Il pneuma del fare
Le figure visibili che la storia si lascia alle spalle in forma di scultura o di mosaico di pittura o di bassorilievo, quindi in materiali duri e lisci, sono sorgenti di un immaginario che appartiene al passato, ma convive con il presente. Di queste immagini sono impregnati gli spazi della città e le superfici degli edifici, nonché gli interni delle case: rappresentano la memoria.
Sono presenze iconiche che sopravvivono pubblicamente e privatamente per ricordare un lignaggio politico e individuale. Statue e figure, fotografie e busti, ritratti e ceramiche, affreschi e maschere in cui il vissuto respira con il vivere, così da non perdere di vista il vecchio sguardo per intrecciarlo al nuovo.
Tali vestigia sono documenti di spettri e di fantasmi arcaici, ideologici e simbolici che continuano a partecipare al nostro panorama. Ombre e doppi che per un bambino si tramutano in apparizioni sorprendenti, quanto attestati di un abile mano, capace di scolpire tali sembianze.
E' quanto sembra aver condiviso Paolo Canevari che già fanciullo si nutre di un trionfo di immagini allegoriche, dal guerriero all'animalesco, dove l'ombra e la nostalgia della storia incombe sulla luminosità del presente.
Qui, circondato dalle opere, come le sculture del Foro Italico, a Roma, realizzate e prodotte negli anni trenta, sul percorso di generazioni della sua famiglia, dal bisnonno al padre (2), è impressionato, prima che dalla somiglianza, dalla retorica, cioè dall'eloquenza visiva dei soggetti eroici che informano il discorso e la narrazione, legami all'epoca fascista.
Inficiate dalla mediazione ideologica le figurazioni, in marmo o in mosaico, si offrono infatti come linguaggio "sovrano", intenzionalmente decorativo e spettacolare, teso ad informare sul compiacimento della identità italiana e romana.
Un dissertare persuasivo che rimane attaccato alla simbologia primaria delle figurazioni sacrali e militari, dal lupo all'aquila, dall'elmo alla spada, che connotano la metafora del potere aggressivo di un popolo di guerrieri, quanto l'equipaggiamento di personaggi da temere o da adorare.
E' in tale clima, dove la memoria si intreccia all'azione metaforica, che si definisce l'educazione artistica di Canevari, tanto da apprendere giovanissimo la lingua del disegno e la grammatica della figurazione, accompagnate anche da una narrazione che riguarda eventi, icone e amplificazioni delle figurazioni simboliche, declarate visualmente secondo una tecnica appresa o conquistata, attraverso un rapporto "oggettuale" con il mondo. Guardando infatti alle pietre scolpite, egli comprende i segni di una cultura, le sue liturgie figurali e le sue cerimonie comunicazionali, dove l'arte è utilizzata in funzione politica, quale strumento concreto degli interessi di un potere (3).
Nel bene e nel male, questo è l'humus impregnato di insegne, di effigi e di ornamenti, in cui l'artista si è nutrito: un'arte che rende omaggio al potere, seppur questo deve rimanere quasi invisibile, perché rappresentato da aquile e lupe, guerrieri e eroi che irraggiano al suo posto l'aura del superiore e del militare. Su queste imago di supereroi attivi, pubblici e irraggianti Canevari si è confrontato come sui resti di un immaginario che, nel tempo, è diventato popolare al punto di diffondersi sino ad oggi, attraverso le molteplicità che vanno dall'araldica americana ai cartoon giapponesi. L'ascensione gloriosa di tali figure è entrata ormai in posti apparentemente immunizzati dalla retorica, perché pochi ne controllano o sottolineano la concrezione politica e ideologica, per non parlare della logica formale.
Eppure l'analisi dell'argomentazione legata a immagini e simboli, che comportano l'arringa quanto la predica, l'orazione quanto l'eloquio, è un territorio da esplorare (4), perché sono in gioco valori non importa se volgari o sublimi, perché interessano l'etica, la filosofia e le scienze dimostrative.
Evidentemente l'artista non vuole avventurarsi nell'indagine teorica e razionale delle ragioni di tale immaginario, quanto evidenziarne e argomentarne, mediante l'arte, il valore comunicativo e espressivo. Avvicinarsi alla ricchezza dei singoli segni ed emblemi per mostrare la solidità iconica, quanto dissociarsi da essi, per separare gli elementi retorici dalla solidità dell'impatto strutturale ed estetico. Al tempo stesso affrontare il valore mnemonico ed emotivo che permetta una giustificazione d'uso contemporaneo: discutere il miraggio quale antidoto alle illusioni. La maschera di pietra, indossate nella liturgia del potere, sono modellate al fine di motivare uno spettacolo, in cui - ad esempio nel Circo Massimo - l'imperatore o il dittatore ricevono gli ossequi o gli omaggi al loro ruolo di potenti.
Paolo Canevari, Centro Pecci 2010
Nella Roma imperiale l'apoteosi si lega alle cerimonie di sacrificio dei gladiatori, come nell'epoca del regime mussoliniano in Piazza Venezia, si concretizza nelle sfilate militari, composte dalle future e potenziali vittime di una guerra sacrificale, arricchite dall'esaltazione dei simboli o delle figure emblematiche del futuro impero.
Tali eventi si intrecciano quindi con lo spettacolo dell'ascensione e della sublimazione della "messa in immagine" della forza e della vita, organizzata dal potere. Secondo tale processo il figurare diventa un trasfigurare che veicola una potenza politica e siccome Canevari è figlio di una cultura altra, sin dall'inizio seppur quasi inconsciamente sembra accorgersi del carattere teatrale dell'essere in effige: si fa ritrarre come un Pierrot e si riflette ne I clowns, 1970, di Federico Fellini, per arrivare a diciassette anni ad effigiarsi come un cavaliere antico, con spada e corazza. Il desiderio sembra quello di far entrare la sua soglia fisica nel territorio consacrato dello spettacolo, quello di un discorso per immagini "retoriche": quelle eloquenti di un'esposizione grandiosa perché legata all'efficacia delle immagini usate. Di fatta la sua formazione oscilla per l'attrazione verso il teatro, come l'esperienza del dialogo teatrale tra Andrea Camilleri e Samuel Beckett, le cui scenografie di Finale di partita sono realizzate dal padre Angelo Canevari (5), e l'evento spettacolare, legato alla presenza e all'azione dell'attore, in cui l'artista si rispecchia per la sua corporalità, come dimostrerà in seguito nelle sue performance.
Tuttavia dalla conoscenza (6) di Beckett, come di Francis Bacon, legata alla tesi di laurea (7) ricava una lettura del vuoto del rappresentabile, dove lo scrittore si dichiara libero ed impotente dinanzi all'immagine e alla parola. L'intellettuale si muove allora in un paesaggio di termini e di fenomeni, che possono essere elencati, ma difficilmente esorcizzati.
Pertanto è costretto ad enunciare il suo fallimento, come Bacon si richiude nella sua solitudine, per dichiarare che il significato delle immagini è semplicemente forma, quindi contenuto poetico e plastico. In tal senso rinuncia ad una consapevolezza del suo significato, traguardo che si pone Canevari quando si appiglia all'essenza "muscolosa" della simbologia corporale che ha una tradizione che data da Michelangelo a Scipione della Scuola Romana: quella di figure monumentali che provengono da un al di là visibile e invisibile.
E, come i giganti delle diverse cappelle funerarie, si rivolgono all'eterno per "difendere" la figura del defunto, ma di fatto erigono un inno all'arroganza della sua potenza, fisica e sacrale; così i primi disegni di Canevari, stesi al tempo dell'accademia, che nella loro muscolarità sono l'imbalsamazione di un vuoto che richiama tutti i reliquiari dove riposano gli eroi. Disegni, da santuari o da oratori, che nel loro soffio declinano un involucro pneumatico del corpo, entità gonfia di un'aria monumentale.
La raffigurazione del soffio e del respiro nell'immagine monumentale comporta l'attenzione all'interno tra pelle e animo, vale a dire la relazione tra copertura e afflato interno, una dialettica sulla trasposizione dei corpi che può assumere forme diverse e cangianti, dalle identità multiple, a seconda dell'articolazione animista.
Di fatto questi disegni non riguardano tanto i giganti, ma la dimensione dinamica della loro epidermide oscura, di nera grafite. E' l'aria che li nutre ad essere la sostanza costituente delle loro forme. Ne condiziona le articolazioni e le manifestazioni psichiche, fisiche e spirituali. Un principio autonomo che è in rapporto alle figure, ma è incorporeo o quanto meno coincide con le loro manifestazioni corporee. Connessa alle attività spirituali, tale materia rinforza una credenza in un mondo altro, ma assunta nelle sue condizioni fisiche è l'energia che governa l'universo delle cose.
Pertanto, iniziando ad operare come artista, intorno al 1988, Canevari dichiara la sua relazione con l'esercizio energetico e materico che nella storia dell'arte negli Stati Uniti passa attraverso i combine paintings di Robert Rauschemberg e l'iconografia oggettuale di Jasper Johns e dei pop artisti, mentre in Italia è sostenuta da Alberto Burri e da Lucio Fontana, per arrivare a Pietro Manzoni e per diffondersi con l'Arte povera (8). Crede nella concretezza dell'arte, non nella sua astrazione, al tempo stesso il suo interesse è legato più all'influsso degli umori e della memoria, che al concetto e alla teoria dell'arte. A contare è la carne delle cose e delle manifestazioni vitali.
Essa costituisce, anche se in forme e materie diverse, dal sacco al piombo, dal catrame alla plastica, dal cotone al caucciù, la sostanza del suo apparire, per cui la scultura, quanto la pittura si attestano come entità vive.
Per tale ragione Canevari, oltre ai riferimenti visuali, cita il realismo carnale di Caravaggio o il neorealismo del cinema, arrivando a Pier Paolo Pasolini, perché il loro lavoro ha incarnato una visione critica, dal dentro, dei fantasmi del potere religioso quanto politico. Hanno dato presenza alle piaghe e ferite che si annidavano sotto la superficie splendente del contesto storico e sociale della loro epoca. Anche l'artista, nato nel 1963, è interessato a lavorare sui "residui" immaginari che determinano le relazioni degli individui.
Si concentra sulle figure primarie, apparentemente elementari, ma complesse per tutti i significati metaforici connessi. La sua prima elaborazione di un emblema "dominante" prende forma in un lavoro in uno spazio espositivo in downtown Manhattan a New York, ed assume il carattere di una performance. L'anno è il 1989, data della caduta del muro di Berlino e della crisi del sistema comunista, in Europa, per cui Canevari si impegna nel costruire concatenazioni figurali (muro, Italia, falce e martello) che diventando potenzialmente interminabili per l'aperta disposizione dei blocchi di polistirolo colorato, si offrivano come spietata irrilevanza di segni che erano stati fenomeni altamente significanti. Una dichiarazione di fallimento, alla Beckett, di un agire circolare, ridotto ad una sfericità vuota e leggera dei simboli e delle icone del tempo.
L'artista ne svuota il contenuto e il tutto si trasforma in semplice e pura forma plastica: un'astrazione. Una cosa relazionata al vuoto e al nulla di un'entità politica e ideologica che emette l'ultimo respiro: un corpo pieno d'aria che si sta lentamente sgonfiando.
(Continua)
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- Estratto da Germano Celant, Paolo Canevari. Il pneuma del fare in Germano Celant (a cura di ), Paolo Canevari Nobody Knows, Electa, Milano, 2010.
2- Paolo Canevari, Roma, 1995.
3- K Biesenbach, Intervista a Paolo Canevari in D. Eccher (a cura di), "Paolo Canevari. Nothing From Nothing". Electa, Milano, 2007, p.99.
4- Bibliografia: I.A. Richard, The Philosopy of Rethoric, Oxford University Press, 1936 ( trad. it. di B.Placido, Feltrinelli, Milano, 1967); C. Perelman, L.Olbrechts-Tyeca, Traité de l'argumentation. La nouvelle rhetorique, Press Universitaire, 1958 (trad it Schick e M. Mayer, Einaudi, Torino, 1966); R. Barthes, L'Ancienne Rhétorique, 1970 (trad. it. Bompiani, Milano, 1972).
5- Paolo Canevari, 2010.
6- R.N. Coe, Che cosa ha veramente detto Beckett, Edimburgo, 1964 (trad. it Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1970, P. Canevari, Francis Bacon - Samuel Beckett. Parallelismi tematici, Accademia di Belle Arti, Roma, 1986-1987
7- P. Canevari, Francis Bacon.... cit.
8- A. Heiss, Intervista a Paolo Canevari in D. Eccher (a cura di), op.cit.pp.51, 56.
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