> Lorenzo Imbesi

Potenza creativa e progettualità critica

 

 
Dai Media ai Moist Media.
Gli scenari interattivi del quotidiano
 
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Museo Pecci
Aspects of Art and
Technoetics 2007 ::

Vorrei dunque partire da questa constatazione, che gli anni novanta di fatto hanno rappresentato per la cultura progettuale e per la cultura tecnologica una sorta di era d'oro, per lo sperimentalismo - chiaramente derivato dalle possibilità delle nuove tecnologie, in particolare quelle legate alla comunicazione e alla informazione; la possibilità cioè di formalizzare strutture complesse, ambienti sensibili, architetture ibride, spazi interattivi.
Non è il caso di ricordare quanti e quali architetti hanno lavorato e quali i risultati usciti dagli anni novanta.
Di fatto c'è stata una ondata di creatività che ha visto una intera generazione all'avanguardia nel lavorare con queste tecnologie.
Tecnologia che si fa strada nel momento che emerge e si presenta sempre come una sorta di natura artificiale esterna. Qualcosa di sconosciuto con il quale piano piano ci impariamo ad interfacciare.

Ma poi le generazioni successive, quelle che crescono in un ambiente che di fatto ha già acquisito la stessa tecnologia, percepiscono ovviamente questo ambiente come un fenomeno culturale, come un fatto naturale che sviluppa conseguentemente nuovi modelli e strutture mentali.

La tecnologia non si dà più per il progetto, nel contemporaneo, come un valore 'tout court'. Non è più una novità assoluta, non è più l'obbiettivo del progetto - la tecnologia!

Tra l'altro tutti possediamo pezzi di tecnologia sotto diversi formati e, non si tratta di tecnologia standard, siamo abituati ad una varietà, una eterogeneità tecnologica che riguarda anche i comportamenti e gli usi.
E' interesante in questo senso - la tecnologia per il progetto, per il significato relazionale che esprime. E dunque non semplicemente esibita. Abbiamo passato una era d'oro, negli anni novanta, in cui è esistita una sorta di estetica tecnologica. Pensiamo agli oggetti high tech e ad una certa architettura high tech. E' esistita una sorta di estetica che esibiva una tecnologia formaliazzandone in qualche modo dei connotati, fingendone degli usi - dove la tecnologia diventava un plusvalore estetico non semplicemente legato alle nuove funzioni che poteva esibire. La tecnologia diventava una sorta di valore posizionale dell'oggetto stesso.

Nel contemporaneo, oggi, mi sento di dire che accade qualcosa di inverso. La tecnologia non è più l'obbiettivo - sempre più viene nascosta, celata attraverso gli oggetti che utilizziamo, con cui possiamo intrattenere una sorta di maggiore confidenza, ovviamente con l'oggetto stesso. Il design in questo senso, il progetto, si concentra sempre più sul significato dell'esperienza in quella zona liminale di interfaccia che stimola di fatto l'interazione tra il soggetto e l'oggetto; tra il soggetto che utilizza e l'oggetto stesso, stimolando nuovi dialoghi che possono nascere, inserendoli nel design.
L'innovazione in questo senso si pone come teoria interpretativa, teoria che a livello cognitivo può cercare di interpretarne non tanto la progressione tecnica e produttiva come in una linea evolutiva, piuttosto quella che è la complessità, la molteplicità dei fattori che vi influiscono e che rinnovano chiaramente le tassonomie a cui spesso siamo abituati.

Sempre più non è l'oggetto ad essere obbiettivo del progetto, piuttosto è il processo che assume una sua centralità ed un suo valore; processo naturalmente processuale, produttivo, di consumo e cognitivo. Con la sua estetica denuncia all'esterno quella che è la forma, a volte rendendo evidenti alcuni difetti di lavorazione che l'estetica della modernità tende a nascondere - mostrati invece ed esposti come una sorta di traccia del processo lavorativo, quasi ad abilitare una sorta di arte decorativa, addirittura del passato.

Uno dei lavori più recenti presentati da un gruppo di designers scandinavi che si chiama - Found Design - quattro ragazze, che hanno inventato una sorta di metodo per materializzare degli schizzi eseguiti direttamente nell'aria, a mano libera e che, ripresi attraverso delle macchine di motion capture, si condensano in componenti di arredo, tavoli lampade e così via.
Questi strumenti di motion capture ne captano appunto il disegno, registrano il disegno nei movimenti e trasformano i modelli 3D di questi disegni - dopodiché una macchina a prototipizazzione rapida trasforma gli oggetti in forme fisiche.

 

Un altro lavoro è quello della coppia Kram - Weisshaar.
In questa coppia di cui il primo è un informatico, l'altro è un design, lavorando molto spesso a distanza, hanno progettato ad esempio
" Breding Tables ".
Più che concentrarsi sulla forma finale, hanno lavorato sul software e su questo software, cambiando alcuni parametri, ne trasformano completamente la forma finale. E dunque alla fine non hanno progettato un oggetto unico, ma famiglie intere di oggetti, una sorta di progettazione genetica, che ne cambia, personalizzandolo, il rapporto con l'utente. Il software può essere messo online. Chiunque può costruirsi personalmente il tavolo, scavalcando tutti i caratteri noti che, come dire, sono legati all'eta postfordista, funzionali cioè al lavoro.

Il design in questo modo superando la stessa produzione dell'oggetto si trasforma in una sorta di performance. Questi designers mettono in scena delle performance dove il processo è l'elemento che viene esibito all'esterno.
E questo cambia quello che era il dibattito positivo che ha rappresentato moltissimo della cultura teorica degli anni novanta, legata alle nuove tecnologie, dibattito binario tra materiale ed immateriale.
Là dove fino a qualche tempo fa la bilancia pesava in maniera forte sulla ontologia della dematerializzazione sancita dalla rivoluzione informatica!

Nella retorica dei catastrofisti degli anni novanta in qualche modo era imminenete una estetica della sparizione (Virilio), che avrebbe di fatto annulato la realtà corporea in favore di una esistenza digitale - come accade in Second Life -

Oggi di fatto possiamo accertarci che al contrario, il mondo oggettuale è molto più ampio, ma anche molto più complesso grazie ovviamente alle nuove opportunità creative. Dicevamo che nel dibattito tra immateriale e materiale il design è sempre più chiamato a progettare quella che possiamo definire l'anatomia degli artefatti cognitivi - le forme, per istituirne la visibilità, la riconoscibilità, l'anatomia.
Forme fisiche attraverso nuove forme fisiche e tangibili, che raccontano - e questo è il centro del cambiamento epistemologico, comportamenti nuovi ed esperienze che vi si possono sviluppare.
Chiaramente sono il materiale ed il virtuale ricondotti a nessuna delle classi tipologiche precedentemente consolidate.

La domanda del design è : quale è la forma dell'immateriale?!
Al designer è dato il compito di interpretare quelle che sono le immagini delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
Tecnologie che stanno trasformando completamente i modi di produrre, di commerciare e di abitare.
Cioè il progetto non è più l'occasione di concepire nuovi prodotti e servizi, ma la possibilità di esplorare istanze estetiche e narrative - anche poetiche, della forma stessa, traslando direttamente nuove tecnologie negli scenari quotidiani. Gli oggetti che ne risultano diventano altrettanto bene una forma di diagramma delle nuove relazioni, relazioni sociali ed interattive, mediandone i diversi livelli di interazione.

Il tema delle bio-tecnologie è una delle nuove frontiere del contemporaneo.
Molti dei progetti legati alle esposizioni svolte sono legati a dei concepts, altri sono dei veri e propri prodotti in vendita con aziende che le producono con modalità di distribuzione e di vendita. Sono entrati all'interno dei comportamenti del quotidiano. E' diventato un vero e proprio settore produttivo che ha anche un immaginrio sociale, chiaramente.
Uno di questi prodotti è 'Erca' - un gatto tipo allergenico - che viene venduto al prezzo di 5.000 euro.
'Algordanza' è una azienda svizzera che offre ai suoi clienti la possibilità di trasformare la salma del proprio caro in un diamante che brillerà per sempre.

L'ingegneria genetica sta diventamdo sempre più di fatto un settore produttivo consolidato e la ricerca ne segna un percorso lasciando emergere una categoria di merci non tangibile che sta trasformando la produzione.
La tecnologia ha acquisito il controllo sui processi di produzione e di riproduzione della vita.

 

La vita in qualche modo è diventata materiale di progettazione e di riprogettazione per trasformare gli stati più intimi della vita stessa - del corpo stesso. Con i problemi connessi che sono legati alla natalità, alla mortalità, morbidità, all'igene, alla profilassi. Tutti problemi connessi alle questioni politiche, biopolitiche.

La biopolitica attraverso le tecnologie della vita si prende a cuore della popolazione come specie biologica, con l'obbiettivo di rafforzarla, accrescerla, tutelarla, infine di potenziarla - e l'intervento dell'uomo sulla materia vivente lascia emergere la sua attitudine progettuale e pianificatoria.
Scienza, tecnologia e progetto rientrano nei rapporti sociali di produzione e riproduzione. E altrettanto compiutamente se ne possono studiare quelle che sono le influenze.

Di fatti il tempo che impiega la scienza a trasformare sempre di più le invenzioni, le scoperte, in tecnologie, è sempre più breve e si sta accelerando sempre più. Di conseguenza i prodotti diventano tali altrettanto più rapidamente.
Dalla tecnologia al prodotto! Se questa traiettoria è così veloce, e se esiste una ingegneria genetica, non può non esistere un design legato alle biotecnologie che si occupa chiramente dei processi di produzione, di riproduzione della vita e che utilizza la vita come materiale di progettazione.
Il design in questo senso interviene per fornire una versione più umana - al contrario, la tecnologia fornisce una immagine difficile, anche cognitivamente, molto spesso assai più difficile. Il design interviene per operare su quella superficie ed interfacce liminale che ne trasforma completamente l'immagine di sé, per fornire una sorta di placebo della tecnologia stessa, per rompere quelle che sono le paure verso la tecnologia.

Baudrillard la definisce qualcosa di completamente estraneo, rispetto ad una naturalità primigenia.
Allora si rende necessaria una riflessione sul ruolo del progettista e del progetto che sta mutando in questo scenario tecnologico.

Il progettista svolge già adesso un ruolo sociale completamente diverso, completamente nuovo. E diventerà sempre di più progetto, il design, con la cifra della modernità, laddove il senso del progetto a cui siamo ancora abituati ricostruiva i miti forti legati ad un progresso sociale, la fiducia costante verso la tecnologia, la trasformazione della società - ideali che hanno caratterizzato il novecento - sempre di più si ritrova a riconfigurare, chiaramente in questo nuovo scenario contemporaneo, la sua immagine ed i suoi obbiettivi.

Là dove il progetto continuerà comunque ad avere un ruolo importante, e non è un caso che nel mondo si stanno moltiplicando le scuole legate al design ed al progetto. Scuole private o pubbliche, corsi universitari che si occupano di progettazione. Ciò vuol dire che sempre più avrà un ruolo il - progetto - nel futuro.

Un ruolo che cambierà completamente - si dovrà reinventare quello che sarà il ruolo nella società, tra materiale ed immateriale, comunicazione e servizio prodotto, esperienza e visione di scenario, globale e locale.
Il design sempre più sta uscendo dall'industria e da una idea paradigmatica di progetto moderno per affermare la sua presenza sociale in ogni sua manifestazione.
E parallelamente si sta affermando una sorta di "cognitariato creativo" cioè di proletariato creativo che spesso sconta una sorta di precarietà, in parte la condizione contemporanea, il cui capitale fisso è la conoscenza, scontando spesso una distanza dal mondo imprenditoriale. Un "homo sensibilis" del progetto, questo, che si fa imprenditore di se stesso.
E' questa la grande mutazione - mostrando nuovi scenari biografici legati ad una sua storia personale, ma anche di scenari produttivi, attraverso la sperimentazione vera e propria di forme di autoproduzione (lo si osserva già nelle fiere e mostre internazionali), che sviluppano di fatto nuove chiavi critiche al di là della commerciabilità immediata.
E' questa un'altra mutazione forte per quanto riguarda il design, che non è scontata per chi fa disegno industriale - ché attraverso la sperimentazione di selfbrand emerge di fatto uno spazio spontaneo, creativo, che si affianca spesso intrecciandosi alla produzione ufficiale e spettacolare.
Così al Salone del Mobile vediamo giovani che si autoproducono a fianco dei grandi brands - ma la cosa interessante che il livello di spettacolarizzazione delle merci è molto simile.

Finisco con una citazione da un manifesto cyborg - ... Nessuna architettura naturale vincola la progettazione del sistema, nondimeno essa è fortemente vincolata. Ciò che conta come unità ed uno è altamente problematico, non è un dato permanente.
L'individualità è un problema di difesa strategica. Dovremmo aspettarci che le strategie di controllo si concentrino sulle condizioni dei confini ed interfacce - sorgenti di flusso attraverso i confini e non sull'integrità degli oggetto naturali.
Nessun oggetto, spazio o corpo è sacro di per sé. Qualsiasi componenete può essere interfacciato con qualsiasi altro se si riesce a stabilire lo standard appropriato ed il codice adatto per elaborare il segnale di un linguaggio geocomune -

Artext08