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FESTIVAL
della CREATIVITA'
007
  - workshop.joshuadavis modified -  

Firenze Fortezza da Basso
Festival della creatività
17,30 giovedì Cavaniglia
Estetica ed Etica della creatività con G. Dorfles, D.De Kerckove, M. Cacciari, A. Colonnetti.

De Kerckove -
La prima cosa da dire è che la creatività, diffusa dentro il mondo nei suoi sviluppi elettrici ed elettronici è diventata interazione di possibiltà. Viviamo con la rete oggi una moltiplicazione della mente tra le menti, in una varietà di configurazioni e connessioni che sono sempre più complesse - e strumenti di produzione e diffusione libere, a portata di tutti. Si tratta di un ambiente, soprattutto - di accesso libero (wi-fi) - un ambiente di comuinicazione mentale, l'estensione del nostro pensiero condiviso su tanti schermi. La creatività oggi è uno scambio di connessione / o produzione tra la mente umana, lo schermo ed il mondo oltre lo schermo.

Mi capita a volte di stare in " Second life" questo mondo tridimensionale abitato dai nostri Avatar - dove alcuni anni fa con l'aiuto di alcuni colleghi, ho inserito un ambiente universitario virtuale. E ho proposto questo mondo, come un mondo cognitivo, un immaginario oggettivo.... - Proiettiamo una finzione fuori di noi, all'opposto del processo del lettore che mette il mondo virtuale dentro di sé.

In "Second Life" noi siamo fuori... e condividiamo fuori della nostra testa, su schermo, questa completezza.
Forse che la nostra prima vita potrebbe essere la -Second Life- di qualcun altro...
Ma questa forma di 'processione' dell'immaginario è solo uno dei modi di creatività visibile, perché ormai siamo anche nella possibilità di moltiplicazione di creatività assolutamente... ambiente.
La possibilità di essere ciascuno di noi l'artista!...

Oppure in una estetica indirizzata verso una dimensione molto sociale, la cosidetta era del Web 2.0 - un modo in cui piuttosto che contare su esperti specializzati per creare pagine con testo e filmati per il web, si dà la possibilità di fare dell'utente, il creatore. Pensiamo a Wikpedia - una condivisione di conoscenza, un fenomenale accelatore di creatività. Allora il problema non è più quello della estetica tradizionale, piuttosto conta molto il cambiamento di rapporto tra l'arte e utente - tra i vari limiti che sono meno evidenti tra pubblicità, arte e partecipazione.

Dorfles -
Si parla moltissimo di creatività - è quasi un luogo comune. Ma che cosa venga creato me lo domando. Mi pare che si crei poco, ovvero si crea troppo, ma male. E poiché il tema è il rapporto tra etica ed estetica - tra il buono ed il bello, mi atterrò al tema. Ovviamente l'etica si occupa del buono; della morale e dell' estetica dovrebbe occuparsi il bello, anche se molto spesso si occupa del brutto.
Ma la cosa fondamentale è che oggi non trovandoci più nella Grecia antica quando i due termini venivano coniugati insieme - Kalos ed Agatos - questi, oggi non solo non coincidono, ma direi che sono all'opposizione.

Se voi guardate l'arte dei nostri tempi, vedrete che il bello - l'arte - è lontanissima dal buono, ed in quanto al bello, cavalca quasi sempre il brutto - e questa è la realtà dei fatti. E se guardate l'arte degli ultimi decenni vedrete che in fondo sono molto di più le opere brutte che hanno interessato che non le belle. Da quando Picasso genialmente ha deformato la figura umana, ecco che un brutto delizioso e geniale è entrato a far parte del bello.
Ed allora un poco alla volta il brutto è avanzato fino a che anche il kitsch è venuto a far parte integrante dell'arte dei nostri giorni. E non dimentichiamo che l'arte Pop è basata nelle sue figurazioni da etichette di conserve di pomodori, scatole di detersivi...

Quindi considerare che l'estetica sia legata al bello è un vecchia idea che non ha più senso di esistere, né tanto meno che il cattivo non possa essere arte!
Pensate a tutte le tendenze della body art - di persone che si infliggono tagli o modificazioni corporali - si capisce che di buono c'è ben poco. Eppure sono opere che hanno un valore estetico notevolmente rilevante. Ecco perché parlare di etica e di estetica come di due sorelle, oggi è fuorviante. Sono piuttosto due sorellastre degne di una creatività che molto spesso non crea niente.

Cacciari -
- Sul nesso tra estetica ed etica ha detto giustamente Dorfles.
Si è aperta, ma si è aperta tre secoli fa un'epoca di rivoluzione permanente che abbraccia le forme artistiche di cui Dorfles parla, mentre ogni forma del fare è dominata da questo dovere di innovazione - ad indefinitum -

Ma se etica la intendiamo non solo come scienza del bene e del male, ma la intendiamo in senso letterale - come in fondo traducevano i latini il termine Ethos - ovvero " mos " ... certo quando noi pensiamo ad etica pensiamo ad idea o progetto - imperativo categorico - nel -mos- latino che è la stessa radice di modus, vi è la radice di " Moveo " che in latino significa seguire l'abitudine, il costume, la tradizione. Non ha nulla della serietà ideale che noi diamo al termine etica. Da questo punto di vista ogni innovazione è etica, eccome, perché è il nostro ethos, il nostro ambiente, il nostro contesto, la nostra sede è determinata da questo imperativo al mutamento continuo, alla rivoluzione permanente.

Quindi creatività può essere declinata in questi termini - etici, che non hanno niente a che fare con bello o buono o brutto. Che ha a che fare con il luogo in cui stiamo - di comportamenti che sentiamo dettati dal destino che ci troviamo a vivere.
Ma creatività può voler dire qualcosa che si avvicina - al creare - La nostra civiltà è tutta dominata da un volontarismo creazionista e questo è fondamentale perché non era così nella civiltà classica e non è così in tante civiltà tradizionali.
Questo volontarismo creazionista è tipico della nostra civiltà. Il Demiurgo platonico non è un volontarista creazionista. Prende le cose che trova e le accorda, le armonizza.
Il demiurgo non ha nulla di sublime. E' l'artigiano di Atene, che prendeva il materiale per farne l'oggetto secondo tradizione. Creava così.

Questa forma di creazione, un armonizzare elementi presupposti, è stata sconvolta nel corso della nostra civiltà. Per noi, fino in fondo - creare - è diventato creare " ex nihilo". Questo è il dramma. Ormai è diventato così.
E quindi dove è che vediamo il creare propriamente oggi?! Lo vediamo nella progettualità scientifica. E qual è l'obbiettivo, il confine e l'orizzonte della vera creatività scientifica davanti alla quale noi tutti siamo profani...

Perché ormai per crare a quei livelli della più alta progettualità scientifica occorre un sistema organizzativo formidabile; mezzi formidabili, sistemi che si dispongono sull' intero pianeta a rete, e che sono al di fuori di qualsiasi controllo democratico, religioso o civile. Sono questi i creativi.
Sono davvero quelli che tre secoli fa aveva immaginato Bacone. Sono quelli della nuova Atlantide. E cosa fanno? - e dove è poi il confine di questa vera creatività?... - Creare la vita -
Quella è la vera creatività. Le altre ipotesi sono tutti cascami. Quella è la vera creatività, nel senso vero ed etimologico del termine. Quello è il culmine del volontarismo creazionista che è il tratto dominante della nostra civiltà a differenza di quella classica - a differenza di quelle tradizionali che sono state tutte più o meno spacciate.
Questa è la verità. Perché la civiltà dominata dal volontarismo creazionista domina il pianeta, con tutte le conseguenze che ne possiamo trarre.

Colonnetti -
Dopo queste riflessioni, ultime, vorrei scendere su di un terreno più empirico, anche per la mia esperienza di frequentatore di designers ed architetti. Ed allora ritornando all'etica come modo e comportamento, luogo che abitiamo tutti i giorni, è chiaro che la città, la casa, il nostro corpo, sono delle situazioni nelle quali la creatività si esercita. Vorrei allora chiedere, rispetto ad una architettura che viene disegnata e realizzata concretamente in un territorio - il discorso etico nel senso del rispetto del modo in cui viviamo quel territorio, ha un senso riprenderlo, oppure no

 
 

Festival della creatività
Sabato 27 Ottobre 15.00 Teatrino Lorenese
Arte all'Arte - dalle installazioni alle città d'arte. Idee e progetti per la sostenibilità delle città del futuro con M. Paladino, M. Botta, L. Cecchini, E. Eusebi, R. Nanni, A. Canozzi, G. Buontempo, M. Cristiani

Mario Cristiani -
L'occasione d'incontro è la presentazione del film che nasce dalle opere realizzate da Mimmo Paladino in Toscana, a Vinci. Sarà anche il modo per raccontare come far corrispondere le leggi d' Italia, in materia urbanistica, con le esigenze dell'artista. Esigenza di bellezza, di modernità e di presenza nel nostro tempo - esigenza molto forte per noi della Galleria Continua impegnati a lungo nel progetto Arte all'Arte con quelle persone che hanno dato un'idea un poco più... presente, della contemporaneità, e che l'Italia esprime in ambiente internazionale e non solo.
Sono molte le città italiane che hanno bisogno di innesti, di persone che portino qualità. E' in corso tra l'altro un nostro nuovo progetto a Siena con la costruzione di case modulari, come modello abitativo slegato all' idea di casa popolare - perché vorremmo che la qualità fosse una cosa che unisce la comunità, ed in questo, c'è una sintonia molto forte con i presenti: Paladino, Botta, Cecchini e gli altri tutti.

C'è dunque una cucitura tra presente, passato e futuro attraverso un passaggio dall'installazione alla piazza! Forse che la città d'arte comincia a materializzarsi?

Mimmo Paladino -
Si certo, se la città tornerà ad essere abitata.
Comunque bando a tutte le idee fuorvianti che vogliono le nostre città storiche ferme nel tempo. Un paradosso e non solo una scorrettezza. E se le città sono tali è perché sono cresciute nei secoli. Mi auguro che il coraggio dimostrato in città come Poggibonsi o Vinci verso il contemporaneo, e non si tratta di trasgressione avanguardiste che nel nostro caso ci siamo lasciati alle spalle, è che comunque l'artista torna ad essere l'artista, e torna a frequentare i luoghi urbani e museali con linguaggi non solo tecnici, ma a volte spirituali.
A Vinci, c'è stato il problema di sfidare l'architettura fino ad assumerne il ruolo, ma avendo a che fare con le forme, la naturale evoluzione... con una responsabilità, che l'architetto scieglie questo, come mestiere - i luoghi si usano, mentre le sculture, ci limitiamo ad osservarle...

E c'era appunto la responsabilità - nel lavoro di Vinci di poterci far passare, transitare il pubblico, le persone che tutti i giorni usano una piazza,

Mario Botta -
Paladino, come gli artisti autentici, ha come delle intuizioni rispetto al tempo storico. Io però farò un' altra riflessione, attorno allo spazio, proprio come operatore del nostro tempo. E dirò allora che la città d'arte non è una utopia, è piuttosto una forma indirezza di resistenza alla banalizzazione che la globalizzazione potrebbe imporci.
Bene con la rivoluzione elettronica, abbiamo cambiato la percezione dei luoghi... ( non viviamo la trasformazione lenta delle città come raccontano i nostri nonni ) possiamo comunicare senza spostarci direttamente.

Io credo che intorno a questo privilegio di vivere una nuova condizione che ci permette una equipollenza dei luoghi, nello spazio - vediamo anche la drammaticità di questo livellamento e dei nuovi modelli che sono infinitamente più poveri di quelli prodotti dalla civiltà Europea.
La vecchia città Europea è una città d'arte per sua natura, poiché ha una sua identità, con una sua storia, una memoria, con un luogo ed una speranza progettuale, con una una spiritualità che ai modelli proposti oggi, risulta estranea. Allora la cartina al tornasole di questa trasformazione, paradossalmente, è che non siamo condannati a vivere la città dei morti.

Perché la città europea è una città modellata su di un sistema di vita e di funzioni che appartenevano alle generazioni future. Paradossalmente transitandole noi ci troviamo a nostro agio, ancora oggi.
Come è bello vivere nei centri storici che non sono stati modellati sul nostro ritmo o sul nostro sistema di vita! Questo vuol dire che non sono le risposte tecniche funzionali che noi dobbiamo rincorrere, ma sono altri i territori - sono gli spazi della memoria dentro la quale noi riusciamo a cogliere le prospettive di chi ci ha preceduto, ed anche i possibili nostri obbiettivi. E dunque questi due interventi - Poggibonsi e Vinci, sono profetici, perché alcuni luoghi in attesa di vocazioni future, vengono piegati dall'intuizione, dalla capacità immaginativa dell'artista, e vengono riatualizzati.

Noi abbiamo bisogno di niente altro che dare attraverso la nostra sensibilità contemporanea significato a dei luoghi che vivono solo di memoria.

Sto lavorando, in questo periodo, in Cina, in Asia, in Korea, in India ed osservo come i modelli che vengono proposti sono i più poveri. Per Seul vi si può girare delle ore, e l'edificio più antico che incontri non ha più di trenta anni.
Questo vivere la contemporaneità anche fisica del tuo tempo è una cosa atroce.
Non c'è memoria. Non c'è distanza critica. Non c'è distanza di giudizio.
La città europea ha questa risorsa, di una memoria, che se sappiamo trasformarla non in nostalgia, ma in un intervento che parla del contemporaneo, e noi siamo degli operatori del contemporaneo perché agiamo con la sensibilità del nostro tempo, e tentiamo di rincorrere quel plusvalore di qualità e di bellezza, gioia di vivere, che è poi la ragione per la quale tutti noi viviamo... Ecco allora che la città d'arte non è una utopia così lontana e così staccata da una lotta quotidiana, per non dire qualitativa.

Loris Cecchini -
Sono in parte daccordo con Mario Botta e con Paladino. Questo discorso sulla memoria, certo mi preme molto, come un atteggiamento poetico, e non. Credo anche che nel nostro lavoro quello che possiamo fare, a contatto con gli architetti, è cercare di stimolare le persone e le generazioni verso l'immaginazione, trattata come materiale di scambio. E questa piazza realizzata da Paladino è fantastica perché permette alle persone di interagire nello spazio e nella architettura della città con un atteggiamento poetico.

Questo è quello che mi sembra manchi in generale rispetto al discorso sulla stratificazione. Quindi il nuovo, con gli errori che ha comportato il passato - però è necessario, come dire .... spingerlo...
In questo senso penso che il nostro atteggiamento nel guardare la realtà sia cambiato proprio con le nuove tecnologie digitali. Credo che la nostra percezione sia intimamente intrisa di tecnologia. Ce lo dimostrano i bambini, la velocità di utilizzo di queste modalità - e questo secondo me è il salto, in atto o che ci sarà. Non so dove porti, credo però che questo paesaggio di pixel - dato dalle tecnologie, favorisce anche tecnicamente l'evoluzione artigianale - Per esempio dal punto di vista della architettura, si possono calcolare cose impensate, si possono fare delle forme che prima erano incalcolabili, in termine tecnici...

E questo genera un nuovo stato di realtà, in qualche modo, anche per noi, come generazione che siamo come un ponte. Benché io personalmente abbia grande passione per il passato o per le sue tecniche, però capisco che è sempre più difficile continuare ad usarle, e piuttosto c'è da imparare moltissimo ed essere molto attenti e curiosi a quello che la tecnologia sviluppa. In questo senso l'atteggiamento individuato, la poesia e tutto questo, secondo me, cambiano versante...

Mimmo Paladino -
C'è un rapporto diretto tra arte ed architettura: ma sono casi rari ed eccezionali.
Paladino incontra Botta! O quant'altri. Ma noi stiamo parliamo delle nostre città italiane, dove gli episodi di questo genere sono rarissimi, e quindi il problema, a parte una situazione di livellamento diffuso, anche per le città storiche, è indubbiamente un problema di ordine politico - la scelta cioè di privilegiare un modo corretto di costruire, non globalizzato all'uniformità dei centri commerciali.
E allora la questione è questa, che se l'artista può uscire dai suoi luoghi, museo o galleria, o l'architetto fare piuttosto una bella piazza, e non è solo questo - vorrei certo che le città riacquistassero un sentimento di rinascimento come nell'età di Michelangelo...
Ma io so solo che questa nuova architettura globalizzata peggiora il nostro vivere nelle belle città italiane.
Probabilmente il livello di discussione può scendere anche ad un livello di 'meno chiara fama' .
A me piacerebbe che gli architetti e geometri assessori, la pensassero in questo modo.
La vera realtà delle cose è questa: non salva il mondo la piazza di Vinci, o la Scala di Mario Botta, né l'ambiente creato da Loris Cecchini al Sonar, salvano e creano un humus affinché questi artisti da piccole cose, ne facciano crerscere altre. Quindi arredo urbano, certo, ma a volte forse è necessario andare contro un piano regolatore

 
 
 
Festival della creatività
Sabato 27 Ottobre 10.00 Cavaniglia
Centri culturali, arte e città. J. Insua, CCCB Barcellona; M Paternak, C3 Budapest; T. Dobberstein, ZfzK Halle; M. Bazzini, Museo Pecci; T. Guerrero, PS1 New York; C. Kim, Seul Design Festival; F. Nori, Centro di Cultura Contemporanea Strozzina.
 
 

Festival della creatività
Domenica 28 Ottobre 15.00 Polveriera
Arte dell'Italia dopo il duemila, a cura del Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci.

Marco Bazzini -
Buonasera sono Marco Bazzini direttore del Centro Pecci di Prato, accanto a me Stefano Pezzato, curatore e Luca Bertolo, artista insieme a Botto & Bruno e Domingo Milella che hanno inaugurato ieri l'attuale mostra.
Una mostra che potrà essere considerata l'inizio di un approfondimento delle problematiche, le tendenze ed i percorsi dell'arte contemporanea italiana, in particolare quella legata all' arte giovane.
Tanto è vero che la mostra che ha come titolo un poco ironico "Nessuna paura" indaga nella realtà, quella che tutti i giorni noi viviamo, ed ha come sottotitolo " Arte in Italia dopo il 2000 " una selezione di otto artisti, che si sono affacciati sulla scena nazionale ed internazionale a partire dal nuovo millennio.
E' una scena ristretta, è un focus su questi creatori dei sogni della nostra contemporaneità.
[....]
Recentemente abbiamo anche prodotto una mostra che sta viaggiando nel continente asiatico - tra Viet Nam, Singapore e Giappone - il cui titolo è ITALIAN GENIUS NOW -
Una mostra che vuole essere anche un'azione di rafforzamento dell'immagine dell'Italia, e dell’ arte di oggi - un' arte allargata al design, mostrando come arte e design si stanno sempre più incontrando. Ecco, nel cercare le radici comuni in una sorta di continuità con quello che è la nostra storia nell'arte, e prendendo ad esempio la frase di Leonardo - che l'arte è cosa mentale - abbiamo tentato di evidenziare, che l' Italia se ha una sua identità... è estrinseco, che si esplichi nell'arte o nel design - ancora nella fase del progetto. E' chiaro che si tratta di un progetto sostanzialmente diverso, ma è altrettanto chiaro che la progettualità anche nell'arte può essere importante.

Allora vorrei chiedere se questa idea di legame tra l'arte di Fontana o di Castiglioni - o D' Ascanio - ed i lavori di Michelangelo Pistoletto e la fotografia di Massimo Vitali, possa per voi funzionare o meno ...

Stefano Pezzato -
Forse la questione può essere quì così riproposta: - che valore ha nel vostro lavoro la progettualità, pur nelle tipologie di intervento che possono essere diverse.
Io non riesco ad immaginare quale possa essere il progetto di un vostro lavoro, (rivolto a Botto & Bruno ) anche se, c'è molto di istintivo e riflessivo, ma non so quanto di progettuale... nel senso di preparazione e studio per quello che sarà il risultato finale. O forse per voi questo vale più di quanto poi può essere percepito!?

Botto & Bruno -
Per noi la dimensione progettuale è parte fondamentale. Un progetto può durare anche alcuni anni, come quest' ultimo - KIDS' RIOT - che abbiamo presentato al Museo Pecci. Sono d'accordo con quanto dice Marco, che il lavoro dell’ artista si crea nel tempo e si costruisce giorno per giorno, è sempre in crescita.
Diciamo allora che la progettualità di un lavoro è data da una esperienza vissuta giornalmente. Nel progetto entrano continuamente elementi nuovi, dal reale... e non solo.
Tutto quello che ci dà stimolo, fa parte di questo presupposto.

Marco Bazzini -
( Rivolto a Domingo Milella ) - Perché ti definisci artista collezzionista... -

Domingo Milella -
Si, sono un artista appassionato di immagini, di cartoline delle periferie dell' Italia degli anni settanta. Ecco - Parlare di progettualità è come dire dell'italianità... La tratto come una funzione biologica, fisiologica, naturale -
La progettualità la ritrovo in certe cartoline che scovo dal tabaccai o nei rigattieri.
Mostrano una progettualità molto più lungimirante, speranzosa... I palazzi residenziali sono davvero abitazioni felici, le autostrade sono appena finite, gli impianti petrolchimici cominciano a funzionare...
Ma purtroppo noto una discontinuità, mi accorgo che queste immagini non hanno niente a che farte con il 2007. Tutte queste grandi strutture, questo cemento, è stato solo una grande delusione!
Queste immagini mi piacciono molto, non solo per i soggetti ma per un sentimento di possibilità..... Ia stessa che cerco di riprodurre nei miei scatti di fotografo -

Forse attraverso un discorso estetico si può riacquistare una prospettiva, una opzione sul reale? Mi tornano in mente i film di Pasolini, ecco li c'era un sentimento d' Italia come un posto possibile...
Ma da allora la progettualità italiana è diventata difficile - a volte degrada alla maniera di arrangiarsi per creare qualcosa di migliore, o riscoprire qualcosa di dimenticato, o tornare a fare funzionare qualcosa di inceppato....
Non so se mi sarà possibile trovare una soluzione estetica a questo problema, piuttosto che continuare a rimpiangere... perché questo mi dà la possibilità di vivere la vita con dei significati "fattizzi"... vale a dire sostanziosi.

Luca Bertolo -
Anch'io trovo affascinante come sfida la progettualità - benché oltre frontiere è vista nei nostri confronti come la capacità degli italiani di arrangiarsi... Progettualità è molto di più - lascia immaginare delle possibilità nel tempo e di risorse per attuarle. Questo in generale. Per quanto mi riguarda posso dire che la parola progettualità è da una parte molto bella ed affascinante e questo dal 1400 -
Riferita all' oggi e al sistema dell'arte, ne sono allergico, come alla parola - project - E' diventata la parola magica dell' arte contemporanea!

Io sono stato sempre molto cauto nell'utilizzarla. E poi nel mio lavoro, in particolare, all'interno della disciplina estetica - la sua valenza è molto ridotta, per sua natura, sebbene la fase progettuale in senso ampio ... è presente in qualsiasi forma di installazione d'arte.
Per quanto riguarda il mio lavoro o nella realizzazione di una serie di quadri - cerco di fare delle analisi, delle prove, tento dei percorsi, perché non si è mai certi di quello che si va a fare...

Credo che dipenda dagli artisti. Nel mio percorso, la fase progettuale è ridotta al minimo.
Io ho sempre cercato di lavorare in un dialogo con il presente e con l'opera o un ciclo di opere - lasciandomi guidarre completamente, o cercando di farlo da delle intuizioni che non riesco ben a decifrare. Anche perché cercando di essere molto analitico nel lavoro, per contrastare questa tendenza mi affido... come dire... 'serfo' -
Faccio del surf sulle intuizioni e poi vado a scegliere in un secondo momento in un momento di lucidità cosa significa per me. A questo concetto sono molto legato. La creatività ha e continua ad avere questo primato vicino al subconscio, quello che poi la mitologia d'oggi ha banalizzato - il genio creatore.. ma che comunque ritengo contienga una parte di verità...

ARTEXT  07