Convegno
Fenomenologia dell'oggetto nell'arte contemporanea
Enrico Crispolti
Vorremmo chiederti di questa importante mostra a Prato al Centro Luigi Pecci
" Non per caso " Da dove sei partito? Dicevamo dell'oggetto quotidiano..
Daniel Spoerri
Io non sono partito dall'oggetto. Sono partito da una situazione reale e banale dove gli oggetti regolarmente si incontrano e raccontano una storia.
Enrico Crispolti
Ma c'è una trasformazione fondamentale - di questi..
Daniel Spoerri
Si, faccio una scelta di oggetti - attraverso i quali racconto una storia. Inizialmente era una constatazione di un territorio dove gli oggetti tra di loro si trovano contaminati - certo, tutti gli oggetti sono contaminati da una situazione particolare, nel loro uso - una storia che solamente chi li utilizza può conoscere -
e che se la mostro oggettivamente - nessuno sa più..
E dunque chi vede ha bisogno di questa "forma", che è pur sempre una cosa personale.
Poi dopo alcuni anni ho deciso di allargare il territorio - fino ad arrivare ad una città intera, come ho fatto per esempio a Bologna -
Naturalmente questo ha richiesto una attenzione alla temporalizzazione delle cose. Che quando si inserisce questa categoria, la storia - è tutto molto più complicato.
Adesso nel lavoro il procedimento è molto più soggettivo, cioè a dire : - come io, Daniel, voglio raccontare una storia -
In ogni caso sono solo un "operaio del caso" - come dimostra la mia recente mostra curata da Stefano Pezzato al Pecci dal titolo "Non per caso".
In effetti io ho deciso di prendere il caso. E quindi non è per caso che io prendo il caso.
Adesso realizzo altre cose. Ma certo Arthur Schwarz può dire meglio dell' oggetto e della sua genesi surrealista.
Arthur Schwartz
Brevemente.
C'è un menifesto Surrealista in cui Breton, nel 1929, si sofferma sulla coscienza poetica dell'oggetto (nella più generale crisi della "realtà"). Anche Aragon riconobbe questa coscienza poetica nella natura dell'oggetto : "l'essenza delle cose non è in alcun modo legata alla loro realtà" sosteneva. "Ci sono altri elementi oltre la realtà che la mente è in grado di cogliere e che sono altrettanto fondamentali come il caso l'illusione il fantasma ed il sogno".
E dunque.. forse che gli oggetti sono chiamati a spostare così singolarmente il limite del sedicente reale..?
Vorrei allora raccontare un anedotto a proposito di "Colazione in pelliccia" di Meret Oppenheim.
E' il caso di notare che il titolo fu coniato da André Breton che utilizzò la prima ed ultima parola di due opere ugualmente scandalose - Le dejuner sur l'herbe, 1863, Manet. (scandalosa perché una donna nuda è posta di fronte a due signori in ghingheri) e Venere in pelliccia di Sacher-Masoch.
Vorrei ricordare - la prima mostra di Meret Oppenheim - nella mia galleria nel 1960 - E mentre si trovava a Milano discutemmo della nozione Junghiana di eventi sincronici - ed del modo in cui un episodio apparentemente secondario può produrre un opera carica di significato.
Meret mi interruppe per raccontarmi la sua esperienza personale.
"Colazione in pelliccia" gli era stato suggerito - mi disse - dalla sua breve risposta ad una osservazione di Picasso, il quale mentre stava maliziosamente giocando con un braccialetto che lei stessa aveva costruito per Schiaparelli con un tubo metallico impellicciato, disse - che si poteva coprire qualsiasi oggetto con la pelliccia - al che replicò : anche questa tazza con il suo piattino!
Quando qualche tempo dopo fu invitata a partecipare alla Esposizione Surrealista (1936)
si ricordò di quella breve battuta - corse ai grandi magazzini si procurò una tazza, un piattino ed un cucchiaino come anche un pezzo di pelliccia di gazzella cinese - e fu così che materializzò l'osservazione che aveva fatto a Picasso.
Il catalogo della mostra riporta il suo contributo come - Tasse, soucoupe, cuillère, revêtues de fourrure -
Enrico Crispolti
Certo, nel lavoro di Spoerri c'è l' eco surrealista, ma c'è la sconfinata curiosità - ché quello che cita, e sceglie, si carica - in una ricerca continua di riferimenti.
Daniel Spoerri
Forse perché nei miei primi anni io non avevo un territorio -
non ero svizzero rumeno cattolico ortodosso. E dunque quando ho realizzato i miei primi lavori - i Tableaux-piège - ho provato una grande soddisfazione - come di appartenenza. Che per la prima volta mi apparteneva qualche cosa, un territorio, la mia camera.
Anna Mazzanti
Vorresti raccontare dell'incontro con Arturo Schwartz, che negli anni 60 è stato il tuo primo gallerista.
Daniel Spoerri
Dunque Alain Jouffroy era un amico di François Dufrêne -
anche lui scrittore e poeta. Ed in una occasione ho assistito alla lettura di un suo poema, molto lungo - a casa di François Dufrêne dove aveva un atelier - Un poema lungo 25minuti -
che a me, che muovevo i miei passi nella poesia surreale e individualista - ha molto confuso. Così dopo pochi minuti ho salutato e sono andato via.
Lui era rimasto cosi turbato che qualche giorno dopo incontrandomi lo ha fatto notare.
Poi mi ha chiesto del mio lavoro - posso vederlo ? Mi ha detto.
Certo! Gli ho risposto. E venti minuti dopo eravamo nella mia camera con tutti gli oggetti appesi alle pareti.. La mia compagna all'epoca mi diceva - "Noi siamo les sinistrées de l'art"
Non c'era più un piatto nella stanza, quasi neppure un letto -
Rimase decisamente impressionato. Pur non dicendo niente.
Il lunedi seguente su di un giornale d'arte di Parigi scrisse un articolo dal titolo "Une revolution du regard" scritto appunto da Jouffroy, dove parlava appunto di Duchamp per finire con il mio lavoro.
Questo articolo evidentemente letto da Schwarz - che poco tempo dopo arrivato a Parigi è venuto a cercarmi - e propormi una esposizione nella sua galleria a Milano.
Pubblico - Mi incuriosisce nel lavoro di Spoerri il sottile legame tra l'oggetto ed il territorio,
questo mediare un senso di appartenenza da parte di una persona che non ha mai avuto legami stabili. E poi mi chiedo, che criterio ha usato per sistemare questi "oggetti" .
Girando qui nel giardino di Daniel Spoerri, si avverte una inquietudine dovuta forse a questa tensione..
Stefano Pezzato
Credo che si possa arrivare a costruire un giardino, come questo a Seggiano anche da neofiti, esattamente come Daniel, una persona che non si è mai interessata di giardino né di botanica. Non sapeva nulla delle piante. Ma aveva un modello che era Bomarzo, il giardino delle meraviglie e dell'assurdo, qualcosa di simile alla camera delle curiosità. Un modello storico ed antropologico dai contorni definiti.
Certo l'esperienza del giardino è fin troppo coinvolgente. Sono quasi 20anni di vita e di passioni assidue. Ed è quindi facile intrtavedervi un moto di appartenenza ma al contempo di distanza.
Enrico Crispolti
Io credo che il giardino sia il luogo dove si situano determinate evenienze.
Al contrrario degli assemblaggi che possiedono uno specifico ubiquitario. E' un a specie di luogo della storia dell'uomo, non localizzato. "L'oggetto" utilizzato è sradicato dalla sua origine, motivato dalla stessa, ma non più condizionato - così da assumere una allusività molto più ampia.
Fabrizio Desideri
C'è un saggio di Harold Rosenberg del 1967 - "L' oggetto ansioso" da cui possiamo leggere parte della storia dell'arte - una lettura per certi versi, come il tentativo di uscita ludico ed ironica rispetto all'ansia per l'indiscernibilità dell'oggetto -
Ma il contesto da cui si muove il lavoro iniziale di Spoerri è un periodo, una fase, una dimensione essenziale in cui l'oggetto è considerato come "opera" - idea fondativa dell'arte contemporanea, perché ha come dire un effetto di ritorno - teorico e di lunga durata, e che parte dall'affermazione Duchampiana "consacrante" : Usare un Rembrant come un asse da stiro" . In questo caso ciò che si evidenzia è proprio questa qualità - l'oggetto come opera - Ed emerge come problema teorico e interno al fare artistico - che l'opera - in ogni caso, comunque - è un oggetto con una sua singolarità.
In seguito, storicamente c'è un orientamento fenomenologico che parla di specificità ed autonomia dell'opera - che non coincide con il supporto materiale e con il tema, per così dire, della distanziazione. Per un certo verso è un oggetto di senso - che non può essere disgiunto dai modi del suo manifestarsi. Talvolta i modi del manifestarsi del senso sono in un grado di svincolatezza dall'effettiva manifestazione...
Certo adesso viviamo un "oggetto" nuovo perché è "l' oggetto virtuale" - che però è un oggetto abbiente - l'oggetto che può essere deformato a piacimento - e non solo nell'immaginazione ... come accadeva nel Surrealismo.
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