Emanuela Ascari  
  Erosioni a nord-ovest. 2012
EMANUELA ASCARI
SUL PAESAGGIO
 
   

 

A partire dagli spazi incerti

 

Mi riconosco in spazi marginali della città, spazi residuali dove il selvatico riemerge a rivendicare l'inarrestabile vitalità della materia. Mi riconosco nel selvatico. Sono le tane delle lepri e dei fagiani, tra equiseti e piante per me “senza nome”, sono discariche di ordinaria amministrazione, sono spazi di libertà per un abitare spontaneo e marginale.
Questi spazi vivono al di sotto della quotidiana soglia di attenzione, chi non li pratica non li vede se non di lato, li dimentica, ci gira attorno, ne ha paura. Spesso sono difficili da raggiungere, bisogna scavalcare transenne, reti di cantieri “in attesa”, guardrail, camminare lungo i margini di infrastrutture della mobilità veloce, entrare in aree vietate ai pedoni o per soli addetti ai lavori, praticando piccoli atti di illegalità per appropriarsene.
Se dapprima ho seguito un fascinazione istintiva verso questi spazi, che mi ha portato ad addentrarmi e ad esplorarli, ho poi realizzato come questi apparenti vuoti fossero in realtà densi di tracce di un vissuto che trova spazio in questi luoghi, o di qualcosa che è stato altrove e che lì giace in un tempo sospeso. Sono spesso depositi dove si accumulano gli scarti di ciò che non trova posto nella città organizzata e controllata, funzionali a ciò che sta loro attorno, all'economia di un sistema che ha bisogno di vuoti per permette ai pieni di esistere. Paesaggi dai quali emerge il “rimosso” della città, o semplicemente la poesia dell'incertezza. In questi spazi caotici si deve modificare lo sguardo adattandolo al luogo per cogliere le tracce che affiorano dal terreno, l'inaspettato che questi luoghi possono offrire.
A partire da questi spazi incerti individuo gli elementi per un discorso sul paesaggio, dando forma ad una riflessione sui mutamenti del territorio. Rielaboro paesaggi ricomponendo i ritrovamenti.
La prospettiva è una riconnessione con l'ecosistema di appartenenza, tra cultura e natura, tra produzione e consumo, costruzione e distruzione.
Per fare ciò sento la necessità di stabilire un contatto diretto, corpo a corpo, con il territorio, mettendomi in relazione 1:1. E faccio un grande lavoro fisico, l'azione è forma, e il lavoro è il risultato di quella azione. C'è uno scambio, si libera energia che si converte nell'opera. Sono sicura che il lavoro si carichi di questa energia.


Disgregarsi della materia

Per una serie di opere ho individuato nella materia sbriciolata e consumata dal tempo una sintesi dei processi di trasformazione, della natura transitoria delle forme. Ho recuperato polveri di materiali edili risultato della naturale erosione di edifici demoliti o in via di demolizione per realizzare installazioni la cui formalizzazione dipende dalle riflessioni che si aggiungono di volta in volta al lavoro, composizione del paesaggio, consumo di suolo. Sono scarti dell’abitare che, venuta meno l’energia che li determina e li tiene insieme, partecipano più velocemente alle forze dell’ambiente subendo un’accelerazione dei processi di sfaldamento, una tensione verso la contaminazione, verso uno stato di indeterminatezza. Ciò che resta è un precipitato di memoria che si deposita a terra, destinato a re-integrarsi al suolo, fase significativa di un processo ciclico, geologico, per il quale il prodotto dell'erosione diventa materia prima per un nuovo paesaggio.
Questi lavori, essendo la polvere semplicemente appoggiata a terra o su un piano sollevato, mantengono uno stato di precarietà e fragilità, contro l'apparente solidità che si percepisce ad un primo sguardo.
La polvere ha a che fare con la caducità, con la distruzione, con il rigenerarsi. Materia informe e indefinita porta in sé la poesia di ciò che non si riesce ad afferrare, di ciò che è stato prima di divenire altro.





Terra

Assecondo una tensione verso la terra, come atto fisico e culturale. Riavvicinarsi alla terra ・una necessità per riappropriarsi di quel senso di appartenenza andato perduto in anni di allontanamento da questa materia vitale. Per ricondurre la nostra identità alla terra.
Il sapere viene dalla terra, materia primaria di conoscenza e cultura, in contrasto con un'ottica di produzione e consumo che la vede come semplice materia prima.
Nella terra resta inscritta la storia e la memoria.

Un approccio vicino alla pratica archeologica, di scavo e setacciamento, permette di esplorare lo spazio tra le stratificazioni del tempo e della materia, affrontando percorsi verso l'ignoto, lasciandosi guidare dai ritrovamenti. È una pratica di investigazione del territorio a diretto contatto con la terra dalla quale affiorano residui dell'abitare, delle attività produttive, della vita dei luoghi. Ho riscontrato inoltre come nell'atto dello scavo ci sia una certa affinità con il fare scultura, per via di levare.


Macerie

Distruzioni e ricostruzioni del nostro paesaggio sembrano cancellare, fare tabula rasa di edifici e delle loro storie, ma nulla viene in realtà realmente eliminato. Le macerie cambiano forma, divengono inerti e vengono abilmente rimosse, traslocate, a volte a creare monticoli che immediatamente si ricoprono di fitta vegetazione spontanea a celare allo sguardo la loro natura urbana, altre volte riposizionate in aree marginali in attesa di un loro riutilizzo. E ci si trova a percorrere strade che appoggiano su frantumi di case riamalgamati col terreno.
Vivo a Bologna dove si ergono due inaspettate colline: la Montagnola, cumulo di macerie della fortezza di Galliera e discarica di cantieri pubblici dal Medioevo fino al '600, e il guasto dei Bentivoglio, cumulo di macerie della devastazione di palazzo Bentivoglio nel 1507.
Un progetto utopico ・quello di poter sezionare una di queste colline, ma ho il sentore che non mi sarà possibile. Per ora mi sono limitata a sezionarne una molto più piccola, in un'area periferica della città.  La discarica, quale miglior banca dati per un archeologo.


Lo scarto come materiale

Particolare attenzione la rivolgo agli scarti, rifiuti, resti, l'altra parte della produzione e del consumo, fino a rivolgermi a interi spazi residuali, quelli descritti precedentemente. Ogni atto creativo e processo di produzione genera scarti. Il consumo genera scarti. Una società basata su un'economia del consumo non può non avere a che fare con i propri scarti, attribuendo loro valore in quanto risorsa, bene comune, capitale per il rigenerarsi del pensiero e dell'economia stessa. Secondo Gunter Pauli, che ha argomentato come i sistemi naturali possano essere presi a modello per un'economia sostenibile, lo scarto di un sistema di produzione dovrebbe diventare “nutrimento” e fonte di energia per un altro sistema. Io mi limito a dar loro valore poetico.




 
 
 
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