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Il progetto
di Plamen Dejanoff (1970, Sofia, Bulgaria, vive fra Vienna e Berlino)
nasce dalla relazione fra arte, cultura ed economia, temi che l’artista
indaga da anni.
Con Planets of Comparison Plamen Dejanoff continua ad esplorare
le relazioni fra il sistema dell’arte e quello dell’economia,
vestendo contemporaneamente i panni dell’artista, architetto,
designer, manager e collezionista.
Negli anni 90 Plamen Dejanoff acquista sette case in una citt‡ nel
centro della Bulgaria (Veliko Tarnovo) affinchÈ vengano
ristrutturate in collaborazione con una seria di studi di architettura
(K¸hn/Malvezzi,
Vienna, Berlin, Gr¸ntuch & Ernst Berlin, Gruppo A12 Milano,
Cocktail Lyon) ed in seguito utilizzati da istituzioni, gallerie,
musei, accademie per attività culturali.
Il progetto cominciato con MUMOK, Museum of Modern Art Ludwig Foundation
di Vienna, dove Ë stata esposta nella primavera del 2006 una
scultura in bronzo, modello di una delle case, realizzata da Dejanoff
con gli architetti austriaci Wiederin/Konzett.
Per il suo intervento milanese Plamen Dejanoff ha scelto di illustrare
le prime fasi del progetto sulla seconda casa a Veliko Tarnovo in
cui lavora insieme agli architetti viennesi Erich Hubmann & Andreas
Vass, presentando una serie di disegni, maquette, cosÏ come
una light glass installation con il marchio “dejanoff”,
costruita dai artigiani bulgari e prodotta “made in Bulgaria”,
parte del progetto New Works realizzati e pensati per il suo intervento
all’Isola Art Center.
Con questo progetto allo stesso tempo ludico ed economicamente rilevante,
l’artista trasforma l'esperienza esistenziale in una sorta
di joint venture tipica dell'economia reale, tra arte e impresa.
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Daniela Kostova (1972, Sofia, Bulgaria. Vive e lavora a Troy, NY,
USA), invece, parte dal suo video-documentario Body-without-organs,
utilizzandolo come materiale grezzo la sua istallazione pensata inizialmente
per gli spazi di Isola Art Center e composta da una serie di attraversamenti
di “ambienti sociali”.
Il passaggio attraverso l’istallazione invita gli spettatori
a riflettere su emigrazione e viaggio utilizzando la musica come
punto di integrazione.
Il nome del lavoro prende in prestito il concetto di “corpo
senza organi” da Gilles Deleuze. Si tratta di pensare il corpo
senza ridurlo ad una forma organica, non un corpo privato dagli organi,
ma piuttosto un corpo in via di differenziazione. Il corpo senza
organi Ë dunque la vita in-organica, dunque una potenza d’individualizzazione
non ancora divenuta organismo.
Il momento espositivo diventa una situazione di dialogo culturale
e di confronto tra luoghi geografici diversi, ma affini.
Ispirata alla musica ethno-mesh e alla gypsy-punk della scena musicale
new- yorkese, l’istallazione racconta il Bar Bulgaro di New
York attraverso gli occhi dei recenti emigranti. Il Bar Bulgaro non Ë un “centro
culturale”, come Ë ironicamente definito all’entrata,
ma piuttosto un immaginario culturale e una zona di convergenza di
tendenze opposte: da una parte la rappresentazione istituzionale
dell’idea di identità con il Centro Culturale Nazionale
e dall’altra parte l’essenza del sentimento nomade espresso
attraverso la musica gipsy-punk.
Danzare nel Bulgarian Bar comporta un superamento della usuale funzionalità
del corpo, la cui organicità Ë superata da nuovi possibili
significati forniti dalla fusione orgasmica con la musica.
L’esperienza nel Bulgarian Bar diventa cosÏ una metafora
antropologica che mostra come la cultura sia plurale. Una ricerca
di se stessi nella comunità umana dove i valori sono conseguenza
dell’avventura collettiva (non a caso dj Boro dice a proposito
della musica gipsy “l’idea gypsy lavora molto bene, perchÈ loro
non hanno uno stato, sono permanentemente nomadi”).
In breve, il party e l’incontro dipendono dalla gente e dalle
loro capacità di dimenticare se stessi.
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