Metrocubo d'Infinito in un Cubo Specchiante
Cortile di Palazzo Strozzi, Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze
... M.P. - E' una opportunità unica quella di creare con una mia opera in un ambiente come questo.
Che eliminando poi la dimensione del possesso rimane un "opera aperta" !
Si tratta di un cubo, opaco all'esterno che si apre internamente con questa esperienza della moltiplicazione all'infinito di sé.
Un cubo realizzato con degli specchi non può far altro che moltiplicare all'infinito - Così che
lo spazio quadrato, articolato, risulta fantasmagorico. E sebbene la precisone dell'infinito
non può essere che riferita ad uno stato materiale è tuttavia comprensibile l'esistenza di un infinito che è matematicamente tangibile e realizzabile.
L'idea di questo cubo è una conseguenza di un lavoro realizzato nel 76' - parte di una serie chiamata "oggetti in meno" forse perché l'oggetto esiste ma scompare nella differenza additiva o sottrattiva della materia.
La situazione speculare fa si che tutta la materia che si riflette e si moltiplica, diventa più e nello stesso tempo è intangibile.
Quindi appena entrati nel grande cubo si noterà il "Metro cubo" - il cubo di specchi rivolto all'interno. E' un cubo che fa si che gli specchi si riflettano tra di loro - quantunque questo sia celato alla nostra vista
Possiamo solo immaginarlo internamente, ne viviamo l'esperienza della in tangibilità, visiva.
Il fatto che noi non ne siamo riflessi, ecco questo è molto importante. Non siamo più noi a delimitarci ma è lo spazio stesso, l'esistenza stessa che si moltiplica indipendentemente da noi.
Esiste altro oltre al sé personale!
E sorprendente sempre che noi esseri umani siamo in grado di mettere a punto un pensiero come questo.
Esseri umani in grado di pensare, di pensare di entrare in un metro cubo specchiante esclusivamente con il pensiero.
E noi lo immaginiamo perché abbiamo la capacità di pensarlo, e non soltanto di toccarlo o vederlo. Questo va forse ad accordarsi con le nostre esigenze di spiritualità - componente intangibile della nostra mente, che va in ogni dove.
In questo caso il nostro infinito va molto lontano non restituendo delle sicurezze tranne la sua stessa esistenza, infinitaria ed intangibile.
C'è dunque questa significazione nel lavoro - Un cubo tangibile che ha dentro a se l'intangibile significa che è
l' ntangibile meno quel cubo lì.
E' quindi una sottrazione del fisico dall' enorme intangibile infinito.
E' il tutto meno uno.
Ogni cosa quindi che esiste è una sottrazione dal processo infinitario dello sviluppo intangibile..
E' questo il modus di un lavoro che collega un concetto filosofico, scientifico, spirituale, matematico in tutte le variazioni e possibilità.
Esiste ciò che gli " uni " esistenti mettono in rapporto tra di loro, ed è questo un universo fisico.
Sono arrivato a questo tipo di lavoro pensando ad una arte che non risultasse espressione mia personale e soggettiva, che mostrasse una mia emozione o apprensione, un mio senso immediato o complesso di un uso estetico.
Ho cercare qualcosa che fosse in grado di congiungere le nostre menti in modo tale che l'operazione diventasse oggettiva, sociale. Abbiamo attraversato il tempo della modernità e del contemporaneo in cui l'arte si è sottratta dal sociale creando una zona di individualità dell'artista, dove ogni artista esprime un suo segno.
Negli anni 50' mi sono accorto che esprimere un mio segno poteva essere meno importante per me stesso che capire come si muoveva il mondo.
E' per questo che ancora oggi si può parlare di rinascimento, di un'arte che riconduce a relazioni interpersonali, anche riconsiderando quello che è stato il viaggio scientifico della percezione; l'invenzione della prospettiva ad esempio, geometrica, matematica, fotografica, già tecnologica..
Adesso nel nostro tempo ci troviamo ad agire questa sapienza, questa capacità di intervenire nel mondo, fino a pensare di poter conquistare l'universo.
Oggi attraverso la nostra concezione di artificio possiamo dire di aver conquistato il mondo, non fino a padroneggiarlo, certo, ma abbiamo la capacità di intervenire nella società, nella realtà e nella natura in maniera forte.
Abbiamo in mano il pianeta ma ne siamo anche responsabili.
E come esseri responsabili dobbiamo cercare nuove dimensioni, tali da riequilibrare i rapporti tra natura e architettura.
E se è l'arte e l'artista moderno che ha creato il massimo della libertà, a tanta libertà dovrà corrisponde altrettanta responsabilità - Se noi portiamo questo fenomeno dell'arte verso una capacità di riconoscimento, che la qualità creativa è propria di tutti - di ogni essere umano in quanto tale - e se ognuno di noi riuscisse a
usare la propria libertà immettendovi quel tanto di responsabilità che ognuno, e non solo qualcuno, dovrebbe avere, riusciremmo ad ottenere quel concetto diffuso di democrazia contrario alle relazioni limitanti che includono escludendo.
Non c'è più oppressione, non c'è chiusura.
Il compito della "Cittadella" è quello di far intravedere questo nuovo mondo che io ho chiamato "Terzo Paradiso"
i cui concetti sono discussi in un libro che porta lo stesso titolo, edito da Marsilio.
Metrocubo d'Infinito in un Cubo Specchiante, 2010 pho.to Dino Incardi
F.N. - Raccontarci della tua recente nomina a direttore alla Biennale di Bordeaux
M.P. - E' la naturale conseguenza dell'attività cominciata a Biella con "La città dell'Arte".
L'idea di una cellula che nasce dal mio lavoro - lo specchio.
Lo specchio, se diviso in due parti si moltiplica esattamente come le cellule si moltiplicano dividendosi.
Ho quindi cominciato a replicare la cellula della Città dell'arte come uno specchio - e moltiplicandosi nella divisione,
le varie cellule sono diventate i nuovi ambiti della vita sociale e non soltanto i settori del linguaggio artistico -
teatro, danza,musica, pittura - ma settori della vita sociale in relazione con la realtà.
Le cellule hanno preso il nome di "Uffizi" - perché in ognuno di questi si mette in relazione l'arte con uno specifico settore della vita sociale: la politica, l'economia...
Avendo creato questa cellula moltiplicata - quantunque in un ambito ristretto come un laboratorio, sono stato chiamato a sviluppare questo stesso progetto in una vera e propria citta - la città di Bordeaux.
Selezionato tra cento artisti ho assunto con piacere l'incarico di direttore alla Seconda Biennale di Arte Metropolitana.
Sarà "Evento" nell'ottobre del 2011 e sarà una vetrina del lavoro che stiamo già realizzando con dei cantieri aperti nella città di Bordeaux. C'è una partecipazione attiva delle autorità della città e del sindaco, forse per la natura umanista dell'intero progetto.
E' la politica che propone all'arte una collaborazione stretta.
Qualcosa che è cominciato ad accadere già dal rinascimento.
Pubblico - Vorrei sapere dei suoi meccanismi di indagine e di creazione nel rapporto con la natura e le cose - E se ritiene che questa impostazione è sufficiente o è semplicemente da sfondo ai problemi esistenziali dell'uomo che spesso sfociano in situazioni drammatiche nella vita, alla ricerca del perché delle cose.
M.P. - Io vedo il dramma.
Quando ho cominciato a lavorare nell'arte era molto attiva "l'action painting" - la pittura d'azione, individuale e soggettiva.
E vedevo Pollock muoversi intorno la tela in questo bisogno astratto di riversare queste energie, a gocce, a flutti, in tutti i colori
A molti questo modo di dipingere restituiva soltanto una qualità "estetica", per me aveva una intensità drammatica pari a poche altre esperienze in pittura .Così intensa e comune agli artisti di questa generazione che alcuni sono arrivati ad una conclusione tragica della loro vita. Forse perché hanno vissuto una condizione esistenziale estrema ed intollerabile. Ma l'artista con cui ho trovato delle contiguità nel lavoro è stato piuttosto Bacon, che recuperava la figura umana torturata dalla tensione, macerata nella impossibilità di una relazione diretta con il mondo.
I suoi soggetti sono come chiusi in una limitazione fisica senza astrazione possibile.
Tutto quello che io ho cercato di fare è trovare una uscita dal dramma - una sortita dal figurativo e dalla dimensione astratta.
Ho cercato di produrre qualcosa che risultasse fenomenologicamente oggettivo così da comprendere dove stare.
Non sono quindi partito da un tratto personalizzato ma dalla circostanza che io esisto - L'autoritratto.
E per riconoscere questo ho realizzato degli autoritratti allo specchio.
Senza questo stratagemma l'artista è incapace di riconoscere e conoscere la sua stessa figura.
C'è poi una tradizione figurativa che vede l'artista solitario sulla tela... ecco quando finalmente la tela è diventata pigmento specchiante, di un nero lucidissimo, ho visto gli altri, il mondo entrare con me nell'autoritratto - e per così dire questo è diventato l'autoritratto del mondo.
Non sono stato più solo ma sono diventato mondo insieme a molti altri.
Si è creato come un principio che dovevo condividere.
E poiché non c'è posto per tutti in un quadro, dovevo esser io che uscivo dal quadro e dal museo per entrare nella vita
Se potevo sentirmi fuori dal dramma perché non aiutare gli altri ad uscire da questa limitazione?
Il compito della "Cittadella", è stato nel tempo di intervenire là dove sono presenti situazioni problematiche. Abbiamo creato "Love difference" un linguaggio artistico comune per il mediterraneo, nonostante i tempi difficili che tutti viviamo. C'è in me e nella società una necessità di vivere il cambiamento mentale che l'arte può produrre - e di questo c'è ormai una assoluta necessità.
(Sono in mostra in alcuni musei del mediterraneo i "Tavoli specchianti" dove la gente si ritrova come ad una riunione di un piccolo parlamento culturale. Si può dunque pensare un parlamento mediterraneo e culturale per i nuovi cambiamenti politici. La cultura è dunque fondamentale. E cos'è l'arte se non il vessillo della cultura.)
Pubblico - Forse che l'armonia e l'equilibrio hanno ancora una incidenza nella società.
M.P. - Certo che l'armonia e l'equilibrio sono una componente fondamentale delle nostre vite. Oggi quando parliamo di società parliamo del mondo. La comunità non è più la dove si sviluppano certe tradizioni, o si creano certe connessioni limitate. La comunità è il mondo intero oramai. E sono le comunità stesse che a partire dalle persone riescano a riconoscersi nelle differenze. In natura siamo uno differente all'altro, ed è limitante dover ritornare ad una unicità assurda.
Pubblico - Lo specchio è dunque il modello di riflessione sul mondo e le esistenze. Come interpretare la provocazione iconoclasta di Venezia, con la frantumazione degli specchi e dello strumento della conoscenza?
M.P. - Non si è trattato di un atto iconoclasta.
C'era innanzitutto una rifrazione creata nell'ambiente per la posizione speculare in cui erano disposti i quadri specchianti.
Io dunque mi sono messo lì con una mazza di legno a spaccare questi specchi.
E spaccandoli sono venute fuori come delle chiazze sulle superfici frantumate.
E' apparso il nero di fondo, la superficie opaca che sta dietro.
Queste rotture sono come fotografie di una circostanza o di un avvenimento.
Se lo specchio riflette un presente continuo, nei quadri specchianti viene inserito in questo presente continuo una immagine fissa - Che avendo una qualità fotografica, diventa memoria, come una fotografia che appena scattata è un presente diventato memoria - è già passato. E in questa circostanza quindi questo passato e questo presente convivono.
Così questo spacco nella superficie è come una fotografia, perché io eseguo una azione nel riflesso di un presente che rimane come documento di quell’istante - che è già memoria.
Una memoria che si è formata come atto di un ex-presente che continua a dire con tutto il riflesso di un presente che lo circonda.
C'è quindi questo fenomeno del presente e del passato che insieme sono lì, mentre catturano quello che arriva dal futuro.
E' una dimensione di tempo, oggettiva e fenomenologica che viene esplorata, una realtà cronologica...
Questo lavoro ha avuto un successo enorme, inaspettato, forse perché ho spaccato un tabù, perché lo specchio rappresenta una specie di magia. Lo specchio è una magia che duplica la realtà in qualcosa di inafferrabile - che entra e fugge nella realtà - E quindi l'idea di intoccabile, di intangibile, magico - che io frantumandolo, ho dissolto. L'ho reso oggettivo, così da poter parlare di futuro e di passato - di elementi fenomenologici, addirittura fisici.
E lo specchio sebbene frantumato ritorna oggetto fisico, con un corpo in sostanza di frammentii che continuano a riflettere e a moltiplicarsi nei bagliori di luce che li attraversa
Sono poi ricomponibili, come in una cinematica inversa, un movimento mentale che può ricomporre tutto quanto.
E dunque ogni frammento è il pezzo di qualcosa che come ogni individuo è il frammento di una quantità di individui che formano la società. E dunque come per la visione olistica, che ogni frammento ed ogni individuo contiene in sé la totalità della società, nello stesso modo il frammento di specchio contiene le stesse qualità del grande specchio. E' l'universo.
(che io quindi paragono come lo specchio alla società fatta di persone)
Pubblico - Puoi dirci della esperienza in divenire della Cittadella a Biella?
M.P. - Tentiamo di creare dei laboratori, delle zone operative che si muovono nel possibile. Passare dall'immaginare al fare, dall'ideale al pratico - così come è possibile trasformare l'utopia in luogo reale. E poiché la "Cittadella" è un luogo nel quale è elencato tutto il programma utopico, un "progetto arte" abbiamo pensato ad un laboratorio per la costruzione di un luogo come tale. Fu presentato per la prima volta a Pistoia nel 1994, ricordo di questo progetto "Utopia" che provocò sorpresa e interesse.
Oggi la ricerca è quella di fare penetrare la responsabilità creativa nelle connessioni della società.
Gli uomini vengono da ogni parte del mondo, incontrano altre persone, lavorano con noi, con esperti delle varie discipline, arti e mestieri, e poi elaborano delle esperienze. Quello che poi andranno a fare è creare delle germinazioni - delle reti insomma, con scambi di corrispondenze nel tempo.
Utilizziamo strumenti straordinari come gli ambienti del web, che ancora deve essere esplorato in maniera compiuta.
Abbiamo realizzato un libro edito da Marsilio, un libro di strumenti della comunicazione, e abbiamo deciso di renderlo interattivo - far si che questo libro si scriva continuamente insieme.
Metrocubo d'Infinito in un Cubo Specchiante, 2010
Istruzioni per la visione dell'opera "Metrocubo d'Infinito in un Cubo Specchiante"
M.P. - Ogni luce è necessaria a dinamizzare l'ambiente. I nostri occhi sono fatti per vedere dove c'è luce.
La soluzione per illuminare l'interno del cubo è stata quella di inserire linee di neon agli angoli per ricreare un ambiente vorticoso, come di luci che fanno baldoria. Ciò che conta è il fatto che le persone all'interno si vedono moltiplicare.
Si farà quindi l'esperienza di entrare dentro il grande cubo, di vedersi moltiplicare nella rifrazione, si noterà il "Metro cubo" e si immaginerà quello che succede al suo interno.
Dalla verifica alla immaginazione nello stesso fatto.
Immaginiamo esattamente ciò che vediamo e quello che vediamo relaziona realtà ed immaginazione.
Perché se è vero che gli specchi producono immagini intangibili nello stesso tempo c'è una partecipazione del sé. Non sono tangibili con il tatto ma lo sono con lo sguardo.
C'è un esterno che è estremamente fisico, un cubo ricoperto di una superficie scura.
All'interno di questo cubo luminoso c'è poi un altro cubo opaco - A me interessa questo rapporto tra apertura interna e passaggio dall' esterno ad un interno che produce infinità - quasi come un fondo nero teatrale che fa si che si crei una condensazione che equilibra la leggerezza nel contrasto alla pesantezza.
Ma l'esperienza fondamentale è che si potrà immaginare ciò che c'è al suo interno come intangibile.
Nel grande cubo c'è dunque la persona, lì in questo "metrocubo d'infinito" non c'è né io né te, non c'è nessuno.
C'è un mondo anche al di là di se stessi!
Un mondo che esiste di per sé a prescindere dalla presenza individuale.
E quindi la mia presenza può esser correlata con il cubo, il quale cubo è una presenza, un corpo, e dentro al corpo c'è un pensiero nelle condizioni minime di esistenza.(un corpopensiero).
Un corpo di un "metrocubo" dentro al quale c'è un pensiero!
Io comunico con questo corpo "Metro cubo" e capisco benissimo cosa sta pensando. Sta pensando qualcosa di estremamente importante perché mi "informa" del fatto che lui pensa infinito - e pensa in maniera scientifica, perché quello che pensa è il prodursi all'infinito di quello spazio.
Questo è il senso dell'infinito quando si trova dentro.
La cosa poi interessante nella relazione tra l'uno ed il tutto - il corpo e l'infinito che contiene, è il fatto che il corpo è finito e non può essere infinito come ciò che che lo contiene.
E quindi il contenuto - è infinito che ha perso le qualità dell'infinito.
Certo si tratta di una relazione insanabile : finito ed infinito - E quindi è infinito meno quel corpo lì
Dentro c'è l'infinito che però necessita di un corpo finito, tale che possa esser pensato.
E quindi è l'infinito meno uno.
Condizione che non puoi percepire nel grande cubo dove si fa l'esperienza dell'infinito, la meraviglia, l'esplosione dell'infinito.
La verifica che questo esiste - è la presenza di un corpo che ha dentro l'infinito
e questo corpo si sottrae all'infinito, e produce infinito sottraendosi mentre diventa finito.
Questo è il punto.
Questa è la relazione a cui lo spettatore deve esser ricondotto.
Si tratta di fare esperienza di ciò che dentro c'è, ma in termini essenziali : infinito meno uno.
E questa possibilità significa che ogni cosa che è finita è infinito sottratto per un possibile.
Tutto ciò che esiste di materiale nell'universo è sempre infinito meno quello : ogni sostanza, ogni frammento è l'infinito meno la sua finitezza.
E questo meno sottratto ed innumere fa in realtà il tutto.
Credo che la fruizione per questa opera è di 8 o 10 persone contemporaneamente.
E la porta che in assenza di visitatori dovrà essere chiusa, resterà aperta e non socchiusa mentre
ospita i visitatori del cubo .
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