Luca Bertolo  
 Luca Bertolo Bandiera 2014, Studio View
Ettore Favini
Luca Bertolo | La potenza del codice
 
 


Uno più uno uguale tre

un progetto di Ettore Favini
Step #2 | La potenza del codice



Per realizzare questa mostra ho pensato fin da subito a una chiesa, perché credo che dovremmo ritornare a uno stato di contemplazione silenziosa delle opere, in luoghi legati in qualche modo a una dimensione “altra”.
Credo che la pittura, spesso bistrattata e demonizzata, sia oggi una delle forme più intellettuali di fare arte. Ho invitato quattro pittori di diverse generazioni, a me vicini per varie ragioni.
Considero questa mostra come un'opera, un dispositivo che, attivando un rapporto particolare con il pubblico, sia in grado di conferire un ulteriore grado di lettura alle opere esposte.
Una mostra che offra la possibilità di un incontro uno a uno con l'opera, senza altre distrazioni.
La scelta del luogo é caduta sulla ex chiesa di San Lorenzo, una delle chiese più antiche di Cremona, sede attuale del Museo Archeologico. Al suo interno, durante degli scavi archeologici sono venute alla luce una necropoli paleocristiana e una romana, oltre all'antica via Postumia che attraversava tutto l'impero. Questo luogo fatto di strati sovrapposti mi pare un’immagine che corrisponde perfettamente al procedere della pittura.

 

 

 

  Luca-Bertolo

                                    Installation View, Museo Archeologico San Lorenzo Cremona 2014

 


Ettore Favini:
Parto con una citazione tratta da La pratica quotidiana della pittura, di Gerard Richter: “Dipingere non ha nulla a che fare col pensare, perché in pittura pensare é dipingere”...Io credo invece che il tuo modo di porti rispetto alla pittura sia estremamente cerebrale e quasi concettuale. Pensi che questo sia in contraddizione con l'idea del fare pittura?

Luca Bertolo:
Capisco quello che intendi, ma "cerebrale" non mi piace. Forse è proprio per raggirare quella parola (verkopft in tedesco, da Kopf = testa) che Richter si è espresso così. Facciamo un passo indietro.
Come hai scritto anche tu, la pittura si sta riguadagnando uno status intellettuale. Ri-guadagnando, appunto… c’è un libro eccezionale, L’invenzione del Quadro di Victor Stoichita, che ripercorre i primi due secoli di storia di questo format moderno (il quadro come superficie autonoma, trasportabile, si afferma solo dopo il ‘500): quella che ne esce è un’appassionante vicenda tutta in chiave concettuale (nel senso di arte concettuale).
«L’invenzione del quadro, prima ancora di incorporare un sogno di purezza, fu il frutto del bruciante confrontarsi della nuova immagine con il proprio statuto e i propri limiti.» Molti dei ragionamenti moderni su supporto, illusione, autoreferenzialità, tautologia, autenticità e così via furono indagati da vari pittori (specialmente belgi e olandesi) tra il XV e XVII secolo. Kossuth e Richter arrivano molto dopo… Tornando a cerebrale: lo si dice in genere di una persona che manca di fisicità.
Spero che i miei quadri non siano così algidi! Ma forse intendevi intellettuale… Che la pittura sia un mezzo particolarmente raffinato di pensare, oltre che di vedere, mi pare evidente: la maggior parte delle nostre esperienze si svolgono in tre dimensioni, il nostro corpo non sa cosa sia la bidimensionalità. Non foss’altro che per questo, lo schermo tendenzialmente bidimensionale della pittura ci forza (pittori e pubblico) ad astrarre, a ricostruire legami tra immagini e cose e spazi “reali”. In pittura l’immagine aspira sempre a diventare metafora... Credo che con quella frase Richter intendesse mettere in chiaro che la dimensione intellettuale della pittura non ha niente a che fare con l’illustrazione di idee pregresse; è piuttosto il dipingere, in quanto processo, che produce pensiero. Attorno a quest’idea si sono sviluppate recentemente parecchie riflessioni interessanti, dalle conferenze di Jan Verwoert al convegno intitolato Thinking Through Painting (Royal Accademy of Fine Arts di Stoccolma, 2014)

Ettore Favini:
Durante l'inaugurazione della prima mostra con Pierpaolo Campanini c'è stato un po' di spaesamento tra le persone, che si aggiravano per il museo cercando altri quadri, non capacitandosi che la mostra consistesse in una sola opera. Immagino che la scelta di un solo dipinto non debba essere stata semplice. Come hai scelto l'opera che vedremo?

Luca Bertolo:
Viviamo immersi in un presente fantasmatico, dove cose e situazioni esistono solo in funzione di ciò che le seguirà. In tale costante e ansiosa ricerca di cosa-verrà-dopo, la preview si prende tutto, e anticipa, annullandolo, ogni giudizio. Corriamo distratti; quel che vediamo sono sempre e solo sequenze di immagini… In questo senso non mi dispiace l’idea di esporre un’opera sola: un’opera solitaria o in solitaria. Certo c’è sempre il rischio che qualche visitatore protesti: Ma, come? sono venuto qui solo per questo?! Tra l’altro è quasi impossibile che una singola opera contemporanea abbia la densità e la ricchezza di un pezzo di Jan Van Eyck o di Nicola Pisano.
Prendiamola allora come una performance collettiva: mettiamoci in fila in una specie di re-enactment di fedeli davanti all’icona…Il quadro che ho scelto s’intitola Bandiera, come tutti gli altri pezzi di questa serie. La bandiera è l’incarnazione di un simbolo, solo che mentre il simbolo non cambia nel tempo (pensa alla falce e martello - al limite scompare dalla storia), una bandiera invece invecchia, come ogni oggetto “reale”. Ecco, mi intriga questo apparente paradosso… In ogni caso, l’idea è nata così, guardando i pezzi di vecchie tele che utilizzo per pulire i pennelli. Quegli scampoli umiliati e offesi, ma anche pieni di potenzialità, mi sono improvvisamente apparsi come brandelli di vecchie bandiere. Mi sarebbe bastato ricostruire il resto.



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