;Robbert Weide     
  Robbert Weide Vogels, 2011
Alessandro Sarri
Apparizioni
 
 

 

In ordine di apparizione
o la questione ipocondriaca (dell'immagine)


’L'oggetto a funziona come inanimato ed in quanto causa che esso appare
come fantasma. Causa rispetto a ciò che il desiderio è, e di cui il fantasma
è il montaggio.
Jacques Lacan.

Il ritrarsi non è una negazione della presenza, né la sua pura latenza [...]
E' l'alterità : senza misura con una presenza o un passato che si
raccoglie in sincronia del correlativo.
Emmanuel Lévinas



L'apparizione ovvero ciò che è stato preso e mai più ridato? Che cosa è già apparso attraverso l'apparizione che l'apparizione stessa s'incarica proprio di (non) far percepire?
Si tratta di non vederla l'apparizione oppure l'apparizione non è che una risacca o piuttosto un cul de sac ipocondriaco di un qualcosa che appare senza alcuna traccia di apparizione? Esiste infatti la questione dell'apparizione? E se esiste, a che tipo di domanda saremmo al cospetto di un orizzonte di manifestatività in cui esposizione e apparizione coincidono?
In altre parole l'apparizione incarna la mancanza endogena, la supplementarietà costitutiva che già la questione prescrive oppure ciò che appare, indivisamente, non è dell'ordine del qualcosa, della contingenza, dell'articolazione? L'apparizione lascia, per così dire, un posto vuoto all'apparizione, una costruzione, la messa in gioco, diremmo quì ipocondriaca, fra ciò che non defluisce in ciò che non si genera? Ciò che quì si chiamerà apparizione - o dell'immagine ipocondriaca - non apparirà dunque che come l'ing(u)aggio more idiosincratico nel senso che si manifesterà sempre indirettamente, intransitivamente e mai come tale, anticipatamente transitivo?
Attraverso una sorta di pharmacon omeostatico - "all'azione senza afferrare nulla di ciò" (Edmund Husserl) - che potrebbe far pensare che ciò che si vede apparire contenga l'apparizione da cui la visione si sente irriducibilmente e anasemanticamente aspirata, divenendo insensata a partire dalla correzione displasica di cui l'investe appunto la coniatura ipocondriaca?
Abbandonata da qualcosa che è lì in quanto non potrà mai apparire se non attraverso l'apparizione che la preclude mostrandosi tra ciò che è inedito e se stessa? Che cosa si annulla nella mortificazione dell'apparizione in cui sembra proprio apparire, come indica Rocco Ronchi, "non un'altra cosa dissimulata dalla prima cosa, ma l'altro rispetto ad ogni cosa"? Che cosa significa che l'apparizione non si esaurisce nel rinvio ad un'immagine, fra la prerogativa e la panne, esibendo la messa in gioco, cancellata, del senza processo, che fa una sola e medesima cosa con l'immagine della sua apparizione?
Forse l'immagine è proprio ciò che non manca all'apparizione che manca di niente - generando le proprie evidenze attraverso una mancanza che non si mantiene costante . consistendo solo nel fatto che essa si sperimenta tale? Volendo ricostrtuire sul vuoto presentato dall'apparizione si deve dire allora che l'ipocondria che deve essere individuata nell'immagine si situa su tutt'altro piano dell'immagine che ha da farsi impedire nell'ipocondria stessa? E in fondo l'apparizione non è dunque, come scrive Jacques Lacan, "una leggibilità senza sbocco" che non deve trovare qualcosa che non è stato prestato se non mediante il prelievo che "gli fornisce il suo quadro"?
E ciò significa proprio, parafrasando ancora Lacan, che bisogna che l'apparizione sia rifiutata perché possa essere raggiunta nella scala rovesciata della legge dell'immagine? Una modalità di proliferazione omeostatica del rapporto dell'immagine che non cessa mai di mostrare per (non) mostrare nulla di "ciò che dell'apparizione è stato abolito" (Sigmund Freud) e a cui necessità
un cominciamento attraverso il modo in cui agisce, collaborando con le proprie resistenze?
Le immagini che si lamentano di allucinazioni disposofobiche non mostrano forse altro che quando c'è qualcosa da mostrare è perché c'è qualcosa che è dato da mostrare? Si tratta allora, come indica Jacques-Alain Miller a proposito del sinthomo lacaniano, "di riduzione piuttosto che di interpretazione?
E se, in questo caso, c'è interpretazione, è perché serve alla riduzione dell'apparizione? Un'apparizione che non convoca in "nessun segreto testimoniale" (Carmelo Meazza). mediante una donalità che non appartiene a ciò che rende possibile e che non solo deve ritirare il mittente ma deve ritirare anche il destinatario, "senza fare cura, senza segreto, senza ospite e senza nome, senza pathos, senza istante sfasato?


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