- Una
conversazione -
"Cuscini di lappole", "Monticelli di semi di edera" sculture
e installazioni che sembrano svelare per un istante, continuo "La
segreta vita delle piante" -
Una geometria intima dei semi : sembrano modelli di un'architettura
coscienziale.
Di certo in tutti questi lavori c'è un interesse sperimentale
per lo spazio - Come trattarlo? Oppure come veicolare l'energia:
concentrarla, reticolarla? Radiarla, spazialiazzarla! Privi di
pathos queste "sculture" suscitano reazioni
spontanee, colgono l'intima necessità di un senso
tutt'altro che compiuto.
Artext - La tua vita nell'arte. Puoi
dire da dove è cominciata?
Christiane Löhr - Ho iniziato a frequentare l'accademia di Magonza, che poi ho concluso a Düsseldorf. Inizialmente lavoravo in solitudine e questo è stato importante per il mio sviluppo. Ho rinunciato a dei progetti perché li trovavo inutili, e la mia insegnante mi lasciava in pace non sapendo che cosa fare. Credo sia stata la mia fortuna: avere uno spazio mentale libero per provare, per sperimentare; anche per sbagliare.
Mi sembrava che non c’era nessuno da cui imparare qualcosa, certo mi mancava il confronto, la discussione.
Poi a Düsseldorf sono andata da Kounellis che lì iniziava un corso di insegnamento.
Sono arrivata nella sua classe già preparata, con un concetto intuitivo forte.
Artext - Che cosa insegnava Kounellis?
Christiane Löhr - Insegnava come vivere l' arte. Come essere artista. Kounellis non è affatto didattico, non ti suggerisce come fare le cose. Piuttosto ha un concetto molto aperto dell' arte. Sentirlo parlare è stata una esperienza importante - era oltre la storia dell’arte.
Artext - Parlava anche del suo lavoro?
Christiane Löhr - Non parlava mai del suo lavoro in modo concreto. Lo faceva in modo metaforico,
prendeva tutta la storia umana come fonte e non si soffermava su di un punto specifico dell'arte o su di uno stile. Questa è stata per me in effetti l' educazione all'arte - mi fatto capire la mia libertà, ma anche il limite.
Spesso noi studenti eravamo lasciati soli da Kounellis, che realizzando mostre in ogni parte del mondo, faceva altrettanto bene sentire la sua assenza! Ma quando era presente, noi svuotavamo lo studio per allestirvi delle mostre e provare diverse situazioni – come poi lavorare con lo spazio.
Artext - Altre persone che con il loro idee sono entrate nel tuo lavoro?
Christiane Löhr - Una artista che ammiro moltissimo è Meret Oppenheim. Un’artista che usava qualsiasi tecnica e materiale, e che nell’operare rimaneva sempre molto vicina alla sua vita interiore. Mi ha fatto capire che il lavoro esiste già nella mente prima che nella materializzazione.
La sua libertà mi ha influenzato nel cercare sempre una autenticità e intimità nel lavoro.
Artext - E Joseph Beuys ed il movimento del Naturkunst?
Christiane Löhr - Gli artisti di questo periodo si sono appropriati di nuovi spazi, e hanno aperto le strade a una nuova sensibilità, come l' Arte Povera degli anni settanta. Mi rammarico solo di non aver incontrato Beuys. Credo che sia stato una persona incredibile - come il suo lavoro.
All’inizio dei miei studi, ho letto un libro che mi ha influenzato molto, si chiamava ‘soft art’ e trattava degli artisti di quella generazione. Mi ricordo di una foto - l’installazione con i cavalli di Kounellis, una scoperta che mi colpì moltissimo. Credo che questo sia stato il motivo per voler studiare con lui.
Stranamente, osservando il mio lavoro, trovo che siano stati importanti i pittori americani come Pollock, Newman, Lewis, Rothko ect. Forse perché ne sento forte l’azione mentale che si esprime nel gesto, e che lascia le tracce sulla tela. Riesco a percepire la personalità, l’intenzione dell’artista e il suo modo di appropriarsi dello spazio immaginativo.
Artext - Comunque nel tuo lavoro non c'è stato uno sviluppo perfomativo o teso all'azione.
Christiane Löhr - All’inizio facevo installazioni in campagna, dove nel mio intervento, aveva parte anche l’interazione con i cavalli. Ma mai questo è stato pensato come una azione pubblica. Anche adesso il lavoro in studio è una ricerca intima che non posso dividere con nessuno.
Kleines Gehänge 2007
fiori d'albero
10 x 4 x 4 cm
Artext - Vivere a contatto con la natura è stato importante per te?
Christiane Löhr - Si! Ho sempre avuto un contatto diretto con la natura. Già da piccola mi piaceva osservare le cose da molto vicino. Abitavo nella zona della Mosella - un luogo incontaminato e selvaggio.
Poi a sedici anni ho vinto un cavallo: un giorno, ad una festa - in un centro di equitazione - Io e le mie tre sorelle che siamo sempre state appassionate di cavalli, abbiamo comprato un biglietto e con questo abbiamo vinto il primo premio. Consisteva in un cavallo. Un cavallo che dopo qualche mese avrebbe figliato “Nils”, che mi ha accompagnato per 24 anni, fino a tre anni fa.
Artext - Avevate qualche esperienza di cavalli?
Christiane Löhr - E' strano - perché mio padre era impiegato dello Stato e nessuno in famiglia aveva dimestichezza con la terra o il lavoro dei campi - ma siamo riusciti lo stesso a prendere un appezzamento di terra in un luogo abbandonato e portarvi il cavallo.
Ricordo che allora frequentavo l'Accademia - e contemporaneamente accudivo il mio cavallo. Avevo una vita quasi selvaggia, passavo tutto il mio tempo lì. Dormivo qualche volta nella stalla, accompagnata dai cavalli, dal mio cane e da una capra.
In questo periodo realizzavo dipinti, ritratti, e anche fotografie. Poi piano piano - trovandomi i crini del cavallo tra le mani - elaborandoli - sono entrati nelle mie idee e nel mio linguaggio.
Artext - Ancora adesso esegui dei lavori con i crini di cavallo.
Christiane Löhr - Sì. In questi come in altri lavori c'è l'intenzione dichiarata di appropriarsi di uno spazio. E' come un esperimento in cui si procede seguendo certe regole.
Nei lavori con i crini comincio da un centro. Vado sempre a specchio, su quattro lati - quasi come la risoluzione di un problema aritmetico... che se eseguo un movimento, dovrò ripeterlo simmetricamente... e cosi avanti verso l'esterno – in tappe lente e meditate.
E un'azione complessa e complicata, ma alla fine del tutto, il risultato sembra logico e evidente.
Artext - Natura / cultura. Hai elaborato delle teorie intorno al tuo lavoro?
Dalla teoria delle forme o dei sistemi proviene qualche suggestione?
Christiane Löhr - La mia ricerca è intima e personale. Quello che posso dire è che la fonte del mio lavoro non arriva da quello che vedo o quello che leggo e non fa riferimento alla storia dell’arte.
Osservo me stessa guardando il mondo. Raramente trovo cose che corrispondono con una parte interiore. Su questo ho costruito una teoria molto personale. Si tratta, dell’osservazione, sulle ‘forze’ che si esprimono nella natura, così come nell’architettura. Ma potremmo parlare di costruzione in generale.
Artext - Come nasce un tuo lavoro?
Christiane Löhr - Parto da una idea, una visione. Ma non è una idea della mente, piuttosto è una cosa sentita, forse come un peso. E dunque procedo con i materiali. Il materiale porta con se la possibilità di esprimere questa visione interiore. Ecco lì c'è un punto di dialogo, di confronto o di contatto.
Dove posso andare?! Che cosa succede se...! Comunque, qualche volta il materiale è la chiave per un lavoro.
Così ogni lavoro è come un esperimento, con un inizio, fino ad un punto di equilibrio su cui soffermarsi. Devo soltanto trovare il punto con la più forte concentrazione.
Artext - Visione?
Christiane Löhr - Si! Qualcosa che mi spinge avanti. Mentre l'altra componente del lavoro è il materiale che dà dei limiti. Così si creano dei livelli di tensione, di movimento e di unicità.
Nella vita delle forme - come in ogni mia scultura c'è un movimento, qualche volta è lento qualche volta è veloce. Segue una regola precisa.
Queste regole sono dappertutto - nella vita materiale, ma anche immateriale; in tutto. Io cerco di trovare queste regole e fissarle.
E mentre lavoro la visione è sempre una componente forte - ciò che faccio, sono cose che escono da questo processo mentale. Poi sono lì - sono manifesti - di una strada, di un vuoto - la materializzazione di qualcosa di intoccabile.
Artext - E per l'osservatore sarà… "come le cose toccano lo spazio"
Christiane Löhr - Questo è il titolo di una mostra (Wie die Dinge den Raum berühren, Kunstmuseum Bonn, 2003) a cui mi sento molto legata. I miei lavori sono molto permeabili - Mi interessa dove finisce lo spazio - dove finisce la scultura, dove entra lo spazio che non è qualcosa di isolato - sì, tutto è apertura.
Samenkissen 2007
dente di leone
8 x 43 x 28 cm
Artext - C'è dunque un interesse sperimentale per lo spazio.
Come trattenerlo? Attraverso una selezione preventiva dei materiali?
Christiane Löhr - Certo seleziono i materiali. Sono poche le piante che hanno il grado astratto che mi serve.
Non ho bisogno della natura intatta per trovare il mio materiale. Spesso sono piante che crescono ai lati delle strade. Le trovo là dove la natura e la civilizzazione si incontrano. Ma non sono un archivista. Porto le cose a casa in un modo spontaneo e casuale. E non c’e sempre l’idea per un lavoro, mi piace osservare le forme anche senza un motivo preciso.
Da sempre ho uno studio in città - a Colonia, e mentre vado a lavorare, mi trovo a soffermarmi sui cigli delle strade. Ho poi qualche luogo dove ritorno nella stagione giusta a raccogliere ciò che mi serve. Ma succede anche che non sempre cresca la pianta che potrebbe essere utile. E non posso fissarmi su qualcosa. Anche per una mostra, tutto è aperto fino all’ultimo giorno dell’installazione.
Artext - Osservandoti mentre lavori sembra che applichi una particolare concentrazione.
Christiane Löhr - Le parti delle piante sono veramente molto piccole...mi sembra che quando lavoro più che vedere, vale la conoscenza del materiale. Io uso questi elementi come dei mattoni - e metodi di costruzione che mi danno diverse possibilità, ma è spesso un lavoro molto ripetitivo e molto meditativo.
Artext - I tuoi lavori sono stati accostati ai modelli coscenziali di architetture Hindù.
Christiane Löhr - Questo vale per i lavori di semi di edera. Quando abitavo a Parigi dove l' India è molto presente, ho iniziato con i lavori di semi di edera che prendevo in un piccolo parco vicino Notre Dame. In questo periodo ho scoperto dei libri con i templi indiani del sud - luoghi favolosi. E mentre osservavo le fotografie capivo che c'era qualcosa nel movimento che liberano queste costruzioni molto vicino al mio lavoro.
Sono andata in India con una borsa di studio. L' ho richiesta per poter vedere gli stessi templi che conoscevo dalle fotografie, così è nato l’itinerario, andando dal nord al sud, 13000 km in tre mesi.
Lì ho capito tante cose. Ho capito che il mio interesse per l'architettura è relativo, mi interessa molto di più un pensiero che diventa forma, ed il risvolto sensibile che creano questi luoghi.
Per esempio, queste costruzioni sono disposte su di un centro, e questo centro va verso la terra - e questo lo senti anche nelle persone, che sono lì, nel momento - nel presente, nel corpo.
Al contrario dei templi arabi che pure coesistono nelle stesse città, ma che sono orientati verso la Mecca - e così il loro sguardo è più distante - oltre. Comunque, l’architettura islamica si misura sulla presenza fisica umana.
Artext - Esegui un mantra?
Christiane Löhr - Sono sempre diffidente con le dottrine che modulano la variazione, e non accetto di seguire una cosa che risulti un assunto.
C’è un proprio modo di trovare una forma spirituale per realizzare un lavoro. C'è qualcosa di continuo che lavora dentro, spesso sogno di essere una mia scultura.
Lotto su ogni millimetro, ed è necessaria una grande concentrazione per fissare una apertura nello spazio.
Vale anche per i disegni. C'è comunque un foglio bianco su cui trovo sempre un modo minimale - di tenerlo, coprirlo e organizzarlo. Non parto da una idea o una figurazione – è costante un principio verticale - e poi vado verso i lati. Sembra similare al movimento della crescita delle piante, ma per me è un movimento astratto. Si tratta sempre di una forma di sciolgimento verso l’esterno.
Ho iniziato tanti anni fa con disegni di pochi centimetri. Adesso ne realizzo di dimensioni più grandi
(un metro per settanta circa e in questo periodo tento anche di andare oltre) e questo dopo anni e anni di coerente lavoro.
Graskuppel 2006
gambi di piante
14 x 40 x 40 cm
Artext - Di recente sei stata in Giappone. Una cultura certo differente!.. e non si tratta solo dello spazio interstiziale - piuttosto di una relativa assolutezza..
Christiane Löhr - In Giappone sono stata invitata per una esposizione, a Tokyo. Mi ha colpito moltissimo l’idea, che si parta da cose minime e, da lì, si sviluppa un pensiero che crea il mondo.
Ebbene - c'è una idea di isolamento.. la ritrovi in ogni esecuzione, anche nel cibo tradizionale.
Per esempio - ci sono dei ristoranti, dove mentre si sta seduti, sulle ginocchia, su dei cuscini, arrivano piccoli contenitori con due tre cose dentro, incredibile - tutto disposto in un certo modo:
- e questo crea un cosmo chiuso - il tavolo è un altro cosmo, e così sempre più avanti. Anche quando sono vuoti, e si è mangiato – rimane la stessa perfezione.
Li dove sono stata invitata, il cibo era in contenitori rotondi di forme progressive, che terminato il pasto si mettevano tutti insieme. Si creava una palla come un fiore rosso per il cosmo finale.
Ma il principio è sempre nella precisione sulle cose minuscole - tutto crea mondi limitati e chiusi.
E allora si capisce che tutto è isolato.
Artext - In occidente piuttosto pensiamo attraverso una grande rete di connessioni arborizzanti... fino ad immaginare certe aree come panorami.
Christiane Löhr - Sì. Ma io in ogni caso non parlo di visualità, parlo del sentire, del concetto spirituale che si fa sentire... - come dei pesi - realtà in equilibrio – quello che entra nel corpo e la mente.
Piuttosto si tratta di una visione che segue alla percezione fisica.
Artext - C'è un grado zero che accomuna i tuoi linguaggi?
Christiane Löhr - Il punto zero sarebbe il vuoto totale e nello stesso momento la presenza di tutto. Da questo stato si deve formare una “concezione”. La mia ricerca è di trovare il punto di congruenza più elevato, come dire, che la materializzazione si deve circondare del motivo spirituale.
In ogni caso non parto dal nominativo (il titolo della cosa), piuttosto dal suo verbo - (esistere - o di come si porta fuori). E allora le sculture occupano lo spazio in modo attivo - perché al suo interno c'è una azione.
Artext - E un'intima prefigurazione.
Christiane Löhr - A volte sì, è come uno specchio - vedi qualcosa che ti corrisponde dentro.
Credo a qualcosa dentro di noi che è molto indipendente, che prova a definire lo spazio in un modo intimo e personale.
Artext - Persegui l'intento di portare agli esiti estremi un' idea o una pratica attraverso un'azione?
Christiane Löhr - Mi sembra che vado dal vuoto all’abbondanza. Quando raggiungo il punto estremo, devo tornare indietro. Ci sono i cicli - ché arrivati ad un certo punto, si apre una fase nuova - Ma tuttavia si tratta sempre di trovare un equilibrio. Ed ogni giorno, c'è una sfida nuova.
Artext - Fine ultimo della natura è forse l'arte?
Christiane Löhr - Nel mio concetto l’arte e la natura non si escludono. Tutto procede sulle stesse regole, come dicevo prima. Le cose si uniscono più di quello che noi supponiamo.
Artext © 2007 |