casamasaccio  
  Luca Rento, apparentemente nulla, 2004
Saretto Cincinelli - Cristiana Collu
Esporre il tempo


L' evento immobile
LO SGUARDO OSTINATO

Casa Masaccio

 


Cos’è, nell’immobilità di una immagine video o cinematografica a inquietarci, ad apparirci, in un certo senso, innaturale, inadeguato per eccesso (?): era grosso modo questa la domanda che ci eravamo posti inaugurando L’evento immobile. La risposta, emersa dall’analisi del primo nucleo di opere proposto nella occasione , era che l’immobilità, trasmessa con mezzi per così dire “impropri”, produce un “deficit” nel tessuto del senso, introduce nel discorso comunicativo un “in meno”, capace paradossalmente di restituire all’immagine un “surplus” di presenza che la fa vacillare in quanto immagine-icona.
È quanto ci pare constati, sia pur indirettamente, Jean Cocteau quando scrive: «Una casa fotografata e una casa filmata non si rassomigliano affatto.
Per quanto non accada nulla il cinema registra lo stesso il tempo che passa».
«Il cinema – sostiene infatti Deleuze – non ci dà una immagine alla quale aggiungerebbe il movimento, ci dà immediatamente una immagine-movimento» (2). Nella sua materialità la “pellicola” è realmente una collezione di istantanee, ma il film, in proiezione, e un film non esiste che in proiezione, le annulla tutte a vantaggio di un’unica immagine media, in movimento. Per Cristian Metz l’aspetto rivoluzionario del cinema è racchiuso tutto in questo paradosso: «Iniettare nell’irrealtà dell’immagine la realtà del movimento»(3) .


Ma allora cosa accade quando, come nei primi video di Rossella Biscotti o di Luca Rento, macchina da presa e soggetto “ripreso” si immobilizzano stregandosi a vicenda in una sorta di gara delle “belle statuine”?
Accade che “l’immagine-movimento” è ostinatamente ri-condotta verso la medusazione tipica dell’immagine fotografica, verso una staticità mancata, precaria e vibratile che proprio perciò tende a spostare l’attenzione verso la dimensione temporale, sonora e strutturale dell’immagine.
Se Barthes può affermare che «il noema della fotografia si altera quando quella fotografia si anima» (4), possiamo parafrasarlo asserendo che, allo stesso modo, il “noema” del cinema (o del video) si alterano quando l’immagine si immobilizza. Il cinema, infatti, è tutto tranne che un’arte dell’istantanea; una inquadratura, per quanto immobile e piatta possa essere, non sarà mai la condensazione di un momento unico, ma sempre la traccia di una durata.
Diversamente da una foto, il fotogramma non restituisce una “posa” ma un singolo istante, solo uno dei tanti di cui si compone un movimento.
In questo è dunque un parente prossimo della cronofotografia di Marey e Muybridge. Il cinema riproduce il movimento in funzione del “momento qualsiasi”, cioè in funzione di istanti equidistanti scelti in modo da dare l’impressione di continuità. Ogni altro sistema, che riproduca il movimento attraverso un ordine di pose proiettate in modo da “trasformarsi” le une nelle altre, è estraneo al cinema.
Lo si vede bene, precisa Deleuze, quando si cerca di definire il cartone animato: se quest’ultimo «appartiene pienamente al cinema è perché il disegno non vi costituisce più una posa o una figura compiuta, ma la descrizione di una figura che si sta sempre facendo o disfacendo attraverso il movimento di linee e di punti presi a istanti qualsiasi del loro percorso.
Il cartone animato… non ci presenta una figura descritta in un movimento unico, ma la continuità del movimento che descrive la figura» (5).
Il cinema è dunque, per il suo stesso dispositivo, una negazione “dell’istante rappresentativo”. “Quell’istante pregnante” che, a partire dalla sua teorizzazione nel Laocoonte (1766) di Lessing, tanta parte ha avuto nell’elaborazione di numerose teorie pittoriche e fotografiche. Al cinema l’istante si produce soltanto, incessantemente circondato da altri istanti, tant’è che una ripresa continua e priva di tagli “imbalsama il tempo” (Bazin). Nella ripresa cinematografica il tempo più che rappresentato è “duplicato” e ri-presentato, ed è proprio ciò a permettere la possibilità del loop, un infinito rispecchiamento dell’immagine in se stessa, un movimento che, risorgendo continuamente dalle proprie ceneri, produce una sorta di incantamento, una oscillazione che finisce per trasformarsi in ritmo.
Più che “fermare il tempo”, congelarlo, medusarlo in un istante significativo, certe opere cinematografiche o video “fermano”, “rallentano” o “sospendono”, nei limiti del possibile, il movimento interno all’inquadratura prescelta: ciò non significa però “fermare il tempo” ma, all’opposto, in un certo senso, “esporlo”.
È quanto mostra la video installazione Slow Life (2003) di Gary Stevens, in cui l’estremo rallentamento di anodine azioni umane (indossare una giacca, scendere una scala, ecc.) è ottenuto non, come potrebbe apparire a prima vista, tramite slow motion ma esclusivamente per via performativa, grazie a un infinito rallentamento dei gesti fisici dei personaggi, come evidenzia il fatto che, contrariamente alle azioni umane, il moto degli accadimenti (le fiamme del caminetto, lo scorrere dell’acqua, ecc.) si svolge invece in “tempo reale”, creando così un cortocircuito fra due temporalità simultanee e apparentemente incompatibili. Non casualmente Dominique Païni, ha potuto scrivere «certains artistes se sont emparés de l’image animée pour exposer un nouveau “matériau”: le temps» (6).
Crediamo che la maggior parte delle opere che presentiamo e che abbiamo proposto nelle precedenti edizioni di L’evento immobile si caratterizzino più per questa paradossale volontà, eminentemente video-cinematografica, di “esporre il tempo”, che per quella tradizionalmente fotografica che consiste invece nel fermarlo. Nella (quasi) immobilità o nella reiterazione infinita del loop, il tempo non si ferma ma evidenzia il suo trascorrere.

Sulla scorta di alcune suggestioni scaturite da una recente rilettura di un saggio di Agamben (7), ci pare di poter ipotizzare che l’immagine tendenzialmente immobile, veicolata tramite cinema o video, sia, nella sua intenzione più profonda, la ferma rivendicazione di una esperienza del “possibile”.


Continua  -pdf

   

- L’evento immobile (contrattempi), a cura di Saretto Cincinelli e Cristiana Collu, Gavoi, MAN 2007.
2- Gilles Deleuze, L’immagine-movimento, Ubulibri, Milano 1984, p. 15.
3- Christian Metz, Semiologia del cinema, Garzanti, Milano 1989, p. 30.
4- Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, Torino 2003.
5- Gilles Deleuze, L’immagine-movimento, cit., p. 17.
6- Dominique Païni, Le retour du flâneur, Art press, 255, 2000
7- Giorgio Agamben, Bartleby o della contingenza, in Gilles Deleuze, Giorgio Agamben, La formula della creazione, Quodlibet, Macerata 1993.
 Website   - Casa Masaccio
2010 © Artext