Uno più uno uguale tre
un progetto di Ettore Favini
Step #2 | La potenza del codice
Per realizzare questa mostra ho pensato fin da subito a una chiesa, perché credo che
dovremmo ritornare a uno stato di contemplazione silenziosa delle opere, in luoghi legati in
qualche modo a una dimensione “altra”.
Credo che la pittura, spesso bistrattata e demonizzata,
sia oggi una delle forme più intellettuali di fare arte. Ho invitato quattro pittori di diverse
generazioni, a me vicini per varie ragioni.
Considero questa mostra come un'opera, un dispositivo
che, attivando un rapporto particolare con il pubblico, sia in grado di conferire un ulteriore grado
di lettura alle opere esposte.
Una mostra che offra la possibilità di un incontro uno a uno con
l'opera, senza altre distrazioni.
La scelta del luogo é caduta sulla ex chiesa di San Lorenzo, una delle chiese
più antiche di Cremona, sede attuale del Museo Archeologico. Al suo interno, durante degli scavi
archeologici sono venute alla luce una necropoli paleocristiana e una romana, oltre all'antica via
Postumia che attraversava tutto l'impero. Questo luogo fatto di strati sovrapposti mi pare
un’immagine che corrisponde perfettamente al procedere della pittura.
Installation View, Museo Archeologico San Lorenzo Cremona 2014
Ettore Favini:
Parto con una citazione tratta da La pratica quotidiana della pittura, di Gerard
Richter: “Dipingere non ha nulla a che fare col pensare, perché in pittura pensare é dipingere”...Io
credo invece che il tuo modo di porti rispetto alla pittura sia estremamente cerebrale e quasi
concettuale. Pensi che questo sia in contraddizione con l'idea del fare pittura?
Luca Bertolo:
Capisco quello che intendi, ma "cerebrale" non mi piace. Forse è proprio per
raggirare quella parola (verkopft in tedesco, da Kopf = testa) che Richter si è espresso così.
Facciamo un passo indietro.
Come hai scritto anche tu, la pittura si sta riguadagnando uno
status intellettuale. Ri-guadagnando, appunto… c’è un libro eccezionale, L’invenzione del Quadro
di Victor Stoichita, che ripercorre i primi due secoli di storia di questo format moderno (il quadro
come superficie autonoma, trasportabile, si afferma solo dopo il ‘500): quella che ne esce è
un’appassionante vicenda tutta in chiave concettuale (nel senso di arte concettuale).
«L’invenzione del quadro, prima ancora di incorporare un sogno di purezza, fu il frutto del
bruciante confrontarsi della nuova immagine con il proprio statuto e i propri limiti.» Molti dei
ragionamenti moderni su supporto, illusione, autoreferenzialità, tautologia, autenticità e così via
furono indagati da vari pittori (specialmente belgi e olandesi) tra il XV e XVII secolo. Kossuth e
Richter arrivano molto dopo… Tornando a cerebrale: lo si dice in genere di una persona che
manca di fisicità.
Spero che i miei quadri non siano così algidi! Ma forse intendevi intellettuale…
Che la pittura sia un mezzo particolarmente raffinato di pensare, oltre che di vedere, mi pare
evidente: la maggior parte delle nostre esperienze si svolgono in tre dimensioni, il nostro corpo
non sa cosa sia la bidimensionalità. Non foss’altro che per questo, lo schermo tendenzialmente
bidimensionale della pittura ci forza (pittori e pubblico) ad astrarre, a ricostruire legami tra
immagini e cose e spazi “reali”. In pittura l’immagine aspira sempre a diventare metafora... Credo
che con quella frase Richter intendesse mettere in chiaro che la dimensione intellettuale della
pittura
non ha niente a che fare con l’illustrazione di idee pregresse; è piuttosto il dipingere, in quanto
processo, che produce pensiero. Attorno a quest’idea si sono sviluppate recentemente
parecchie riflessioni interessanti, dalle conferenze di Jan Verwoert al convegno intitolato
Thinking Through Painting (Royal Accademy of Fine Arts di Stoccolma, 2014)
Ettore Favini:
Durante l'inaugurazione della prima mostra con Pierpaolo Campanini c'è stato un po' di
spaesamento tra le persone, che si aggiravano per il museo cercando altri quadri, non
capacitandosi che la mostra consistesse in una sola opera. Immagino che la scelta di un solo
dipinto non debba essere stata semplice. Come hai scelto l'opera che vedremo?
Luca Bertolo:
Viviamo immersi in un presente fantasmatico, dove cose e situazioni esistono solo in
funzione di ciò che le seguirà. In tale costante e ansiosa ricerca di cosa-verrà-dopo, la preview si
prende tutto, e anticipa, annullandolo, ogni giudizio. Corriamo distratti; quel che vediamo sono
sempre e solo sequenze di immagini… In questo senso non mi dispiace l’idea di esporre un’opera
sola: un’opera solitaria o in solitaria. Certo c’è sempre il rischio che qualche visitatore protesti:
Ma, come? sono venuto qui solo per questo?! Tra l’altro è quasi impossibile che una singola
opera contemporanea abbia la densità e la ricchezza di un pezzo di Jan Van Eyck o di Nicola
Pisano.
Prendiamola allora come una performance collettiva: mettiamoci in fila in una specie di
re-enactment di fedeli davanti all’icona…Il quadro che ho scelto s’intitola Bandiera, come tutti gli
altri pezzi di questa serie. La bandiera è l’incarnazione di un simbolo, solo che mentre il simbolo
non cambia nel tempo (pensa alla falce e martello - al limite scompare dalla storia), una bandiera
invece invecchia, come ogni oggetto “reale”. Ecco, mi intriga questo apparente paradosso… In
ogni caso, l’idea è nata così, guardando i pezzi di vecchie tele che utilizzo per pulire i pennelli.
Quegli scampoli umiliati e offesi, ma anche pieni di potenzialità, mi sono improvvisamente apparsi
come brandelli di vecchie bandiere. Mi sarebbe bastato ricostruire il resto.
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