Senza scultore: l’arte pubblica dopo le grandi narrazioni
Uno dei nodi essenziali, della scultura pubblica oggi, è la scomparsa della scultura come oggetto di culto, come oggetto capace di organizzare la centralità dello spazio e di gestirla. Su tratta di un passaggio congruo alla cultura che ci circonda e che stabilisce rapporti sempre più labili con noi, facendoci fluttuare in spazi indefiniti, poco riconoscibili e sempre meno motivati.
La scultura ha come fatto un giro a 360° rispetto al corpo scultoreo, abbandonandolo alla solitudine del non senso e ricercando una via molto più complicata , meno appariscente, ma certamente anche assai più intensa e incisiva.
Non abbiamo più niente da vedere o contemplare, ma abbiamo molto più da vivere, attraversare o relazionare.
Non c’è un passato fulgido che possa essere preso ad esempio: la storia con i suoi esempi le sue indicazioni è scomparsa e con essa gli avi e la loro voce, il futuro si è ritirato dietro le ideologie, ci resta la semplicità e la potenza del presente, la narrazione ha il nostro vissuto come materia.
E’ da questo terreno spoglio e fertile che nascono le esperienze che ho condotto sulla scultura pubblica, dove il fondamento primo è il tentativo costante di creare incontri, relazioni, centri di riflessione e attenzione alla comunità.
In “chi mi parla?” opera realizzata per un piccolo comune dell’Appennino toscano costituita da un “lampione” con “cappello” e seduta, ci si siede per ammirare il paesaggio straordinario che è il bene comune di questo luogo e che si può godere dalla cima in cui è collocata la chiesa . Nel momento in cui il visitatore si siede, gli viene raccontata una storia del luogo, narrata dalla voce di un abitante.
“MEETmat” pensata per Fribourg è una “scultura” per creare occasioni di incontri tra le persone che vivono nella città. Si tratta di una macchina collocata nel centro cittadino vicino alla fermata del bus, che in modo random emette un biglietto, tale biglietto è la metà di un biglietto che porta una serie di informazioni e che darà diritto a qualcosa (es. una birra, o l’ingresso per un film…) al momento che viene ricongiunto con l’altra metà.
“al di qua del giorno” è un evento in cui le persone di una città si sono ritrovate per una sera in piazza a vivere i gesti quotidiani di tutti i giorni ma con la consapevolezza di essere e di appartenere ad una comunità. Nella piazza del Duomo è stata disegnata la pianta di una casa e poi arredata dei mobili: letto, bagno, cucina, sala quindi vissuta come fosse una vera casa, facendo attenzione alle porte, alle delimitazioni delle stanze: la gente è arrivata prime per curiosità poi per parlare, poi per restare a cena, poi per condividere un tempo, una casa aperta, un’esperienza comune.
Nella “la città invisibile” le persone hanno aperto le loro case rendendole per una notte visibili dall’esterno a chi passava per strada, cercando in qualche modo di abbattere il muro che li separava dai loro simili e dando visibilità alla loro intimità, alla loro identità: gli interni delle case fotografati e svelati venivano proiettati sull’esterno della casa in coincidenza con la stanza fotografata, come se alcune case diventassero trasparenti.
Tra il 1999 e il 2004 per la nuova piazza centrale della cittadina di Quarrata ho elaborato “le parole scaldano” una scultura –fontana a forma di casa accessibile all’interno e le cui pareti sono tutte in vetro mentre quella frontale, che dà sulla piazza, è formata da acqua. Le pareti di vetro sono piene di scritte raccolte nei mesi precedenti alla realizzazione dell’opera, invitando le persone a scrivere quello che volevano per le pareti della costruenda fontana, in modo che su queste pareti ci fossero riportati e segreti, i sogni, le speranze, le necessità, le voglie e quant’ altro passava nei pensieri degli abitanti, a render visibile un momento della loro vita interiore, che resterà negli anni come riferimento per misurare i loro cambiamenti.
Nel 1995 a Peccioli in un piccolo cortine vicino alla piazza centrale del paese ho disposto al centro sei piante in vaso, mentre intorno ho collocato cinque sedie ottenute dalla fusione in bronzo di quelle tipiche in paglia della campagne in modo che il cortiletto accogliesse le persone e rendesse possibile lo stare seduti e il dialogo, la chiacchera, fondamento di una comunità. “cortile” è diventato anche il titolo dell’opera.
Firenze settembre 2008 - vittorio corsini
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