RENDERE PAROLE alle PAROLE
Un giorno, tra i rovi nei pressi di una segheria abbandonata, ho trovato due lastre di nero del Belgio, un marmo prezioso e caro. Rimasi colpito di vederle gettate via come qualcosa privo di valore, dal momento che sin da quand’ero giovane studente di una scuola d’arte avevo iniziato a scolpire il marmo e a riconoscerne i diversi tipi, ognuno con la sua individualità.
Le ho prese e portate in studio; da una ho tratto una sorta di grafia, un segno rarefatto che riprendeva un’immagine su cui avevo già lavorato.
Ho voluto una forma lontana da qualsiasi riferimento fitomorfo o simbolico.
L’ho innestata sul pavimento in cemento dello spazio Mars a Milano e mentre ero impegnato in questo lavoro, ho pensato che mi sarebbe piaciuto ripetere un simile innesto nelle cave delle montagne da cui i marmi provengono. Rientrato sulle Alpi Apuane, in Alta Versilia, dove abito e lavoro, ho raggiunto, dopo aver scolpito un’altra forma in nero del Belgio, una cava di Breccia Medicea, marmo dal piglio barocco che avevo già usato in passato. Ho iniziato a scavare una parete e ho collocato la grafia in quello che fino a cento anni fa era il cuore di una montagna. È stato a quel punto che ho deciso di realizzare la stessa forma con la Breccia Medicea per portarla in un’altra montagna, ricca invece di marmo Bardiglio.
Dopo tre giorni sono sceso a valle portando con me questo marmo per un nuovo gesto alle Cervaiole, una cava sul monte Altissimo da cui si narra che Michelangelo abbia tratto alcuni blocchi.
L’ultimo innesto risale all’estate appena trascorsa e l’ho realizzato in una cava nei pressi di Longarone, sotto la diga del Vajont, durante la mia residenza in Veneto su invito di “Dolomiti Contemporanee”.
P.Q.R., 2010 (Alpi Apuane)
marmo Nero Belgio cm 22x20,5x1,9
doc.video 6’31”
Ho scelto cave in disuso perché il mio lavoro non intende essere una forma di protesta e perché in questi luoghi, dove resta evidente la ferita inferta alla montagna dall’uomo, si creano meravigliose architetture che conservano un’intensa energia, frutto della forza della natura e di quella dell’uomo che l’ha modificata.
Certo, a fianco della terza cava una ditta ha ripreso l’escavazione e potrebbe arrivare all’innesto. Un brano del mio racconto svanirebbe allora insieme ad altre pagine della natura.
Alcune di queste cave non sono raggiungibili che a piedi. I cavatori costruivano le “vie di lizza”, ripidissime discese da cui facevano scendere i blocchi caricati su slitte di legno, governate da spesse corde. Nello zaino ho messo attrezzi, sacco a pelo, viveri e l’intarsio e ho scelto simbolicamente di raggiungere le cave risalendo le vie di lizza, nell’intento di “riportare a casa “ il marmo.
Sono azioni che ho compiuto da solo, dormendo in cava, documentando il cammino e l’innesto con cavalletto e macchina fotografica. Ho realizzato brevi video a scopo unicamente documentativo.
Il luogo dove gli innesti si trovano non è segnalato.
Se a un passante capita di imbattersi in uno di essi, non trova alcuna targa o informazione che ne spieghi il senso o ne certifichi l’autore; si trova solo di fronte alla presenza di un gesto umano delicato.
|