> Cesare Pietroiusti

Conversazione sul gioco e le sue regole

 

 
La ripetizione e il desiderio
[Tenutosi a Venezia il 26 marzo 2006,
fra Nicola Setari, Rene Gabri, Cesare Pietroiusti, Anna Maria Bresciani, Sarah Carrington, Sophie Hope, Mariagiovanna Nuzzi]
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Nicola: Quest'anno, per i loro corsi allo IUAV Cesare Pietroiusti e Rene Gabri hanno lavorato ad un progetto particolare. Vorrei cominciare questa discussione da una descrizione di tale progetto.

Cesare: Mesi fa Rene mi ha proposto di prendere ispirazione dal film di Lars Von Trier e Jorgen Leth, in cui il regista più giovane e più noto propone a quello più anziano di rifare un suo famosissimo film degli anni 80

Rene: Credo che con Cesare condividiamo un interesse per la tematica del gioco e il nostro intento non era soltanto quello di studiare ed esplorare tale tematica (con letture, visioni di film, ecc) ma anche di coinvolgere i nostri due gruppi di studenti in un processo che fosse un vero e proprio gioco. Un processo che pur essendo orientato dall'idea di produrre un lavoro, mantenesse tuttavia una conclusione aperta “divenire”, piuttosto che uno di quei giochi dove alla fine c'è chi vince e chi perde (ovvero, in un contesto universitario, chi fa un buon lavoro e chi fa un lavoro scadente).
Il gioco imposto da Von Trier ci ha offerto un metodo e un innesco.
Formalmente il processo che abbiamo proposto contiene due elementi fondamentali dei giochi la ripetibilità/petizione e l'istruzione / ostruzione che abbiamo inserito all'interno degli obbiettivi del nostro gioco; questo ci sembrava sia interessante che divertente. D'altra parte, siamo convinti che entrambi questi elementi risultano essere cruciali nello statuto dell'opera d'arte dell'ultimo secolo. Rimaneva da decidere come potevamo adattare questo gioco ai nostri corsi, e quali lavori proporre agli studenti perché loro li rifacessero


Cesare : Così abbiamo deciso di proporre circa quaranta opere da cui gli studenti potevano scegliere.
Abbiamo dato loro circa due settimane di tempo per realizzare il primo rifacimento e presentarlo a tutti gli altri studenti, dopodiché i due gruppi, separatamente, si sono riuniti per analizzare quello che avevano visto e decidere le ostruzioni / variazioni da “imporre” all'altro gruppo. Poi abbiamo dato altre due settimane per realizzare il secondo rifacimento, e poi una nuova serie di ostruzioni, e infine il terzo ed ultimo rifacimento. Complessivamente ogni studente (o individualmente o con altri) ha quindi realizzato tre rifacimenti e accettato (ma anche imposto) due serie di ostruzioni.

Rene : L'intero processo è durato 11 settimane. La nostra speranza era anche quella di far marciare, parallelamente al “gioco” collettivo fatto con la classe “avversaria”, anche una serie di altre attività di tipo ludico nonché letture che ci consentissero approcci da diversi punti di vista al tema, sia relativamente all'opera d'arte che alla questione più generale del ruolo del gioco nella cultura, in politica, nelle dinamiche sociali.
Per me era importante non cadere, fin dall'inizio, in una sorta di celebrazione dell'idea di gioco, piuttosto arrivare ad una migliore comprensione dei termini in questione e delle modalità con le quali essi sono andati incontro a processi di trasformazione e ibridazione, nonché alla possibilità di funzionare su registri molto diversi.
Penso che in ciascuno dei nostri due corsi, nel mio con Anna Maria e Maria Giovanna e in quello di Cesare con Sarah e Sophie siano venute alla luce questioni e approcci differenti.

 

Nicola : E' interessante notare che la prima ostruzione che voi, in qualità di organizzatori del gioco, avete posto agli studenti, sia stata proprio la lista di opere. Il primo passo è a tutti gli effetti questo processo di selezione. Vi sembra che ci sia omogeneità o eterogeneità fra i numerosi lavori che avete proposto agli studenti?

Mariagiovanna : Come Rene accennava, la questione principale era il concetto del gioco, e quello delle sue regole. Sin dal principio abbiamo riflettuto su ciò che implicava la richiesta della ripetizione di un opera. La prima ostruzione, il primo problema di fronte al quale gli studenti si sono trovati è stato quello di dover rifare un'opera. Le discussioni, nei primi giorni del corso, erano concentrate proprio sul senso da dare all'atto di ripetizione dell'opera realizzata da un altro autore.
Attualmente nella scuola gli studenti devono produrre una grande quantità di lavoro sempre sotto la pressione dell' inventare qualcosa che apparentemente sia nuovo. Ma cosa significa realizzare un opera? E quale relazione ha con l'atto del creare?
Dopo un certo iniziale scetticismo gli studenti sono entrati così in profondità nel gioco; molti di loro hanno sviluppato un notevole attaccamento nei confronti del lavoro originale ed hanno coltivato una stratta relazione con l'atto stesso della ripetizione. Credo che una delle cose più importanti sia stata quella di sottolineare come l'atto della ripetizione fosse anche, in qualche modo, un distruggere il concetto di originale e di passato – utilizzo il termine distruzione allo stesso modo in cui Benjamin lo intende. Si potrebbe dunque parlare del compiere un atto decisivo nei confronto di qualcosa che è già stato.


Rene : A questo concetto di “distruzione” vorrei affiancare, come altre possibilità di approccio ad un determinato lavoro, altri termini come elaborazione, interrogazione, interpretazione. Traduzione, e anche il tentativo di completare elementi in qualche modo incompiuti dell'originale.
Nel nostro corso abbiamo lavorato su almeno due registri differenti della ripetizione. Da una parte si potrebbe dire infatti che qualsiasi opera si faccia, si sta comunque ripetendo il lavoro di qualcun altro. Ma dall'altra si potrebbe anche dire che la pura e semplice ripetizione è praticamente impossibile. In tal senso, la più importante differenza nella ripetizione avviene nella mente che la contempla come tale. E' Deleuze ad elaborare questa idea di Hume nel suo Differenza e ripetizione.

Cesare : Per tornare alla tua domanda, noi abbiamo scelto dei lavori che contenessero un qualche elemento di gioco, con delle regole da seguire e anche da poter infrangere.

Nicola : Puoi fare un esempio?

Cesare : Following Piece di Acconci, per esempio, ha una serie di regole specifiche, che sono regolarmente incluse dall'artista nella presentazione dell'opera, e funziona come una specie di gioco.
“Ogni giorno in strada scelgo a caso una persona che passo e la seguo finché non entra in un luogo privato. A quel punto il lavoro, per quel giorno, è finito”. L'opera è fatta seguendo delle regole che chiunque può replicare.

 


Sophie
: Abbiamo cercato di scegliere lavori che fossero abbastanza diversi quanto a motivazione e medium usati, raggruppandoli intorno a varie idee e concetti come: interventi nello spazio urbano e rischi connessi; giochi di società, distribuzioni di materiali, azioni di lunga durata e di resistenza fisica, e così via. E' ovvio che una lista di opere d'arte che contengano elementi di gioco, potrebbe essere infinita. Però c'era qualcosa, nella nostra selezione che secondo me suggeriva una certa ossessione di voler “vedere cosa c'è dietro l'angolo” e di provare sperimentalmente delle possibilità di azione. Appena finita la selezione, un poco per finta e un poco sul serio ci siamo detti che sembrava lo schema per un progetto curatoriale di una grande mostra!

Nicola : Era parte del gioco il fatto che gli studenti si trovassero a rifare qualcosa di difficile?

Anna Maria : No. La difficoltà per noi stava nella ripetizione in sé e per sé, non nello specifico lavoro proposto.

Cesare : Credo che il nostro obbiettivo non fosse quello di includere necessariamente nella selezione opere tecnicamente complesse. Intuitivamente abbiamo scelto alcune opere semplici da rifare, e altre no. Ci sembrava anche importante avere uno spettro di medium usati il più possibile vario, e quindi lavori video, performativi, fotografici, ecc

Rene : Nel processo di selezione credo che abbiamo tenuto presente quanto potesse essere interessante un determinato lavoro rispetto alle possibili ostruzioni da porre. Trattandosi di un esperimento , ci siamo presto resi conto che le difficoltà tecniche o l'apparente complessità di un certo lavoro, non corrispondeva alla complessità del processo che ciascun studente aveva avviato.


Nicola
: Come venivano decise le ostruzioni'

Anna Maria : in effetti le decisioni sono state prese in maniera diversa nei due gruppi.

Sarah : Nel nostro corso abbiamo sottoposto ogni rifacimento dell'altro gruppo ad una discussione collettiva, dalla quale emergevano le ostruzioni da proporre.

Anna Maria : La nostra classe invece ha lavorato in piccoli gruppi, ciascuno dei quali si occupava di decidere le ostruzioni per uno specifico lavoro dell'altra classe.
Comunque questo lavoro era sempre preceduto da una discussione generale per analizzare come i vari lavori erano stati sviluppati.

Rene : Ci interessava pensare all'ostruzione stessa come una sorta di lavoro. Alla fine era importante per noi che determinati studenti prendessero la individuale responsabilità delle ostruzioni da proporre, così che essi fossero in qualche modo responsabili anche dei risultati del lavoro degli studenti dell'altro corso.

Nicola : Si potrebbe parlare di miglioramento del lavoro iniziale?

Cesare : Proporrei la sovrapposizione di due concetti. In genere si crede che una cosa sia cercare di migliorare un lavoro altrui, un altro creare un ostacolo alla sua realizzazione.
L'elemento chiave qui è trovare il modo in cui un dato intervento che è considerato distruttivo o limitativo possa creare l'energia per qualcosa di nuovo e produttivo.

Sphie : Proprio così. Il processo infatti abitualmente comincia con una reazione....

 


.... molto negativa all'ostruzione ricevuta.
In seguito però subentra una interpretazione creativa dei termini anche verbali dell'ostruzione nonché della sua relazione con gli interessi propri degli studenti.

Rene : E' stato sorprendente notare che, a volte proprio le ostruzioni che avevamo ricevuto peggio da certi studenti, determinavano poi lo sviluppo di lavori migliori, mentre le ostruzioni più gradite potevano arrivare, nei fatti, ad avere un effetto paralizzante.
Nel nostro gruppo abbiamo anche spesso discusso quanto fosse giusto mantenere una forte relazione con il lavoro originale e quanto fosse invece giusto invece allontanarsene e quindi “cambiare gioco”.

Sarah : Nel nostro corso, il mantenere un legame con il lavoro originale è stato elemento importante del lavoro di gruppo: In qualche caso non eravamo d'accordo con l'enfasi posta dagli studenti su alcuni aspetti del lavoro, in tal caso, cercavamo di correggerli e ri-direzionarli verso l'essenza dell'opera da cui eravamo partiti. Altra considerazione era legata a quanto una determinata ostruzione potesse creare un contesto favorevole per l'ostruzione successiva e così via. Ci sembrava insomma importante creare una continuità rispetto non soltanto a significati del lavoro originale ma anche delle ostruzioni date.

Nicola : Quali sono state le ostruzioni e che tipo di reazioni hanno generato.


Cesare
: Questo è un altro punto cruciale. Sarei tentato di dire che il lavoro non sta in un dato rifacimento e neanche in una determinata risposta ad una ostruzione, ma nell'intero processo che include il lavoro iniziale (di un altro artista), tre variazioni / rifacimenti e due ostruzioni ricevute dagli studenti del corso “avversario”. Lo vedo insomma come un lavoro collettivo basato su di una strana forma di collaborazione in cui invece che sostegno c'è scambio di ostacoli. Credo che questo sia qualcosa (le regole di un gioco) che costringe i partecipanti ad accettare l'altro, le sue idee ed attitudini, la sua personalità e le sue scelte estetiche, fino a farlo diventare parte del proprio lavoro.

Mariagiovanna : Una delle cose più interessanti all'interno del processo di questo gioco è stato il fatto di porre in questione gli stessi rapporti istituzionali: Alla fine, infatti, quel che gli studenti dicevano e decidevano rispetto ai lavori degli altri, faceva sì che in qualche modo essi assumessero la posizione di docenti, decidendo attraverso le ostruzioni che direzione gli altri compagni potessero prendere.
Cesare parlava del processo di accettazione dell'altro; non credo che si tratti di una semplice accettazione dell'altro come entità separata, o come un al di fuori verso cui poter uscire da un sé, ma del tentativo piuttosto di capire come questo altro sia inevitabilmente qualcosa di comune (e ciò è anche parte di ognuno), e come muoversi con esso e come ogni dispositivo ( e ciò è anche parte del sistema educativo) tenda sempre a costruire delle ostruzioni.

 


Rene
: Parlando di come si riceve l'ostacolo, un modo di vederlo è quello di considerarlo una specie di regola o di legge. In questo modo gli studenti si trovavano nella condizione di considerare quali fossero le possibili risposte a tali regole (e possibilmente alla legge stessa). Alcuni hanno proposto l'esplorazione della potenzialità insite in una estrema passività, altri hanno cercato una relativa autonomia dalle regole cercando nelle pieghe. Altri ancora credo si sono presi una maggiore libertà di giocare con le regole, ovvero aprendole e orientandole ad un cambiamento.

Sarah : In effetti ogni volta che si riceve una ostruzione ci si trova nella condizione di provarne i limiti; questo è proprio il modo in cui funziona il film Le cinque variazioni poiché ad ogni passaggio Von Trier mette alla prova Joergen Leth e ogni volta sembra sorpreso o addirittura scioccato dal modo in cui Loth rovescia o manipola la restrizione che gli era stata imposta. In qualche modo, questa stessa cosa è accaduta con i nostri studenti, che hanno accolto le ostruzioni ricevute alla stregua di una sfida e di una opportunità per sorprendere l'altro e, diciamo, “ostruire l'ostruzione”.

Anna Maria : Penso che la porrei piuttosto in termini di desiderio. Mariagiovanna prima parlava degli studenti innamorati del lavoro che hanno scelto; allo stesso modo la sfida dell'ostruzione ricevuta è quella di farvi crescere all'interno il proprio desiderio che è anche presente nel lavoro originale dell'artista, e di condurlo oltre. Penso che l'ostruzione fosse un modo per provocare una reazione e far deviare gli studenti verso il proprio desiderio, mettendo in discussione il sentimento di prossimità ed allo stesso tempo agendo al di fuori di esso; questo per capire fin dove sia possibile condurre il proprio lavoro.

Cesare : Vorrei aggiungere che ovviamente, quando parlo di “accettare” l'altro, penso comunque ad una forma di elaborazione. Non è mai un processo passivo, piuttosto una combinazione di differenze.

Nicola : Alla fine di questa esperienza, ritengo che queste modalità di conduzione del corso universitario potrebbero esser replicate e essere considerate un vero modello didattico?


Cesare
: Da un punto di vista pedagogico, io credo che noi abbiamo tentato di proporre una condizione di lavoro ed un approccio non basato sul tradizionale rapporto uno-ad-uno fra docente e artista-studente, bensì su una molteplicità di punti di vista: molti soggetti, infatti hanno partecipato all'elaborazione di ciascun passaggio.

Mariagiovanna: Non concordo nell'utilizzo del termine modello e non credo neppure che questo tipo di processo possa essere inteso come modello.
Cesare diceva prima che il lavoro va osservato in ogni sua fase, io direi che eravamo interessati piuttosto a porre una domanda ulteriore: “dov'è l'opera?”; che la ricerca non terminava con la fine del corso, che vi sono state altre esperienze che potevano portare il processo oltre, continuarlo oltre il contesto dal quale partiva.
L'altra questione è che il nodo centrale era il gioco, la relazione delle regole con il gioco e la relazione di queste regole con l'istituzione. In questi termini risulterebbe paradossale pensare di costruire un modello su qualcosa che cerca di mettere in discussione lo stesso concetto di modello, in questo caso universitario.
Inoltre devo dire che, alla fine del corso, questo gioco ha cominciato a prendere la forma e la struttura di un dispositivo e per questo motivo abbiamo deciso di dedicare parte delle lezioni finali per riflettere su ciò che la macchina che avevamo creato aveva consumato, come fosse possibile procedere oltre. Ovviamente la messa in discussione del corso è stata fatta dagli stessi studenti insieme a noi.

Anna Maria: Non è un modello perché non è chiuso, non è la fine. Lo abbiamo inteso piuttosto come un gioco infinito ed indeterminato. Abbiamo giocato all'interno dell'istruzione per ripensare ai fuori come ad un immenso gioco che spesso non riuscivamo a percepire.

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Università Iuav di Venezia Facoltà di Design e Arti 2006
clasAV corso di laurea specialistica in progettazione e produzione delle arti visive. Laboratorio di Arti Visive 5 .