BLITZ
Parte 1: La festa è finita
Caro Dino,
sono lusingato dell’entusiasmo mostrato nei confronti del mio ultimo lavoro “La festa Ë finita” presentato alla galleria Sponda - Fabio Tiboni di Bologna e sono molto felice della tua proposta di scrivere sul numero di Artext incentrato sulle interazioni. Se mi Ë concesso, vorrei parlare a ruota libera, come a srotolare una matassa che risiede nella mia mente.
Il mio fare artistico - volto all’indagine e alla riappropriazione di ogni forma di marginalit‡, storica, ideologica, politica e sociale - fonda le proprie radici nell’interazione con gli altri. Anche il progetto bolognese nasce da un incipit esterno. In questo caso, da una serie di riflessioni legate ad un testo del filosofo-economista Serge Latouche, dal titolo appunto La festa Ë finita, che analizza il sistema capitalistico globale basato sull’utilizzo del petrolio. All’interno dello spazio della galleria ho organizzato il mio dies festus “coinvolgendo” una serie di personaggi - John Herbert Dillinger, Henry Ford, la ditta Allis Chalmer Arthur Hollins, Marco Ferreri, Michel Piccoli, Mario Schifano, Marion King Hubbert, Colin Campbell, Achille Castiglioni, Arthur Hollins, Masanobu Fukuoka - legati l’uno all’altro per antinomia o affinit‡. Tutti, in qualche modo, connessi con i termini di riferimento del progetto: la tecnologia, la macchina, il petrolio, il consumo, la produzione e la terra; e tutti, soprattutto, testimoni di periodi di grande depressione economica: il ‘29 americano, la prima met‡ degli anni ‘70, i giorni nostri.
Provo a spiegarti meglio questa complessa rete di relazioni. Partiamo da John Herbert Dillinger - rapinatore statunitense attivo durante il periodo della grande depressione americana. Figura duplice e discussa fu considerato dall’F.B.I il nemico pubblico numero 1 e, da buona parte dell’opinione pubblica, il moderno Robin Hood del crimine per l’abitudine, al termine delle sue rapine, di dare alle fiamme i registri contabili sollevando da debiti e ipoteche le fasce meno abbienti. In quegli anni, la polizia americana aveva grossi problemi di gestione interna (armi, manutenzione delle auto d’ordinanza e rifornimento carburante erano tutte spese di cui i poliziotti dovevano farsi carico). Al contrario, Dillinger, possedeva un vero e proprio arsenale ed una mitica automobile: la Ford V8. Dopo l’ennesima fuga dalla polizia a bordo dell’imprendibile Ford V8, Dillinger scrisse una lettera allo stesso Henry Ford complimentandosi con lui per aver costruito la migliore, e soprattutto la più veloce, auto del mondo! Ed ecco che viene fuori il nome di Henry Ford che scelgo di invitare alla festa in qualità, non solo di fondatore della Ford Motor Company, ma anche di inventore di un’automobile interamente realizzata in canapa: la Hemp Body Car, alimentata con carburante ottenuto dalla canapa distillata, il cui impatto inquinante era pari a zero. Purtroppo dopo la morte di Ford i re dell’acciaio e del petrolio ripresero il controllo delle operazioni lasciando che questa idea venisse abbandonata.
A questo punto, visto che c’è Ford, ho pensato di invitare una ditta americana di quei tempi che con i motori ha avuto a che fare, la Allis Chalmers.
Allis Chalmers inizia la propria produzione intorno al 1840 occupandosi delle attività più disparate, tra queste anche quella dei motori a vapore. Nel 1914 inizia ad interessarsi al mercato automobilistico, successivamente a quello delle macchine agricole. Il marchio Allis-Chalmers in pochi anni diventa leader nel mercato mondiale dei trattori. Nel 1958 l’azienda lavora ad un progetto di trattore ad energia alternativa che però ben presto viene abbandonato per sviluppare l’idea di un motore a gasolio. Nel 1985 l’azienda viene acquistata dal gruppo tedesco K-H-Deutz AG che produrrà esclusivamente veri e propri mostri per l’agricoltura.
Facciamo adesso un passo indietro, ti ricordi Dillinger? Venne ucciso all’uscita di un film di gangster, Manhattan Melodrama (Le due strade nella versione italiana). Dopo la sua morte il destino ha voluto che si sprecassero film sulla sua vita, te ne cito alcuni: Lo sterminatore (Dillinger), regia di Max Nosseck (1945), interpretato da Lawrence Tierney; L'impero del mitra (Guns Don't Argue), regia di Richard Kahn e Bill Karn (1957), interpretato da Myron Healey; Faccia d'angelo (Baby Face Nelson), regia di Don Siegel (1957), interpretato da Leo Gordon; Sono un agente FBI (The FBI Story), regia di Mervyn LeRoy (1959), interpretato da Scott Peters; Dillinger, sceneggiato da David Davidson (1960), interpretato da Ralph Meeker; La famiglia assassina di Mà Barker (Ma Barker's Killer Brood), regia di Bill Karn (1960), interpretato da Eric Sinclair; Io sono Dillinger (Young Dillinger), regia di Terry O. Morse (1965), interpretato da Nick Adams; Dillinger (Dillinger), regia di John Milius (1973), interpretato da Warren Oates; The Kansas City Massacre, regia di Dan Curtis (1975), interpretato da William Jordan; The Lady in Red, regia di Lewis Teague (1979), interpretato da Robert Conrad; Dillinger: nemico pubblico numero uno (Dillinger), regia di Rupert Wainwright (1991), interpretato da Mark Harmon; Dillinger and Capone, regia di Jon Purdy (1995), interpretato da Martin Sheen; Nemico pubblico - Public Enemies, regia di Michael Mann (2009), interpretato da Johnny Depp.
Tra tutti questi film difficilmente si ricorda un film che non parla esattamente della vita di Dillinger, ma che ne prende spunto per costruire una nuova storia. Questo film ha come titolo Dillinger è morto, il regista è Marco Ferreri (altro invitato).
In breve la trama del film. Glauco (Michel Piccoli), ingegnere industriale, lavora presso una grande multinazionale per la quale disegna maschere di protezione per la verniciatura delle automobili. Dopo una giornata di lavoro rientra a casa, si sintonizza su uno dei tanti programmi demenziali trasmessi alla televisione e si prepara la cena. Mentre consuma questo rito quotidiano trova nella dispensa di cucina una vecchia pistola incartata con le pagine di un giornale che reca in prima pagina la notizia della morte del gangster John Dillinger. Proietta film in super8 della propria famiglia su una delle pareti del salotto giocherellando con la pistola e simulando più volte il suicidio. Ma l’istinto di sopravvivenza ha il sopravvento: Glauco uccide la moglie, mettendo simbolicamente fine ad una vita-non vita, si dirige verso Porto Venere, si tuffa in mare e nuota fino ad arrivare ad un veliero. Una volta imbarcato, si fa assumere come cuoco. Ultima scena del film, il veliero che sparisce all’orizzonte….
Un paio di curiosità: Dillinger è morto è girato per lo più nell’appartamento romano di Mario Schifano. La pistola, che nel film Michel Piccoli dipinge di rosso a pois bianchi, è quasi certamente opera dello stesso Schifano, uno dei maggiori esponenti del pop italiano. Quindi mi interessa invitare anche Schifano, in qualità di rappresentante di un arte seriale legata al concetto di produzione.
Nel film di Ferreri il protagonista smonta una lampada, Taccia, disegnata per Flos da Achille Castiglioni, a parer mio il più illustre rappresentante del design italiano. Castiglioni, con il proprio lavoro, ha attraversato quasi 50 anni di storia: dal 1960 alla fine degli anni ’90, vivendo tutti i periodi economici, di crisi e rinascita. Ecco perché anche lui è uno degli invitati. .
Altri due ospiti sono gli amici inseparabili: Marion King Hubbert e Colin Campbell.
Marion King Hubbert, geofisico statunitense dei laboratori di ricerca della compagnia petrolifera Shell Oil Company di Houston, è stato autore di importanti ricerche di geofisica e geologia con forti implicazioni politiche; Hubbert, già nel 1956, riuscì a “predire” che gli USA avrebbero raggiunto il proprio picco di produzione petrolifera all'incirca nel 1970. Una teoria che gli dette grande notorietà, in particolare in seguito alle crisi energetiche del 1973 e del 1979.
Colin Campbell, geologo britannico, ex petroliere, noto internazionalmente per il proseguimento degli studi del collega americano intorno all'esaurimento delle fonti petrolifere, è il discepolo naturale di Hubbert. Nel 1997, Campbell pubblica il suo primo libro, The coming oil crisis, in cui compare un nuovo calcolo del picco del petrolio: il 2006. Previsione che si conferma assolutamente corrispondente all’evoluzione reale. Oggi Campbell pone l’attenzione sul delicato rapporto tra cibo e petrolio: “Il 60% della produzione di petrolio mondiale è impiegata in agricoltura, se non convertiremo il nostro modo di produrre saremo destinati alla fame entro 30 anni”.
A questo punto entrano in campo due personaggi che hanno sempre avuto un forte legame con la terra. Decisamente meno con il concetto di produzione industriale: Arthur Hollins e Masanobu Fukuoka.
Arthur Hollins è uno dei pionieri della conservazione del terreno agricolo e soprattutto del terreno da pascolo, sostenitore della teoria della non- aratura dei campi. Considerato un visionario, inizia i suoi esperimenti nello Yorkshire dopo la seconda guerra mondiale. Hollins dedica tutta la sua esistenza a questo progetto riuscendo a sviluppare un sistema che, attraverso la combinazione di varie famiglie di erbe comuni autoctone e di varie forme biologiche, consente negli corso anni, di dar vita ad un terreno rigoglioso, sempre verde, perennemente praticabile al pascolo senza nessun tipo di altro intervento umano. Oggi la fattoria-modello di Hollins è oggetto di numerosi studi. Ed infine il giapponese Masanobu Fukuoka, padre dell’agricoltura naturale o del non fare, la sua filosofia è racchiusa nel suo nome, come diceva: ”Masa = diritto; Nobu = fede; Fuku = felice; Oka = montagna”.
Ciascuno di questi personaggi, nella mostra, viene rappresentato attraverso un lavoro: sculture, collages, fotografie ed un’installazione video alimentata da un generatore a petrolio, la musica della festa! Quando il petrolio del serbatoio si esaurisce, audio e video smettono di funzionare. Rimangono solo delle tracce, come reperti di una vecchia e nuova archeologia industriale.
In definitiva la mia festa altro non è che un cerimoniale di “addio” al modello occidentale imperante ma anche un invito a ripensare le relazioni/interazioni artistiche ed umane da un nuovo punto di vista.
[... Per cui la festa che è finita è quella che si era svolta per secoli sotto quella costellazione di idee, di nozioni, ma anche di credenze e di pregiudizi che aveva illuminato la cosiddetta Cultura Occidentale, e aveva dato luogo ad una visione di un “mondo dominato e posseduto da una sintesi istantanea” totalizzante…] (Pier Luigi Tazzi – Senza Fine- Testo critico edito da Sponda - Fabio Tiboni in occasione della mostra La festa è finita, Bologna, 2011).
Parte 2: CAOS PARTE SECONDA - Parco Lambro 1976
Ogni progetto che realizzo porta con sé la necessità di sviluppare rapporti umani e relazionali che permettano di andare oltre la semplice ricerca artistica. Per questo motivo ho sempre nutrito un particolare interesse riguardo alla produzione sperimentale italiana degli anni ’70 (arte, design, cinema, musica, danza, teatro, letteratura, poesia). Questo interesse non trova fondamenta in uno sterile sentimento nostalgico piuttosto nella necessità di analizzare un periodo dove lo studio, l’interazione tra artisti e la sperimentazione comune avevano un ruolo centrale. In questo preciso momento storico il mio interesse nei confronti della scena artistica peninsulare dei primi anni Settanta è, se vuoi, ancor più forte e preciso perchè connesso ad una presa di coscienza: l’indecente stato vegetativo in cui versa la società Italiana, ed in particolare la cultura. Non esiste una comune indignazione per quello che sta succedendo nel nostro paese e forse non è mai esistita:
“L’intelligenza non avrà mai peso, mai nel giudizio di questa pubblica opinione. Neppure nel sangue dei lager, tu otterrai da uno dei milioni di anime della nostra nazione, un giudizio netto interamente indignato: irreale è ogni idea, irreale ogni passione, di questo popolo ormai dissociato da secoli, la cui soave saggezza gli serve a vivere, non l’ha mai liberato” (Pier Paolo Pasolini da: “La Guinea” Poesie in forma di rosa, in “Bestemmia” volume primo).
La responsabilità non è soltanto della nostra classe dirigente che ha contribuito alla creazione di modelli di riferimento decadenti, causando un inquietante appiattimento culturale ma anche dei cittadini; in Italia non ci dividiamo il pane ma ci sbraniamo per un osso!! La mancanza di collaborazione tra individui è il punto nodale di una civiltà in caduta libera verso la decadenza:
« Il tuo grano è maturo, oggi, il mio lo sarà domani. Sarebbe utile per entrambi se oggi io... lavorassi per te e tu domani dessi una mano a me. Ma io non provo nessun particolare sentimento di benevolenza nei tuoi confronti e so che neppure tu lo provi per me. Perciò io oggi non lavorerò per te perché non ho alcuna garanzia che domani tu mostrerai gratitudine nei miei confronti. Così ti lascio lavorare da solo oggi e tu ti comporterai allo stesso modo domani. Ma il maltempo sopravviene e così entrambi finiamo per perdere i nostri raccolti per mancanza di fiducia reciproca e di una garanzia.» ( David Hume, “Trattato sulla natura umana”, 1740, libro III)
Una possibile definizione di cultura è “memoria”, tutto quello che è già stato fatto o i saperi che sono stati trasmessi, per questo, in questo paese senza memoria, mi rimane solo che fischiettare….
Era il 1972 quando sulla scena musicale italiana si affacciò Area-International POPular Group. La formazione originale degli Area era composta da Demetrio Stratos (voce, steel drums, organo) Victor Edouard Busniello (fiati),Yan Patrick Erard Djivas (basso), Gaetano Leandro (tastiere), Johnny Lambizi (chitarra) e Giulio Capiozzo (batteria). I componenti del gruppo cambiarono nel corso degli anni, tanto da non poter parlare di una vera e propria formazione. Molti musicisti passarono ad altri gruppi o fecero scelte da solisti e vennero sostituiti da altri, e così via. Comunque, a mio modesto parere, “il quintetto magico” era quello composto da Demetrio Stratos, Paolo Tofani, Giulio Capiozzo, Ares Tavolazzi e Patrizio Fariselli. Fondamentale l’incontro con Giovanni Sassi fondatore della Cramps Record, già partecipe del movimento Fluxus Italiano che, sotto lo pseudonimo Frankenstein, scriverà i testi e curerà l’immagine della band da lì in poi.
Lo scopo principale degli Area è il superamento dell’individualità artistica con l’obbiettivo di creare “una nuova musica di fusione” basata su ricerche individuali che convogliano in un unico progetto sperimentale. Per raggiungere questo, i vari componenti contribuiscono con esperienze personali - non solo artistiche, ma reali di vita vissuta, questo si evince non solo nella musica ma soprattutto nei testi - fondendo vari generi musicali dal rock progressivo al free jazz, alla musica etnica a quella elettronica con costante riferimento all’impegno politico-sociale:
“il gruppo vuole coagulare diversi tipi di esperienze: fonde jazz, come il pop, la musica mediterranea e la musica contemporanea elettronica. La problematica qual è? Abolire le differenze che ci sono tra musica e vita. Gli stimoli che trae questo gruppo vengono direttamente dalla realtà, trae spunto dalla realtà; e dalla strada, chiaramente.” (Demetrio Stratos, Tg-speciale Rai, 1976).
Lo studio e la ricerca individuale sta alla base della ricerca degli Area . Ogni singolo musicista si perfeziona imbevendosi di nuove esperienze per poi riversarle nel gruppo. Ad esempio, Giulio Capiozzo si reca al conservatorio del Cairo per apprendere la tecnica del percussionista Mohammed Ali’; Demetrio Stratos stringe una profonda collaborazione con i ricercatori del corso di glottologia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova con i quali lavora duramente per migliorare le capacità vocali fino a passare da emissioni diplofoniche a emissioni quadrifoniche: i 7000 Htz che raggiunge nella sua massima escursione lo rendono tra i cantanti con la maggiore estensione di tutti i tempi.
Nel ‘76 il gruppo sviluppa una ricerca sul “concetto di caos”, la ricerca inizia perché Walter Marchetti -autore tra i più originali nel panorama della musica contemporanea italiana, molto vicino agli Area in quegli anni - suggerisce alla band la lettura di un libro di fantascienza Agente del caos, di Norman Spinrad.
Sulla quarta di copertina dell’edizione italiana (Editrice nord,1971) si legge:
“Nella cupola 1, su Marte, Boris Johnson leva gli occhi al sole che filtra appena attraverso la plastica opaca. E’ forse l’ultima cosa che vedrà. Sta per svolgersi una partita mortale e non decisiva. Anche se Johnson e i suoi coraggiosi compagni riuscissero nel loro attentato, ciò non basterebbe a scardinare il sistema tirannico che, servendosi da un lato dell’arbitrio meccanizzato per eliminare ogni ombra di opposizione, e mantenendo dall’altro lato la gente in un soddisfatto torpore, sta soffocando la natura stessa dell’uomo. Lo scopo dell’azione di forza, tentata da pochi audaci, è più modesto: far sapere che esiste una sparuta organizzazione che lotta ancora per la libertà e ravvivare la scintilla che forse cova sotto la cenere nei cuori delle masse. Ma anche questo limitato obbiettivo non sarà raggiunto. Qual è la potenza misteriosa che interviene e che sembra parteggiare per gli oppressori? E si tratta veramente di questo, o di un metodo indiretto per raggiungere scopi più alti?”
Tale lettura proietta gli Area verso una meravigliosa azione performativa (eseguita a Parco Lambro, a Milano, nel 1976), tutt’oggi di straordinaria attualità, dal titolo Caos parte seconda.
L’azione consisteva nello srotolare due cavi elettrici scoperti dal sintetizzatore posto sul palco della band verso il pubblico. Il sintetizzatore emetteva una sequenza di suoni semicasuali, d’ampiezza limitata, quando una persona toccava i due cavi andava a chiudere il circuito. La resistenza del corpo interagiva con la macchina per cui il suono cominciava a salire d’intensità. E’ facile immaginare che più persone toccavano i cavi, più aumentava la resistenza, di conseguenza il suono diventava sempre più parossistico e casuale.
Vorrei concludere questo mio scritto delirante con una domanda altrettanto delirante: il vero mezzo per far uscire l’uomo dal cerchio ristretto delle sue ricorrenti alternative consiste forse nella logica del Caos?
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