come accade nelle più importanti pagine di riscrittura del canone occidentale, non è affatto scritto che dalla gara il modello esca vincente.

Virgilio SieniVirgilio Sieni, Lumen Naturae, (2024) Museo di San Marco


Atlante del gesto

Cosa resta dei corpi che hanno posato per un dipinto o della pittura al di là dell’immagine dei corpi che ha creato?
Si tratta di modelli spettrali incorniciati per sempre in tele immaginarie o sono immagini viventi di un atlante immemorabile in cerca di nuove sincronizzazioni? Semplici resti, reliquie, rovine, di un teatro di posa in attesa, forse, di poter radicare nell’esperienza di chi osserva nuove responsabilità.
Pensando alla lezione di Aby Warburg, al linguaggio gestuale delle Pathosformel, questo forse è il crinale in cui il movimento trasforma l’immagine in un punto di partenza. Questo è il lavoro coreografico di Virgilio Sieni spesso orientato dall’idea di una persistenza delle figure, di una stratificazione del gesto depositato come una formula nel corpo di ognuno, poiché sempre "il corpo risuona di qualcosa, trasfigura un’informazione".
Il criterio per la ricerca di una loro nuova genesi è quello dell’accostamento dei modelli, della vicinanza dei corpi, dell’"adiacenza" come esperienza organica. La composizione nel processo creativo è allora una lenta doppia negoziazione tra la presenza del performer e le memorie che guidano il modello di un gesto.

Certo non è immediato. Si dà accesso a una configurazione formale, un teatro della memoria, cosciente, capace di fare da guida attraverso il riuso, il ritorno nel tempo delle figure, di alludere ad una evidenza, a ciò che è in grado di disporsi nel corpo come di una memoria fossile e rivendicare da questa residuale fissità tutta la resistenza di una impressione.

Nella danza, la sopravvivenza di queste scorie che assicurano il riconoscimento delle figure, durante una performance, rappresenta al meglio un’emozione che può essere da tutti condivisa e che trova nella superficie dell'inconscio un'eco ben oltre la convenzione dei generi entro i quali la figura emerge o ritorna.
Si tratta di una intensità emotiva, posturale e coinvolge, prendendo a misura il corpo che ancora una volta si configura come strumento funzionale, tra espressione e riflessione. E' esperienza cinetica e mimica espressiva, biologicamente utile che contiene in sé il principio della riflessione già là dove i movimenti muscolari e tutte le funzioni vitali si articolano e si differenziano.

Ma ciò che tali formule sembrano rivitalizzare in termini sempre affettivi riguarda da vicino la questione dell'intensità e l’autonomia delle energie. Una determinazione della forza nelle figure presentate in una performance dal vivo che non risponde o non si esaurisce nel visibile. È l’eccedenza di un corpo che muove. E non è calcolabile.

Virgilio SieniVirgilio Sieni, Locus_Ottetto (2012), Cenacolo di Ognissanti



Abitare il museo
Il corpo dell’arte

Convegno

Virgilio Sieni

'Certo, abbiamo capito che un museo ha a che fare con l'emancipazione dell'individuo e comunque sia è un dispositivo necessario perché la parola comunità continui ad avere senso. Ma attenzione, partecipare ad una comunità vuol dire interagire da molteplici livelli di coinvolgimento. Per esperienza so che in tutto quello che avviene in un museo c'è la necessità di essere colpiti dall'ombra dell'opera d'arte affinché questa possa farci vivere le cose, come per le passioni. Non sono io che pongo la domanda ma è l'opera d'arte che mi trattiene. Così avverto questa spazialità. E dunque si! l'attenzione alle persone, agli esseri viventi ma sopratutto nella forma d'ascolto dove noi ci sentiamo spazio ed esistiamo. Ne abbiamo assoluto bisogno per decolonizzare il corpo, abbiamo bisogno di metterci nelle forme di ascolto, di riattivare questa capacità. Cosa ascoltare? tutto quello che esiste come senso della materia vivente.

Dunque l'opera non è solo la figura, è quella materia, il colore, la luce, quei passi che faccio verso l'opera. Come entro dalla soglia del museo non esistendo più l'esperienza della Pieve di campagna dal momento che le sue opere sono dentro i musei?
E dunque come porsi veramente con meraviglia, amore e desiderio di fronte ad una opera d'arte? Quello che a me preme è che le persone attraverso un corpo messo in opera, non solo danzando... un termine questo di certo schietto e molto usato, ma deve essere molto chiaro che la danza è semplicemente un disattivare il corpo, rispetto a quelle che sono le schematizzazioni quotidiane, dirette, personali e collettive, per attuarsi da una virtualità che possediamo ma non mettiamo mai in atto.
Mai alziamo la mano squadernandola oppure il braccio alzandolo e arrivato a mezza altezza osservarsi la mano davanti agli occhi. Mai facciamo questi movimenti. li possiamo fare, ma non li facciamo mai. La danza è esattamente questo, nasce per disattivare gli schemi abitudinari che potrebbero far diventare patologie i nostri comportamenti. E dunque riconsiderare la maniera di abitare il museo, non solo starci dentro, seduti o in piedi.

Prima di tutto il senso dell'abitare. Questo senso nasce dal sentirsi abitati dallo spazio. Naturalmente è uno spazio squadernato. Il mio compito in questo contesto è di proporlo in tante forme diverse e tante sono le proposte da indirizzare a direttori, assessori alla cultura, operatori, artisti. Per quanto riguarda la mia pratica, propone una tecnologia a far sì che il corpo torni ad essere inclusorio di ascolto e di memorie.

Mi interessa il grado di complessità dell'osservazione. Io quello che guardo lo voglio portare con me. La danza è cosi inappropriata, non crea opere materiali, fugge via, sfugge di mano e non rimane niente. Oppure rimane qualcosa? Chi pratica la danza a livello mnemonico ha a che fare con un implementarsi attraverso un patrimonio che la danza comporta. Citando Nancy - ha a che fare con il rinnovamento dell'individuo. La capacità di ampliare il mio processo cognitivo attraverso una esplorazione gestuale, ha a che fare con un ampliamento della persona - E per esperienza ho visto che tutto questo crea comunità, crea nell'individuo il desiderio di tornare a quelle condizioni di naturalità che si ampliano davanti ad una opera d'arte. Non danzare per abilitare un museo, ma tornarci perché hai imparato che di fronte ad una opera d'arte un corpo può assumere posture differenti. E quali sono queste posture che potrebbero interessare e che hanno a che fare con un concetto di cura o di benessere dell'individuo?
Capire cioè che in una opera d'arte ci sono aree sensibili, che attraverso una serie di pratiche molto semplici possiamo attivare?
Nel mio lavoro incontro centinaia di persone durante gli stages che inizialmente si sentono a disagio, che dicono di non sapersi muovere, di non riuscire a portare a memoria i gesti. Dopo una settimana non si parla più delle proprie propensioni, ma si parla di equilibrio, di gravità, della capacità di trasmettere un gesto ad un altro, di prossimità e vicinanza'.

Virgilio SieniVirgilio Sieni, Le Lingue dei Cenacoli (2017), Cenacolo di Ognissanti


Virgilio Sieni - Ho con me in sala l'esperienza di un dottorando che è venuto a fare una ricerca teorica su queste pratiche e che potrebbe dire qualcosa sull'idea del museo e dello stare davanti ad una opera d'arte.

Giovanni Lenzi - Sono Giovanni Lenzi, sono un dottorando di Estetica all'università di Pisa e Firenze. Ho una ricerca in corso, diretta e sul campo. Sto seguendo gli ultimi progetti di Virgilio Sieni nei piccoli musei. In questa ricerca ho individuato molti livelli: pedagogico nella relazione con i cittadini partecipanti, di trasformazione tra la danza in potenza e poi in atto, di riconoscersi come performer, la trasformazione personale ma anche la trasformazione dello sguardo. Perché il museo non è più il luogo della contemplazione, non che sia una modalità da rifiutare del tutto, però può essere il luogo dove si creano nuove modalità percettive nello stare di fronte all'opera.

Virgilio - Si parla di un corpo che si trasforma nell'ambiente.

D - E scuramente c'è l'aspetto del ricordarsi di gesti che nell'abitudine sono nascosti o si annidano nei movimenti, così da ricordarli nella ri-creazione, dalla riproduzione, da sguardi presenti nel quadro vengono rivitalizzati.

Virgilio Sieni - E' molto interessante che rimanga la memoria delle opere ma soprattutto la memoria di ciò che si prova.

D - Assolutamente si!

Virgilio - ELena Pianea potrebbe dire in proposito sul tema dell'abitare il museo.

ELena Pianea - Ritorno al tema dell'abitare e mi collego al tema ed alla domanda - Cosa ci faccio dentro al museo, quali le attività pertinenti? Intanto questo è il luogo che raccoglie l'arte benchè al suo interno si possono fare altre attività, si pranza o vi si cena, si fanno festival.

Ma il museo non è una location. Ritorniamo all'idea del vincolo perché questo è il luogo della comunità, luogo che raccogli e tutela. Ma la verità non è mai assoluta. E dunque il museo è tanti luoghi e tanti spazi. Le caffetterie dei musei sono diventati spazi aperti di aggragazione, e li si può fare tutto, anche la zumba, volendo.

Però le cose che fa Virgilio nelle sale museali dove il museo ha la sua identà più forte sono altre. Il museo è anche un luogo in cui passare del tempo non solo con finalità educative, si tratta anche di contaminare le collezioni con soggetti e con persone, con artisti e con chi ha una interpretazione propria del reale, diversa e più ricca, e sicuramente dare un valore di tempo alla collezione e a chi sta dentro.

Una cosa che mi piace molto da dire in sintesi - Attivare il senso delle opere attraverso il corpo - Questo trovo che sia la summa di quanto detto e da qui dobbiamo ripartire, continuare o ricominciare per dare significato a questa parola museo. Perché è chiaro che in questo momento la necessità è di superare da un lato la location - e di superare l'idea che il museo è il luogo della conservazione o il tempio dell'opera d'arte. Si tratta di attivare nella dialettica con la collezione una restituzione come sintesi di un patrimonio nuovo del sapere.

Virgilio SieniVirgilio Sieni, PROFEZIE Laboratorio (2022) Palazzo Te, Mantova


Virgilio Sieni

Nel 1982 ho vissuto per un anno a Tokio dove sono andato per studiare un'arte marziale. La cose che mi sono mancate di più sono state i cipressi, il paesaggio con ulivi, i boschi di faggi e lecci e gli orci di olio, l'odore dell'olio e di quella patina che si crea intorno l'orcio la mattina. Cose che ho vissuto stando in campagna da mia nonna vicino a Poppiano dove passavo tre mesi l'anno, vivendole appieno queste esperienze.
E' quindi evidente che quando un ragazzo si ritrova in uno spazio, in un museo a studiare magari matematica, può farlo se lo desidera, ma le cose che rimangono sono quelle che arrivano dall'ambiente e creano intorno a noi un contesto che semplicemente viviamo.
Esperienze che tornano poi in forma di risonanza nel corpo.
In fondo siamo geniali come corpo. Noi lo viviamo attraverso concetti di risonanza, altrimenti decadrebbe per la gravità. Siamo in grado di stare verticali e tuttavia questa verticalità è sempre messa in discussione. Abbiamo un sistema di articolazioni che ci permette, se curato di avere una grande gamma di possibilità. Quando questo viene meno evidentemente la gravità inizia a crearci delle patologie per cui i nostri movimenti sono meno elastici e dissoniamo. E tutto questo è innato. Non solo per le articolazioni ma anche nelle forme del pensiero e nelle connessione della mente. In questo senso per il corpo la pratica della danza non può essere solo un atto fisico, è condivisione di concetti e di pensiero.
Quindi in un museo si devono creare spazi di relazione e di comunità. Ed è importante perché gli individui formano la loro memoria attraverso l'imitazione. Se si cerca di rammentare tutto e da soli, nella propria mente ad occhi chiusi è molto complicato. Ed è anche economicamente dispersivo, mentre imitando, sbirciando e copiando nutrendosi di persone di cui si ricorda, un gesto, un'espressione, le citazioni che ognuno piano piano rammenta.

La prima cosa da fare è rammentare impressioni per riferirsi agli altri. L'altro diviene la partitura del mio movimento. Io mi muovo perché so osservare l'altro. Non mi muovo perché mi ricordo, ho un'idea prestabilita di come si fa un gesto o addirittura ho un metodo. Mi muovo perché mi riferisco agli altri e sono gli altri ad aiutarmi, ad indicarmi le cose. E cosi le opere d'arte.
Quando vi si lavora, a volte le opere d'arte diventano una partitura.
In questo senso dico che si deve portare l'opera d'arte a casa.
Come potresti altrimenti ricordare di San Girolamo l'egiziano (agli Uffizi) che dietro la nuca ha la clessidra, sopra la clessidra c'è il teschio, in basso all'altezza delle lombari ci sono le sacre scritture che lui ha tradotto, ai piedi c'è la lucertola che ha tempi imprevedibili, andando avanti c'è il leone dormiente e proseguendo in questo senso antiorario, davanti a me c'è la croce a cui mi sto riferendo e sotto la croce c'è la lumaca che ovviamente è il tempo della lentezza, salgo gli occhi c'è la piazza che si apre e un bosco e quindi gli abeti con cui lavorare, in mano ho la pietra con la quale mi percuoto.
Le persone si ricordano di questo perché magari riproducono i movimenti in una piccola sequenza: c'è il Cristo, sopra ha la clessidra, il santo si avvicina alla lucertola, riprende la chiocciola. Attraverso tante di queste esperienze ci siamo resi conto che una prima topografia del corpo nasce da una dislocazione nello spazio. Nello stesso tempo nasce una geografia emozionale da ogni movimento, anche se non lo sappiamo.
Il movimento astratto non esiste, per come siamo costruiti siamo la restituzione reale di qualche miliardo di anni.
Ne siamo una restituzione emozionale. Abbiamo due braccia perché i nostri antenati ci hanno costruito cosi.
Qualsiasi movimento che facciamo anche se apparentemente non lo sentiamo o non ci dice niente, non importa, questo movimento a forza di attuarlo sicuramente andrà ad aprire qualcosa. Quante volte vi sarà successo che magari il medico vi tocca in un punto sensibile e sentite un dolore. Ci sono delle fonti per le memorie del corpo che ci vengono incontro da lontano, dove riconosco una memoria fisica e non solo in una parte del cervello, ma dislocata in tutto il corpo.
Quindi una pratica che ha a che fare con questa memoria, relazionata alle opere d'arte apre a possibilità veramente inaspettate per una mente contemporanea. Ripeto oggi sono aperte altre visioni di comunità per un museo, e di come il museo ci abita...

Virgilio SieniVirgilio Sieni, ESODO#3_ UN URAGANO DI UMANITÁ (2015), Il Cenacolo di Santa Croce

 


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