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Il martedi incontri sull'arte
digitale; mercoledì incontri tra artisti chiusi ai critici;
giovedì presentazione di libri, inaugurazioni, discussioni
estemporanee; venerdì
festa agli studi della Giudecca o meglio presentazione dei lavori degli
artisti che vi lavorano con il coinvolgimento anche di esterni.
Presso le sedi della Fondazione
Bevilacqua LaMasa ci sono state settimane intensissime, ogni anno di
più ed in modo quasi insperato.
Non c'è nulla di simile a questa voglia di
unirsi e di raccontarsi
nelle città che frequento o che ho frequentato per lavoro:
Milano, Modena, Bergamo.
Gli artisti veneti esistono. E' stupefacente notare come le mostre
internazionali alla
sede di piazza San Marco siano spesso molto meno visitate, e certamente
in modo
meno accorato, di piccole rassegne dedicate al contemporaneo locale
che poi, locale,
non è mai: è la stessa struttura di Venezia a consentire
che ci sia sempre di mezzo un
messicano, una tedesca, un'americana, qualcuno della Colombia e dall'Argentina.
Una prima conclusione da trarre, non poi così scontata, è che
in Veneto esiste una
forte spinta giovanile all'arte contemporanea.
Una seconda conclusione potrebbe riguardare le ragioni di tale vitalità,
e certamente dobbiamo mettere in conto l'operato dei settori più creativi
dell'Accademia di Belle Arti, della Facoltà Design e arti e di quella di Architettura
dell'Università IUVA, del corso per economisti dell'arte che si tiene a Cà Foscari.
La gente viene quì a studiare e tendenzialmente vi trova un humus favorevole. Anche con questo
si spiega la nascita recente di alcune gallerie private importanti, anche se di
diversa natura: alla storia e splendida attività della Capricorno da un lato e
della nuova Icona dall'altro, che si dividono classico e sperimentale accanto ad cento altri operatori
meno lucidi, vanno ad aggiungersi nel classico Tornabuoni, nell'innovativo una
Rizzo, una Jarach, una A+A che è un vero centro di formazione e un volano continuo
di iniziative.
I ragazzi di Venezia vivono come in un campus e le idee circolano
a ogni ora, in campo santa Margherita come nei luoghi dove studiano. Il loro lavoro non
ha caratteristiche comuni, come del resto sarebbe folle aspettarsi: Emilio Vedova è stato
l'ultimo maestro che ha unificato l'atmosfera artisistica veneziana, come
forse la ventata spazialista nutrita negli ani cinquanta-sessanta dalla galleria del
Cavallino. I mezzi pratici e i modi di pensiero sono troppo ampi, ormai, così come
il range di informazioni da cui si può attingere, perché si
possa pensare a una tendenza specifica del luogo.
Ma c'è fermento. Il convivere di pittura monocroma accanto a
video a street art
altro non parla che di questo: c'è fermento. La difficoltà di
questi giovani è molto
pratica: la BLM dispone di otto atelier e sappiamo con quale intensità,
almeno
negli ultimi tempi, essi vengono vissuti ed utilizzati. Ci vorrebbero
però anche case,
studi che consentono una permanenza più lunga di un anno, insomma
una intera edilizia
agevolata che consentisse di restare. Abitare a Venezia non è la
ricetta giusta per
diventare un artista riconosciuto, e come tutti sanno dopo dieci
anni di gavetta
occorre potere e sapere andare via, via dal posto dove si è studiato,
ma anche via
dall'Italia, in giro per il mondo a confrontare la propria identità con
quella altrui. Ma
dieci anni in cui la città possa far loro da incubatrice, dieci
anni in cui quest'identità
da frantumare poi possa formarsi, dieci anni di pace e di guerre
coi propri pari
dove sia facile e consentito sbagliare, questo sarebbe davvero il
modo per fare di
Venezia un fulcro significativo bel mondo dell'arte e un posto da
cui nessuno che vi
ha transitato possa mai più prescindere.. [A.Vattese]
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