"Bill Viola: le tecnologie dell'intangibile" un titolo forte ed efficace, per continuare a parlare di quella video-arte in cui Viola si è imposto come maestro.
La presentazione del libro su Bill Viola di Valentina Valentini (Postmedia books, Milano, 2024) allo Schermo dell'arte a Firenze è in parte il confronto tra l'artista, il contemporaneo e i suoi modelli.
'La monografia ripercorre gli anni Novanta che per Bill Viola segnano una linea di demarcazione profonda rispetto al suo percorso: con il turning point delle tecnologie digitali, il suo modo di produzione e i temi visivi mutano, marcando un avvicinamento a una iconosfera pittorica che, grazie al passe-partout della storia dell’arte, permette il suo ingresso nel mondo delle arti visive, sublimando la mediazione tecnologica'.
Nella sala Pretoni ex Oratorio di Gesù Pellegrino ora sede dell'accademia di Belle Arti di Firenze, riservata alla didattica teorica, si parla di una sfida ambiziosa lanciata contro i modelli, in nome dell'urgenza di una loro reinvenzione.
Il percorso prende avvio dalla proiezione dei primi video analogici che si confrontano in modo diretto e in rapporto dialogico con la scena fiorentina nella quale Bill Viola opera tra il settembre 1974 e il febbraio 1976 – che vedono il giovanissimo artista a Firenze come direttore tecnico del centro Art/tapes/22 incontrare i più noti artisti, sperimentare la Video-Arte.
Si prosegue con l’adesione all'antico, in un taglio cronologico che inizia dalla metà degli anni Novanta e culmina con le esperienze del 2014.
Una traiettoria che è già una sorta di rito di iniziazione condotto non progressivamente, ma già perfetto ad ogni grado - in una apoteosi del corpo e dei sensi, per ciascuna proiezione, con tempi sempre più lenti.
The Greetings (1995), è il primo video di Viola ispirato alla pittura classica, in questo caso la Visitazione di Pontormo (1528-30).
L'opera ha uno spunto biografico significativo, che l'autore racconta così: era in auto, fermo a un semaforo, e sulla strada accanto a lui tre donne con morbidi e leggeri vestiti estivi si incontrano proprio nel momento in cui una folata di vento fa fluttuare le loro vesti. Nella cornice del finestrino si compone, in un lampo, l'epifania del quadro di Pontormo: una «immagine dialettica» in cui erano rimasti sospesi e sovrapposti i passi di tre donne americane del Novecento e quelli di due madonne fiorentine del Cinquecento.
Nel video è ricostruito lo sfondo del dipinto e il morbido svolazzare delle vesti dai colori contrastanti in cui riecheggia, ancora una volta, lo spirito rinascimentale se non altro come una rimeditazione intuitiva.
Lo slow motion che anima questo lavoro non è un banale effetto speciale per dare vita a un'antica immagine statica. La sua forza è nella capacità di far emergere la temporalità di quell'immagine, che riverbera nella nostra memoria caricandosi di tensione e attesa.
Come è possibile, dopo tanti secoli, riscoprire questa medesima gestualità primordiale delle passioni umane anche nelle immagini in movimento di Viola? La spiegazione del ciclico ritorno dei modelli iconografici primitivi nell’arte di Viola sembra corrispondere alla teoria delle Pathosformel, ossia “formule di pathos”, maturata dallo storico dell’arte tedesco Aby Warburg agli inizi del Novecento.
Queste formule patetiche nascono nell’antichità e, per lo studioso, rivivono nella storia dell’arte moderna. L’approccio di Warburg all’arte occidentale è basato sul concetto di sopravvivenza dei modelli antichi che si conservano nel tempo, non perché tramandati razionalmente, ma perché possessori di una forza interiore, il Dynamogramm, che permette loro di rivivere periodicamente e sopravvivere nei secoli. Il dinamogramma “allude quindi a una forma di energia storica, a una forma del tempo”.
Ma, per lo storico dell’arte tedesco “tali immagini, sopravvissute in virtù della loro energia gestuale come patrimonio ereditario nella memoria culturale”, possono subire, nella storia dell’arte moderna, una trasformazione semantica.
Così nelle “formule di passione” descritte da Bill Viola in The Passions riscontriamo lo stesso antico linguaggio gestuale ed espressivo. E ciò che si descrive attraverso il sublime è come "un sentimento, e tuttavia più che un sentimento in senso banale, è l'emozione del soggetto al limite".
Il Risveglio delSublime
Viola ha aggiornando il sublime per un pubblico laico contemporaneo. Allude a immagini e metafore religiose nei suoi titoli e nei suoi riferimenti storico-artistici al passato, ma poi fa qualcosa di radicalmente diverso deviando l'attenzione sul quotidiano. Il sublime è quindi sperimentato nel contesto di eventi che definiscono la nostra umanità, come il parto o la morte. Ma in tutti i casi non c'è un oltre.
In Five Angels il modello di ascesa e caduta non indica una nuova vita, ma il ciclo infinito della vita. Simboli ricchi ed evocativi, come angeli e messaggeri, ma gli unici aspetti soprannaturali sono nelle connotazioni che riconosciamo. Nella sua arte Viola tiene uno specchio davanti all'osservatore e mostra tutta la forza del sublime.
Non stiamo sperimentando il sublime del Romanticismo, che è mediato da simboli e metafore con riferimento a una facoltà superiore. Qui vediamo il sublime postmoderno interamente come l'altro, il differente, che non può essere assimilato e che conserva il suo valore di shock.
Viola ha seguito le orme di Barnett Newman, che ha messo da parte i simboli religiosi arcaici per ideare quella che considerava la sua realtà autoevidente.
Nei lavori di Bill Viola il sublime tecnologico è affine al mito dell’interfaccia che è di rendersi invisibile, di smaterializzarsi, di compiere pienamente la sua virtualizzazione in modo da non interferire con l’esperienza del suo utente. Viola mostra una fede incrollabile nelle possibilità espressive e spettacolari del suo medium. L’apparato tecnologico non è mai tematizzato in sé.
Di conseguenza, si rendono più evidenti le ambiguità dell’immersività delle installazioni - medium un corpo simbolico pervaso fin dalla superficie
- le superfici video di Viola – trattate in slow e-motion. assieme schermi e specchi – sono tra le più “user friendly” che si conosca.
Nei suoi lavori migliori questa “lenti-digitazione” può portarci a vedere qualcosa di apparentemente impossibile: il suono del tempo che si riverbera in un'immagine.
In fondo è proprio questo che fanno i video di Bill Viola: «non inseriscono le immagini nel tempo, ma il tempo nelle immagini». Un'osservazione apparentemente ovvia, che introduce però una questione complessa e affascinante, connessa profondamente alla storia dell'arte e della cultura visiva: «Come può un’immagine caricarsi di tempo? Che relazione vi è tra il tempo e le immagini?». È una questione che ha ossessionato per tutta la vita Aby Warburg, attorno alla più famosa ninfa che incede a passo di danza - Pathosformel, con il quale si indicano quelle formule gestuali e patetiche dell’arte classica ma anche della ritualità primitiva, che ritornano e sopravvivono nell’arte occidentale e nella cultura contemporanea.
Quello che interessa a Viola è ancora altro.
«Cosa succede quando questa immagine entra dentro di noi, vive in noi e si trasforma in qualcos'altro?». S'impregna di memoria e di significati, acquistando una densità temporale e uno spessore narrativo polisemico e sfuggente, come un sogno in cui risuona non solo la Pietà di Masolino, ma anche le tracce sospese di tante altre immagini: “formule del pathos” affiorate da altre pietà, deposizioni e resurrezioni, associazioni accumulate nella nostra memoria.
In un saggio del 1982 compreso in Vedere con la mente e con il cuore, rievocando il soggiorno dell’anno precedente in Giappone che gli ha fatto scoprire lo Zen, e ha dato un indirizzo definitivo al suo percorso spirituale, Viola descrive il rito dei morti che si svolge in «uno dei luoghi più sacri del paese, la montagna Osoresan»: delle «sacerdotesse cieche chiamate itako» evocano «gli spiriti dei morti su richiesta dei loro famigliari secondo una pratica vecchia di secoli». E allora, all’improvviso, Viola capisce il motivo dell’ossessione della più avveniristica industria giapponese per la registrazione e la conservazione delle immagini: anche questa ha a che fare con la «comunicazione regolare, attraverso lo spazio e il tempo, con gli antenati scomparsi».
Da un punto di vista cognitivo Viola sta facendo un punto interessante sulla funzione di un particolare episodio ritualizzato.
Dal punto di vista esperienziale, un rituale è una pratica con forti elementi convenzionali (spesso socializzati) che viene eseguita di routine.
I rituali sono una parte indispensabile della vita e hanno una molteplicità di funzioni, definiscono il sociale riunendo le persone attraverso l'azione collettiva e danno anche struttura all'identità individuale. Un motivo ricorrente nel rituale è la soglia o il confine.
In un saggio postumo, “Il rituale del serpente” Warburg indica come il drammatico destino culturale dell’uomo sia ad un tempo anche il cammino di guarigione dalla umana sofferenza.
Parte di questo saggio fu esposto alla conferenza che egli tenne nel 1923 ai medici e ai pazienti della casa di cura Bellevue di Kreuzlingen, diretta dallo psicoanalista Binswanger, di cui era ospite a causa di gravi crisi nervose.
La conferenza, letta da Aby Warburg in occasione delle sue dimissioni, doveva essere ad un tempo la testimonianza della sua guarigione e del cammino di autoguarigione che egli aveva percorso: essa riassumeva le sue riflessioni sul materiale antropologico da lui raccolto circa trenta anni prima. Aveva intrapreso un viaggio nel New Mexico dove era entrato in contatto con la cultura degli indiani Pueblo. Rimase fortemente impressionato dai loro riti cerimoniali e dal potere che essi attribuivano alle immagini: ebbe l’impressione di essere entrato in contatto con uno stadio di cultura caratterizzato da sincronia di civiltà logica e causalità magico-fantastica.
Sara inevitabile però, a questo punto, interrogarsi sui motivi che avevano indotto Warburg a scegliere proprio questo tema in realtà per parlare d’altro. Di cosa? Di quel che, come studioso atipico del Rinascimento, gli stava soprattutto a cuore: il mondo delle immagini concepito quale tramite e intermediario di quell’invisibilità incontenibile che è il pathos. Impossibile allora non tirare in ballo concetti come, fisiologia dell'immagine e illuminazione ...
Bill Viola, The Raft, May 2004, Video/sound installation © Bill Viola
Lo schermo dell'Arte
Bill Viola: le tecnologie dell'intangibile
di Valentina Valentini Presentazione libro
Accademia di Belle Arti di Firenze
Sala Pretoni
La monografia si compone di sei capitoli: una breve ricognizione
degli studi in ambito franco-italiano-nordamericano; un capitolo
centrale in cui, esaminando sia le opere che i testi scritti da Bill Viola
fra gli anni Settanta e Ottanta – prevalendo nei decenni successivi
il formato conversazione –, sono messi a fuoco temi e figure della
produzione artistica e concettuale dell’artista. La funzione dell’arte,
il ruolo dello spettatore, la centralità della figura umana, il mettersi in
immagine, le installazioni ambientali, sono alcuni dei temi che affronta
nei suoi scritti. Nel terzo capitolo si esamina il passaggio dal video en
plein air al set e la rappresentazione di una iconografia proveniente
dalla storia dell’arte. Il quarto capitolo tratta la produzione del ciclo
The Passions, nel contesto del periodo di studio al Getty di Los
Angeles; i due ultimi capitoli temi trasversali come la relazione fra
suono e immagine e le figure del tempo.
Trasfigurazioni: l’acqua
Le strategie che Bill Viola mette in opera per creare delle
immagini che sprigionino una dimensione spirituale si individuano
essenzialmente nella disorganizzazione dei dati individuali,
nell’incrinare e distorcere la cornice e la superfice. L’acqua svolge tale
funzione, è specchio deformante, crea un doppio, come in Surrender
(2001), dove la riflessione produce immagini anamorfiche della figura
in stato di sofferenza.
Il video The Passing (1991) costituisce un punto di svolta nella
produzione di Bill Viola, perché chiude una crisi artistico-esistenziale.
La figura umana diventa dispositivo dominante dell’opera e il corpo
nell’acqua, de-figurato da un raggio di luce che rende indistinti i
connotati individuali, uno status che è di purificazione e al contempo
di perdita. Nell’arte di Bill Viola l’acqua appare in tutta la sua
potenza: è magica e misteriosa, produce il cambiamento, dà colore e
identità. In Ocean Without a Shore (2007) dal buio appaiono individui
che assumono, investiti dall’acqua, connotati umani e storici: non
si trasfigurano, ma si figurano50. L’acqua rappresenta anche un
diaframma, la soglia fra visibile e invisibile, plasticamente raffigurata
attraverso diversi schermi – il vetro, la goccia, la lente di ingrandimento,
la pupilla, il bicchiere – che fungono sia da impedimento che da
tramite, da separazione e da legame, abbaglio e squarcio su un’altra
realtà: l’acqua è la fonte e l’origine di tutte le esistenze possibili, da cui
provengono e a cui ritornano tutte le forme viventi51.
Da superficie riflettente, da velo che deforma, ingrandisce,
opacizza, l’acqua nelle opere successive al 1995 (The Crossing, The
Messenger, Five Angels for the Millennium, Goig Forth by Day, Ocean
Without a Shore) diventa un elemento cosmico, un movimento di
sprofondamento ed emersione, distruzione e rigenerazione, una
quarta dimensione, un modo per percepire l’infinito della natura
in cui è compreso l’uomo e per eliminare le linee dell’orizzonte che
interrompono e limitano la percezione dello spazio senza confini. In
queste opere il ritmo di ascesa e discesa organizza il transito delle
immagini, varcando una invisibile frontiera, in quanto, come scrive
Florenskij, «Le immagini della salita rappresentano lo spogliarsi degli
abiti dell’esistenza diurna, delle scaglie dell’anima, per le quali non
c’è posto nell’altro mondo, insomma: degli elementi spiritualmente
disordinati del nostro essere, laddove le immagini della discesa sono
il cristallizzarsi sul confine dei mondi e delle esperienze della vita
mistica»52. Anche in The Messenger (1996) la figura umana è animata
dal doppio movimento di sprofondare e riemergere, con solennità.
In The Crossing (1996) un getto d’acqua blu argenteo comincia a
cadere sulla testa della figura che, camminando molto lentamente,
arriva in primo piano, si ingrandisce, si ferma e affronta lo sguardo
dello spettatore, in silenzio, mentre spruzzi d’acqua schizzano in
tutte le direzioni. Il getto d’acqua si trasforma velocemente in un
torrente, in una massa di cascate che inonda completamente l’uomo
e in contemporanea un rumore assordante pervade lo spazio. Sullo
schermo opposto, allo stesso momento, immagini di fiamme, di
un’arancione brillante, divampano velocemente fino a disintegrare
la persona: l’annientamento dell’uomo consumato dalla violenza di
forze naturali si trasforma in un processo di purificazione, di rinascita.
Le figure che disegnano la drammaturgia delle opere di Bill Viola
del nuovo millennio, come rilevato, sono essenzialmente acqua,
fuoco, essere umano convolto in una dinamica di ascensione e discesa,
apparizione frontale nella luce e scomparsa nel buio e nel nulla. Scrive
Paolo Fabbri: «Qui [in The Crossing], come in Ocean Without a Shore,
l’acqua non sgorga, ma scroscia: è una figura sintattica di Destinante
celeste, implicito, segno zero di cui il personaggio si trova a essere
destinatario. Lo scroscio scorre improvviso dal cielo come rivelatore
di un venire e di un avvenire. Le figure apparse nella modalità
dell’emergenza scompaiono poi nella “sommergenza”, inondate da
un fiotto verticale [...] Non si tratta quindi dell’acqua e del fuoco
come elementi simbolici o motivi narrativi, ma del loro fragore, che
travolge le figure come una sincope. C’è un velo, visibile anche in
uno dei disegni preparatori che separa il mondo grigio del diafano dal
mondo epifanico del colore. È un velo d’acqua, sfondato dalle figure
nel loro attraversamento e che si offre come scroscio, come fiotto.
Non somiglia al liquido dormiente della piscina, ha tutto l’aspetto
di un’acqua “ardente“, illuminante, che non risponde a un senso
codificato»53. Going Forth by Day (2002) è una installazione audio con
proiezioni video di trentacinque minuti ciascuno, ad alta definizione,
su cinque pareti, ispirata al Diluvio Universale e all’affresco Il Diluvio
e la recessione delle acque (1447-48) di Paolo Uccello, mentre il titolo
proviene dal libro egiziano dei morti: Per uscire alla luce del giorno. Il
visitatore può scegliere se fermarsi davanti a ciascuna delle proiezioni,
il cui ordine non è indicato, o lasciarsi immergere nella totalità di
immagini e suoni. In The Deluge si parte dalla calma e dal quotidiano,
poi succede qualcosa e, improvvisamente, tutti vengono travolti dal
diluvio che si abbatte sull’edificio, finché la furia non si placa nel
sole di mezzogiorno. Anche in Tempest (Study for the Raft) (2005),
riprodotta su uno schermo piatto LCD a parete, un gruppo di persone
diverse per età, etnia, classe è travolto da un getto d’acqua; alcuni sono
sommersi, altri cercano di resistere all’evento violento e inaspettato,
poi l’acqua si placa e tutti restano a terra sofferenti e si aiutano l’un
con l’altro. In Ascension (2000), proiezione video ad alta definizione,
la calma di un paesaggio sottomarino è rotta nel momento in cui
un uomo si butta in acqua vestito, corpo immobile, mentre l’acqua
produce bollicine luminose. A metà del cammino il corpo si ferma e
incomincia la sua ascensione verso l’alto: la dinamica è sprofondare,
scomparire alla vista e risalire, in un viaggio senza fine in cui l’acqua
è veicolo di trasformazione. In Fire Woman (2005) una donna sta
davanti al fuoco con le braccia alzate, poi scompare e restano solo le
fiamme. In queste opere le figure prendono vita da uno spazio buio
e ritornano lentamente al buio, all’eternità senza conflitti, mentre
nascere, venire alla luce, è violento e doloroso. L’acqua è specchio
deformante, crea un doppio, come in Surrender (2001).
Oscurità, silenzio, luce e suono, energia distruttiva e rigenerativa
sono anche le forze di Five Angels for the Millennium (2001): sei
proiezioni in simultanea in una stanza buia, le immagini dominanti
sono onde alte e profonde che, in momenti differenti, incominciano ad
agitarsi, con un’accelerazione sempre maggiore e un crescendo sonoro,
fino a far affiorare una figura che sembra sollevarsi in simultanea con
la deflagrazione del suono. In ciascuno schermo succede qualcosa
di diverso: uno sembra una galassia che implode dando alla luce un
essere umano, in un altro la luce di mezzogiorno colora l’acqua di
rosso e, anche qui, dall’acqua viene fuori una figura umana. La soglia
fra l’apparenza visibile e l’invisibile, l’angelo che arriva e l’angelo che
ridiscende negli abissi in Five Angels for the Millennium, è tracciata
dal suono che crea differenti esperienze ottico-sonore, nel senso
che ciascun spettatore colma lo spazio non visibile con la propria
immaginazione54.
In Ocean Without a Shore (2007), installazione allestita in occasione
della Biennale Arti visive a Venezia, nella chiesa di San Gallo, su tre
altari, uno frontale e due laterali, sono collocati tre schermi sui quali
sono proiettati immagini di persone comuni che avanzano dal fondo
scuro, filtrate da una nebbia o da un disturbo televisivo. Quando la
figura arriva in primo piano si comprende che la “nebbia” è in realtà
una cortina d’acqua che cade a pioggia formando come un sipario che
la figura apre per presentarsi e prendere evidenza. La sequenza dura
il tempo necessario a lasciarsi inondare dall’acqua, per poi tornare
indietro nella nebbia. Si svolgono tre momenti: il buio, il varcare la
soglia ovvero il rompere le acque, l’acquistare “definizione”, grazie alla
frattura momentanea della “cascata-sipario”, e il venirne riassorbiti
per ricongiungersi con il tutto, metafora del ciclo vitale: dalla morte
alla vita, dal buio alla luce e ritorno.
Bill Viola, Le tecnologie dell’intangibile di Valentina Valentini, Postmedia books, Milano, 2024
Schermo dell’arte, 2024
Bill Viola: le tecnologie dell'intangibile di Valentina Valentini
@ 2024 Artext