Paolo-Chiasera  
  Kids Riot (In the House of Lost Sound) Installazione e video
Silvio Bernelli
La casa dei suoni perduti
 
   

 

La casa dei suoni perduti

 

 

' Nessun artista italiano contemporaneo ha sviluppato un legame così forte con la musica popolare come Botto & Bruno. L’idea stessa del fare arte con i collage urbani nasce da un’interpretazione personale e spiazzante della cultura hip hop dei primi anni ’80, ben più innovativa di quanto non facciano pensare le sorti dell’hip hop attuale. In particolare, il collegamento teorico di Botto & Bruno è con le esperienze dei prime mover come Grandmaster Flash, Run DMC ed Eric B & Rakim.

Sulle strade delle periferie-ghetto delle città americane il pezzo hip hop nasce assemblando brandelli di canzoni già esistenti: la batteria dell’hit Funky drummer di James Brown, un riff chitarristico dei gruppi rock Aerosmith o AC/DC, il campionamento di una sezione fiati degli Steely Dan o di una funk band anni ’70. I dischi non si fanno più registrando musicisti che suonano, ma ritagliando e arrangiando sonorità e brani musicali già registrati in passato. Il risultato, dopo l’aggiunta della voce che “rappa” sulla base, è una canzone del tutto nuova.
Botto & Bruno, mettendo a frutto la lezione dall’hip hop, invece che dipingere o fotografare uno scorcio di città, ne ricreano uno sforbiciando gli elementi da scorci di città diverse. Ed ecco che un nuova realtà prende forma. Un lampione proviene da uno scatto fotografico, il palazzo che lo sovrasta da un altro, la palina della fermata d’autobus sullo sfondo da un terzo e cosÏ via all’infinito.
E se è diverso il supporto artistico, là un pezzo dei Public Enemy, qui un lavoro di Botto & Bruno, non è affatto diversa l’idea del remix che ne è alla base. Questa scelta viene esplicitata attraverso elementi che sottolineano e rivendicano il collegamento ideale esistente tra la coppia di artisti torinesi e la prima generazione dell’hip hop americano.

Ed ecco quindi gli innumerevoli lavori che mettono in scena, tra le braccia dei silenziosi eroi urbani di Botto & Bruno, l’icona inventata e impersonata dai due artisti, vecchi dischi in vinile a 33 o a 45 giri. Spesso i dischi vengono mostrati nella loro nudità, senza copertina, quasi a volere amplificare l’importanza della loro presenza nel contesto urbano degradato che di solito fa da sfondo, o costituisce esso stesso, l’opera.
che Olaf Nicolai celebra con Innere stimme (2010), opera in cui viene recuperata attraverso le voci una parte di brano che Schumann aveva previsto non si potesse cantare. Il recupero discorsivo avviene attraverso la proposizione del canto nella o nelle sale al pubblico; pubblico che può solo immaginare unendo le voci che si diffondono nello spazio in una unica melodia la forza dellacomposizione romantica attraverso il particolare.
Esemplare di questa tendenza è un’opera della prima parte della carriera di Botto & Bruno: Sogno sonico. » una sorta di letto con una federa letteralmente ricoperta di dischi e il materasso che mostra la stampa di un testo ritagliato da una o più canzoni: un invito a dormire nella musica, quasi. In altri casi, come in L’attesa, il disco è presente in quantità, impilato, come la piccola collezione che qualunque giovane degli anni ’80 conservava nella propria cameretta.
Altri esempi di questo orientamento musicale all’opera d’arte si trovano nel lavoro Space Oddity, con un personaggio che porge a un ipotetico passante una copia del celebre disco di David Bowie, o Suburb’s time. Qui le mani in primo piano stringono un 45 giri della band di rock rumorista newyorkese Sonic Youth. Ancora un esempio da un’opera più recente, Small town VI, in cui un ragazzo stringe tra le mani una cuffia, il vero strumento di lavoro del dj.

In Suburb’s island e Wasting your time protagonista della scena è il giradischi, anch’esso emblema della dj culture. Si tratta ovviamente di situazioni paradossali dove i dischi suonano per gli umani presenti nell’opera anche a dispetto della mancanza di qualsivoglia corrente elettrica. Da sottolineare anche il fatto che i misteriosi protagonisti dei lavori, che Botto & Bruno stessi impersonano, mostrano un look da strada non dissimile da quello imposto alla moda mondiale proprio dai rapper americani: pantaloni a vita bassa, felpe con cappuccio, abiti costantemente fuori taglia. Se la cultura hip hop è certamente più importante per gli artisti torinesi, che il linguaggio settoriale della musica definirebbe un duo e non una coppia, la cultura rock è più chiaramente percepibile. Sono innumerevoli le opere che comprendono manifestini di band appesi per le strade e altri richiami al mondo del rock, come ad esempio La stanza della musica: un’installazione di una camera con il soffitto scoperchiato su un panorama urbano, il pavimento cosparso di dischi in vinile, le pareti in mattoni a vista ricoperte di manifestini di Radiohead, Nick Cave, P.J. Harvey, Sonic Youth e White Stripes. Gli artisti rock citati da Botto & Bruno sono accomunati dall’appartenenza originaria al mondo anglosassone, a parte pochissimi nomi, e all’ambito dell’underground. In qualche caso questo comune DNA di artisti nati fuori dalle logiche dello show business si è tramutato in carriere da rock star di prima grandezza, come nel caso di Radiohead e White Stripes, oppure nello status di icona alternativa raggiunto dai Sonic Youth. Al centro di altre installazioni, come nel trittico Ten years later, è invece protagonista il simbolo per eccellenza dell’iconografia rock: la chitarra elettrica.

Spesso la musica rock è presente anche in lavori in cui, a un primo colpo d’occhio, parrebbe non c’entrare nulla. » il caso di Walking II, in cui il solito personaggio di giovane metropolitano che pare assorto in meditazione davanti a un muro di periferia segnato dai graffiti, sullo sfondo del quale incombe un grande caseggiato di edilizia popolare, in realt‡ stringe tra le mani una rivista rock. Guardando con attenzione, si scorge che il titolo della pagina rivolta verso lo spettatore è dedicato alla star americana Patti Smith. In altri casi, In a suburban house e Collage town, il legame con l’universo della musica è ancora più nascosto. Qui i protagonisti dei lavori osservano fluttuare nell’aria oppure stringono tra le mani volantini su cui campeggiano frasi. Si tratta di brandelli di testi appartenenti ad artisti diversi (Smiths, Belle & Sebastian, Nirvana) e “montati” insieme. L’operazione non è dissimile agli esperimenti di William Borroughs del cosiddetto cut-up: un componimento testuale che nasce dall’accostamento di più parole scelte a caso, provenienti da un testo che è stato precedentemente distrutto. L’operazione applicata al linguaggio attraverso l’utilizzo della cultura “alta” del romanziere è la stessa che viene applicata alle immagini attraverso la cultura “bassa” dell’hip hop americano. Gli stessi titoli delle opere di Botto & Bruno sono sempre frammenti di canzoni rock firmate Joy Division, Tom Waits, R.E.M e molti altri.

Volantini, strumenti musicali, brani di testi e titoli delle opere rappresentano per Botto & Bruno una strizzata d’occhio nei confronti del pubblico. Un modo per comunicare l’appartenenza degli artisti all’universo del rock alternativo, di cui condividono la filosofia densa di ribellismo, coscienza sociale e poesia libertaria. Oltre ai riferimenti all’hip hop e al rock colto, nel percorso artistico di Botto & Bruno esiste un terzo nesso con la sottocultura musicale underground, forse il più esplicito sul piano visuale: quello con il punk. Lo stile con cui i collage urbani vengono composti dal duo di artisti non puù non far ricordare la tecnica ruvida e strappata dell’aggressiva grafica punk della seconda metà degli anni ’70. Le immagini in bianco e nero e l’effetto-stropicciato delle opere che gli artisti torinesi stanno realizzando proprio in questi ultimi tempi sembrano rappresentare una citazione ancora più forte all’iconografia punk della prima ora di Ramones, Sex Pistols e Clash. Nelle installazioni Il rock’n’roll ci salverà, e A concrete town is coming il fil rouge con il punk viene posto all’attenzione attraverso locandine rielaborate dei concerti o, come in La casa dei suoni perduti, grazie a vere e proprie fanzine fintamente passate di mano in mano, opere d’arte tridimensionali e sfogliabili. L’immediatezza e la schiettezza della sottocultura punk trovano poi la loro più clamorosa esposizione nel discorso poetico stesso di Botto & Bruno, nei loro scenari urbani e marginali, che parlano da sé l’alfabeto della resistenza umana caro al punk della prima ora. Da rilevare però che se vale l’assunto dell’utilizzo del canone estetico punk, Botto & Bruno lo risolvono attraverso un approccio assai meditato, figlio di una lunghissima cultura dello sguardo e dello spazio urbano tipicamente italiano, che del punk inglese o americano ha poco o nulla.

Altro punto di contatto con la cultura punk, questa volta perù quella legata ai suoni più sperimentali e sotterranei dell’hard core italiano di metà anni ‘80 che non agli hit brutali sfornati da Johnny Rotten & company nella Londra del ’77, Ë il lavoro multimediale Kid’s riot presentato per la prima volta in questa mostra personale. Si tratta di un video, “rubato” dalla telecamera degli artisti, che mostra una battaglia a colpi di scatole di cartone tra bambini appartenenti a uno spicchio di società che si immagina facilmente degradato, ma egualmente, o forse proprio per questo, capace di esprimere una giocosità bullesca e liberatoria.

A fare da colonna sonora al lavoro, Botto & Bruno hanno scelto un pezzo molto particolare della band Declino, in cui chi scrive ha avuto l’onore di suonare e in seguito di raccontarne l’avventura nel romanzo “I ragazzi del Mucchio”. Il pezzo si intitola Eresia, è stato inciso nel 1984 e si compone di un giro di poche note, ripetuto in maniera ossessiva e suonato con un crescendo di potenza e intensità. In una formula: è una sorta di incrocio hard core tra The End dei Doors e il Bolero di Ravel, a cui l’improvvisazione di urla strazianti eseguita dal cantante Sandro Bramardi aggiunge violenza e cupezza. Eppure in Kid’s riot, magicamente, grazie alle immagini in bianco e nero, alla maestria di un montaggio quasi impercettibile e alla dirompente “interpretazione” degli “attori”, la carica eversiva di Eresia viene spogliata dei suoi elementi più drammatici e riconvertita in un grido di vitalità istintiva e gioiosa. Un’operazione di trasformazione delle emozioni che solo la sensibilità di Botto & Bruno sarebbe stata in grado di fare '.

Courtesy of Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato.


 
 
 
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