Allegoria astratta
dell'atelier del pittore all'inferno tra le punte gemelle,
performance per un visitatore alla volta, accompagnato .
Allegoria astratta dell'atelier del pittore all'inferno tra le punte gemelle nasce da due precise suggestioni iconografiche L'atelier dell’artista di Gustave Courbet, (il cui titolo originale è Allegoria reale che fissa una fase di sette anni della mia vita artistica e morale), realizzata nel 1854-1855 e attualmente conservata al Musee d'Orsay di Parigi e la scena di Twin Peaks, celebre serie televisiva statunitense ideata da David Lynch e Mark Frost intorno al 1990, in cui il protagonista, l'agente Cooper, entra all'inferno attraverso un passaggio segreto nel bosco. Elemento d’unione tra questi due riferimenti è la presenza, in entrambe le scene, di una figura femminile che incarna l’idea di venere-musa. Ma anche uno stato emotivo teso che aleggia in entrambi gli ambienti, sia quello dipinto da courbet, sia quello costruito da Lynch. Lo spettatore della performance di fatto come il pubblico al quale era destinato il quadro o l’agente Cooper, è una sorta di intruso che con la sua presenza determina un corto circuito.
Nella profonda distanza temporale e di contesto culturale dal quale provengono, le due suggestioni trovano una loro fusione nella costruzione del tableau vivant davanti al quale ogni visitatore viene condotto.
Una tela bianca appoggiata su un solido cavalletto occupa la parte centrale della composizione; davanti a questa siede l’artista, pronto a tracciare con un pennello legato a un’asta un segno nero su tale superficie. Una maschera piramidale, oltre a nascondere il suo volto, rende incontrollabile e casuale l’esito del suo gesto. Appena dietro al pittore una modella nuda, il cui sguardo è totalmente rapito dal gesto dell’artista, si copre con pudore il seno, mentre lascia che la parte inferiore del proprio corpo sia avvolta da un movimentato panneggio bianco. Sul lato opposto una figura maschile posa con il torso nudo, davanti all’artista ‘cieco’. Posizionato in ginocchio sopra a un piedistallo esibisce un compasso, emblema dell’arte accademica contro cui si schierò Courbet, ma anche uno dei molteplici simboli massonici rintracciabili in molti altri miei lavori. Sull’estrema sinistra un musicista, Oh Petroleum (Maurizio Vierucci), suona e canta in loop la canzone “Just You” tratta proprio dalla colonna sonora della celebre serie televisiva di David Lynch. In entrambi i lati della scena, come a formare un unico coro, due gruppi di figure. Il loro volto è dipinto di nero, come una maschera a cancellare la fisionomia, l’identità del singolo. Posizionati tutto intorno alla composizione guardano dritto negli occhi lo spettatore.
Prelevato dopo alcuni minuti d’isolamento rispetto al resto del pubblico, ogni visitatore, in una fruizione limitata e privata, viene condotto, come traghettato da una sorta di guida, di fronte alla scena. Dopo avere attraversato mano nella mano con il proprio ‘Caronte’ un percorso completamente buio, ogni spettatore si trova improvvisamente immerso in tale visione. La percezione è, però, distorta, quasi ostacolata, dall’unica fonte di luce della perfomance. Una luce stroboscopica invece di agevolare, disturba la messa a fuoco, la presa visiva di tale rivelazione. Pochi istanti, il canto e la musica si sovrappongono a quello che gli occhi del visitatore provano a fare proprio, ma colui che accompagna limita l’esperienza temporale e spaziale di questa epifania. Solo un minuto e lo spettatore viene, infatti, riaccompagnato fuori, percorrendo di nuovo il medesimo corridoio.
Questa tipologia di fruizione rappresenta una scelta dettata da una precisa concezione del pubblico e del rapporto che si deve creare tra questo e le mie perfomance. Di solito, quando lavoro in assenza di un committente, preferisco realizzare performance in cui il pubblico è totalmente escluso o ammesso solo nel numero di due spettatori preventivamente selezionati (in alcuni casi sono stati scelti due bambini come unici testimoni della perfomance). Nel caso in cui la committenza richieda la fruizione del mio lavoro da parte di un numero maggiore di persone, ricerco una modalità che accentui ed espliciti la centralità dello spettatore. Il pubblico ha, infatti, nella mia ricerca una grande importanza. E’ per questo motivo che entra direttamente nella scena, ne diviene parte integrante e necessaria per il suo completamento, diventa un elemento portante della composizione. Il dialogo è diretto; ci sono “io” e c'è lo spettatore. In quella porzione di spazio il tempo non esiste. Il dialogo è totalizzante, non uno sguardo passivo, ma una “visitazione” attiva. Differentemente diventa solo intrattenimento, ma non è ciò di cui mi occupo.
Oltre alle suggestioni di L'atelier dell’artista di Courbet e a Twin Peaks in Allegoria astratta dell'atelier del pittore all'inferno tra le punte gemelle è presente un altro fondamentale riferimento: Emilio Vedova. Nella perfomance la figura del pittore diviene, infatti, anche omaggio a questo grande maestro dell'astrattismo italiano e alla sua ricerca artistica. La presenza del “grande maestro” è, inoltre, un riferimento agli insegnamenti segreti della mitologia massonica, che sempre rientrano all'interno dell'immaginario segnico di molti miei lavori.
Allegoria astratta dell'atelier del pittore all'inferno tra le punte gemelle è l’unico lavoro che ho replicato in contesti e luoghi diversi – (la performance è stata presentata per la prima volta nel 2011 all’interno del Thessaloniki Performance Festival, 3rd Thessaloniki Biennale of Contemporary Art, nello stesso anno è stata realizzata al Frac Champagne-Ardenne, in occasione del Reims Festival Scènes d’Europe. Solo recentemente è stata proposta per la prima volta in Italia al Teatro Studio di Scandicci). La sua ripetibilità è dovuta al fatto che questa è l’unica mia perfomance nata non per un luogo specifico, ma per uno spazio neutro come, ad esempio, un teatro.
|