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[ PALAZZO FABRONI ]
' Ho risposto ad un invito di Claudio Parmiggiani che
mi ha chiesto di incontrare il pubblico
alla conferenza stampa
quì a Palazzo Fabroni. Ho acettato,
come segno di stima, ad un artista di cui ho seguito negli anni
l'attività - e la fortuna di lavorarci in diverse occasioni,
come adesso in un luogo straordinario, riaperto dopo una ristrutturazione
molto corretta e ben fatta. Un segno di ottimismo.
Parmiggiani non
ama parlare ma scrivere.
Nel catalogo c'è un testo intitolato "Didascalia" In
questo testo non dice nulla di sé, ma credo dica tutto quanto
riguarda una interrogazione delle opere, e quindi sull' origine
della forma - che è il problema specifico dell'arte contemporanea.
C'è nella prima sala dell'esposizione un' opera che risale
- nella formulazione originaria, (Delocazione) agli anni settanta,
dal titolo - L'ombra delle cose - ed è una dichiarazione
poetica da cui non si è mai allontanato.
E' la dichiarazione di certe cose, sullo spazio e sul tempo.
Sullo spazio, dice lo spostamento verso un altr'ove a cui guardare
- pensare all'opera per vedere l'opera.
Il tempo comunque è, come sostiene lo stesso Parmiggiani,
una nozione di urgenza; non è un luogo di attività morali,
ma un bisogno per dire quando una forma si deve costituire.
E dunque,
non ritorno, alla memoria - benché molti considerano e leggono
la sua opera come operazione della memoria... personalmente penso
che la memoria è attiva in Parmeggiani, ma la memoria fa
parte della vita di chiunque, della elaborazione delle esperienze
vissute...
e "Didascalia" dice molto intorno a questa questione
- e dice molto la coincidenza - come capita nel mondo dell'arte
- di vivere da ragazzo in un paese che ha visto il grande Paul
Strand fotografare Luzzara, un lavoro del 53 che è poi diventato
un libro e di cui Parmiggiani ha inserito alcuni scatti in questo
nuovo catalogo.
Sono le coincidenze dell'arte. Ma sono anche i
luoghi dell'esperienza più intima.
Questa mostra - è vero - l'ho seguita tramite anche i racconti
di altri, ed ho potuto felicemente seguirla come un spettatore
che ne osserva tutti gli sviluppi, perché Parmeggiani ha
dedicato una incredibile intensità di esperienza diretta
nel leggere e nel trovare il modo di rispondere a questi spazi.
Le opere di Parmiggiani non sono mai inserite in uno spazio, lo
spazio è nell'opera.
E quindi il lavoro che l'artista fa è quello di trovare
lo spazio adatto per esprimere l'opera.
Lo dico anche per cronaca,
perché l'artista ha cambiato più di una volta idea
sull' opera da
installare - ha collocato delle opere che poi ha tolto, e far posto
ad altre.
Non si tratta di semplice incertezza, ma il processo
di avvicinamento che l'artista fa al senso dell'opera - e vedendo
il punto finale, di tutto questo tormento nel lavoro, mi sembra
eccezionale.
E' eccezionale anche questa giornata che costringe a sentire il
peso delle ombre e a capire cosa è la cenere e cosa è il
grigio. Questo perché l'avvicinamento all'opera deve superare
delle soglie, delle difficoltà, delle prove.
Il curatore
Jean Clair che ha interpretato il lavoro di Parmiggiani, e questo
progetto, lo ha intitolato "Apocalypsis cum figuris".
E' un titolo che ha un peso sulla cultura e la civiltà occidentale
enorme, non solo perché risale a Durer, e Durer è uno
dei punti caldi nel pensiero e della meditazione di Parmiggiani,
ma perché nel novecento questa pulsione, ricorda dei momenti
altissimi di cultura: una è la figura di Thomas Mann - e
nel suo Doctor Faustus, il musicista Leverkuhn che impazzisce lavorando
a questa opera, Apocalypsis cum figuris, appunto.
Ma è altrettanto
incredibile che anche l'ultimo lavoro di Jerzi Grotowski porti
lo stesso titolo.
C'è dunque un giudizio sul proprio tempo e sulla
propria storia e sulla propria società.
E' importante sottolineare
questo, perché Parmeggiani parla solo la lingua dell'arte.
C'è un
opera dedicata a Giovanni Pisano - è sostenuta dalla parete,
ma anche da un volume preziosissimo delle edizioni Einaudi della
Divina Commedia di Dante - e credo che Dante non sia presente come
in omaggio al grande maestro, ma sia presente come facitore di
una lingua
perché Parmiggiani è artista formale fino all'eccesso,
e solo attraversao la lingua che si può dialogare - così come
per le arti che hanno lingue diverse. E quindi questo cuore tenuto
e premuto anche dalla lingua del trecento fiorentino ed italiano,
disposto di fronte ad una opera di Giovanni Pisano (la chiesa di
Sant'Andrea) - credo che sia la capacità di far scattare
una corticircuitazione magica ed intellettuale attraverso proprio
questo confronto.
Devo anche dire che non ci si può avvicinare direttamente
ai singoli lavori di
Parmiggiani. Non lo farò. Non solo perché non mi
sento autorizzato, ma perché credo che sarebbe un modo erroneo
di avvicinarsi a Parmiggiani.
Ma è certo che l'artista non
esce dal suo mondo, ma continua a premere, alle pareti di questo
mondo per volere uscire. C'è un'opera che quì è assente
ma credo che sia l'opera più nota di questi ultimi anni
ed è
"Labirinto" - presentato più volte e in questi anni recenti
anche al Museo di Arte Moderna di Bologna.
Ebbene, di questo "Labirinto" il filosofo Nancy, ha detto
qualcosa di molto preciso - ha detto che la sua opera, quella di
Parmiggiani - rivela come dietro ogni gesto artistico possa celarsi
uno scopo che è quello della creazione d'intento.
Vorrei
aggiungere una chiosa a questo " Labirinto " parzialmente
infranto e distrutto -
Oltre a tutti i sensi che fa scattare questa immagine, c'è ne è uno
molto più privato e legato al procedere di Parmiggiani.
Perché il labirinto è questo fondo di esperienza,
questo universo, che piano piano, faticosamente viene alla luce,
Ed ogni volta che viene alla luce, è come se rompesse il
confine di quel labirinto che rimane tale, ma che ha i segni dell'andare
oltre, come oltre è l'ombra, come oltre è il grigio
della cenere, rispetto alla presenza delle cose.
Credo che questa
luce che avvolge le opere di palazzo Fabbroni sia una luce quasi
da inventare...
E
e che poi resti così'!