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Alessandra Tempesti
Farkhondeh Shahroudi
Glossario ragionato

 
Farkhondeh ShahroudiFarkhondeh Shahroudi, Spatial Poetry, veduta della mostra, Lottozero textile laboratories 2017. Foto Rachele Salvioli

CHAHAR BAGH

In farsi, espressione che si riferisce a quella particolare architettura del giardino persiano che prevede la ripartizione del terreno in quattro aiuole, separate da due corsi d’acqua perpendicolari tra loro e convergenti al centro in una vasca o fontana decorata con ceramiche o marmi policromi. Si tratta di uno spazio articolato in una geometria perfetta delle parti, ciascuna riservata a varietà diverse di vegetazione e specie animali, come riflesso di un mondo paradisiaco.
È questo uno degli schemi figurativi più frequenti dei cosiddetti “tappeti a giardino”, tra i modelli decorativi più suggestivi e ricorrenti nei tappeti realizzati in Persia in età safavide (XVI-XVIII sec.). Per Farkhondeh Shaharoudi, artista iraniana da oltre vent'anni residente in Germania, lo spazio per eccellenza è quello del tappeto, secondo questa antica simbologia che lo assimila nella sua perfezione conchiusa a un angolo di paradiso. Nelle sue sculture e installazioni i tappeti sono giardini mobili, spazi eterotipi perché dotati di una spazialità altra che da un lato libera l’immaginazione e dall’altro dà forma a quel senso di non appartenenza che contraddistingue la condizione dell’artista in esilio.


Farkhondeh ShahroudiMe giardino, tappeti persiani, 2017. Foto Rachele Salvioli

ETEROTOPIA

Il filosofo francese Michael Foucault distingue tra utopie e eterotopie; se le prime sono spazi fondamentalmente irreali e consolatori, le seconde si identificano in luoghi realmente esistenti ma eterogenei e talvolta inquietanti, come cimiteri, ospizi, cliniche psichiatriche, ma anche navi, teatri, musei, biblioteche, collegi; si tratta piuttosto di utopie localizzate che insinuano nel continuum dello spazio una sostanziale discontinuità, creando uno spazio illusorio che finisce per rendere ancora più illusori gli spazi in cui viviamo. Il giardino è il più antico esempio di eterotopia per Foucault: “il giardino è un tappeto nel quale il mondo tutto intero realizza la sua perfezione simbolica, e il tappeto è un giardino che si muove attraverso lo spazio”. (1)
In Me giardino, opera realizzata in occasione della personale dell’artista presso Lottozero textile laboratories, lo spazio circoscritto del tappeto, smembrato e poi ricomposto, si fa “autoritratto”, agganciato brutalmente al soffitto ma ancora dotato di mobilità; è un centro catalizzatore che attrae i frammenti sparsi del linguaggio poetico dell’artista, disseminati tutt’intorno: le sculture antropomorfe, animali e vegetali, sospese in aria o trafitte a terra, o ancora appoggiate alle pareti accanto a quelle sue onomatopee tridimensionali dello stupore, poesia concreta che accomuna tutte le lingue.

1- Michael Foucault, Utopie Eterotopie, Napoli, Cronopio, 2006, cit. pp. 19-20


Farkhondeh ShahroudiBuu, tessuti cuciti, 2017. Foto Rachele Salvioli

ONOMATOPEA

Figura retorica che consiste nella riproduzione e trascrizione linguistica di suoni non verbali, come rumori, versi di animali, esclamazioni di stupore. L’onomatopea crea nuove parole imitando il suono dell’oggetto a cui si riferisce: “parole trasparenti” in cui la connessione tra suono e senso diviene esplicita.
La poesia è tra le fonti principali della ricerca artistica di Farkhondeh Shahroudi; il linguaggio poetico diviene nel suo lavoro materia plastica, al pari delle sculture fatte di tessuti cuciti a mano. Così divengono sculture a tutti gli effetti quelle esclamazioni tridimensionali disseminate nello spazio (anch'esse imbottite e cucite), fonemi dello stupore che alludono al grado zero della poesia (e della scultura), dov'è il senso della meraviglia a dischiudere il processo creativo dell'immaginazione e a ribaltare contenuti e simbologie assodati.
L’artista non fa che reinventare continuamente la sua lingua, anzi le lingue con cui pratica la poesia, il farsi e il tedesco.

Farkhondeh ShahroudiVeduta della mostra, Lottozero textile laboratories, Prato, 2017. Foto Rachele Salvioli

PALINSESTO

Antico manoscritto di pergamena in cui la scrittura originaria è stata cancellata tramite raschiatura o de-coloritura per essere sostituita con un altro testo, spesso disposto in senso trasversale rispetto al precedente. Tale usanza veniva praticata soprattutto nel Medioevo (tra il VII e l’XI sec.), con testi pergamenacei dei V e VI sec.
Quando scrive in farsi Farkhondeh Shahroudi sceglie il materiale tessile per realizzare libri d’artista dalle pagine sciolte, ripiegabili e malleabili come le membrane sottili delle pergamene. Qui come su quegli antichi supporti l’artista adotta una scrittura stratificata, sovrapponendo parole e frasi una sull’altra fino a renderle illeggibili, come un palinsesto fitto di ricordi ma ormai indecifrabile.


Farkhondeh Shahroudi Es ist entzückend wedelnde Vorhang im Wind zum Gespräch zu bringen, (avanti) tessuti cuciti e dipinti, 2017.
Written,(dietro) scrittura automatica con la mano sinistra, carta, pennarello indelebile, 2017. Foto Rachele Salvioli

GLOSSOLALIA

Manifestazione linguistica che consiste nel parlare in una lingua incomprensibile, con parole e suoni inesistenti, esclamazioni emozionali, neologismi. Essa rimanda anche al fenomeno estatico di pregare la divinità in una lingua misteriosa, che accomuna ambiti religiosi diversi e lontani tra loro come lo sciamanesimo, la mistica ellenistica e il cristianesimo primitivo. La glossolalia è un’attività creatrice, costruisce un linguaggio verbale che nel suo continuo mutare e proliferare cancella la distinzione tra forma e contenuto.
Da una iniziale condizione di afasia, di incapacità ad esprimersi in una lingua che non fosse la propria, l’artista è arrivata a inventarsi una propria lingua in tedesco, attraverso un processo di scrittura automatica con la mano sinistra che l’ha portata a realizzare una serie di opere, questa volta su carta, dove la parola si espande libera sul foglio seguendo il respiro del corpo.


Farkhondeh ShahroudiFlying Carpet, tappeto persiano, legno, gomma sintetica, 2017. Foto Rachele Salvioli

IMAGISMO

Movimento poetico nato in Inghilterra e negli Stati Uniti nei primi decenni del ‘900, che pone l’immagine a fondamento e sostanza della poesia, anziché esserne ornamento accessorio. Nel manifesto, firmato nel 1913 dal poeta Ezra Pound, si affermano la volontà di servirsi di un linguaggio rigoroso, essenziale, oggettivo, “fatto di cose concrete”, il rifiuto di parole superflue e similitudini e l’adozione del verso libero: “l’imagismo è presentazione vivida, non rappresentazione” (2). Farkhondeh Shahroudi pratica da sempre la scrittura poetica, il testo e il linguaggio sono la sua materia prima di creazione, da cui prende forma l’immagine. Che sia quello di una scrittura automatica forzatamente rallentata dalla scelta di usare la mano sinistra nei lavori su carta, o quello a caratteri persiani, altrettanto lento per l'addensarsi dei segni grafici uno sull'altro, per l’artista si tratta di creare, con il linguaggio, uno spazio di attrazione per l'immagine, senza distinzione alcuna tra la bidimensionalità del testo poetico e la tridimensionalità delle sculture.

2- Ruggero Bianchi, La poetica dell’imagismo, Mursia, Milano, 1965, cit. p. 54


Farkhondeh ShahroudiAntiflag, tessuti intrecciati, ferro, 2017. Foto Rachele Salvioli

HYPHA

Filamento unicellulare o pluricellulare che disposto uno sull’altro forma la struttura ramificata e filamentosa del micelio, il corpo vegetativo dei funghi. Deriva dal greco hyphé che significa tessuto, tessitura, tela (in Aristotele “la tela del ragno”). Hypha di Farkhondeh Shahroudi, ragnatela di mani dentro cui lo sguardo resta come avvinghiato, pur avendo in sé una molteplicità di rimandi funziona in primo luogo come immagine a sé stante, né rappresentativa né simbolica: l'etimologia della parola svela piuttosto l'architettura dell'universo poetico dell'artista, fatta di spazialità interconnesse e intrecci di significati, come una tessitura (dal latino texere) che sta alla radice del testo (textus) poetico.


Farkhondeh ShahroudiHypha, tessuti cuciti, 2017, dettaglio. Foto Rachele Salvioli

TEXTUS

Participio passato del verbo latino texere: tessere, intrecciare, costruire. Il testo ha una natura tessile e reticolare, la sua stessa radice etimologica rimanda a un’opera di tessitura con cui le parole, le frasi e i concetti entrano in connessione e si caricano di senso.
Testo e tessuto per Farkhondeh Shahroudi sono la stessa cosa, le cuciture nere sulle sculture sono segni primari; l’alif, la prima lettera dell’alfabeto arabo, è un semplice tratto verticale, come la I di “Io” e come lo sono anche i capelli che si addensano in fitte matasse nei lavori recenti dell’artista. Ogni cucitura si compone di questi tratti come segni originari che stanno a fondamento di lingue e alfabeti diversi, segni neutri con cui plasmare il proprio universo poetico.


Farkhondeh ShahroudiVeduta della mostra, Lottozero textile laboratories, Prato, 2017. Foto Rachele Salvioli

OU

La terza persona singolare del persiano moderno è neutra, può indicare sia il genere femminile che quello maschile. In quasi tutte le lingue indoeuropee il neutro è stato progressivamente assorbito dal maschile, ma se si prescinde dalla grammatica lo si ritrova in altri campi del sapere, come la politica, la botanica e la zoologia, la fisica e la chimica. OU è il titolo di un’opera video di Farkhondeh Shahroudi dove il pronome scritto in caratteri persiani invade progressivamente un’immagine fissa che allude a una figura avvolta in uno chador, anatomicamente ambigua come tutte le sculture dell’artista, (si tratta infatti di una porzione di piede dentro un calzino nero).
La categoria del neutro, se trasposta fuori dalla dimensione del linguaggio, diventa un nuovo paradigma: diventa l’altro della scelta, l’altro del conflitto. Come le bandiere che l’artista costruisce in svariati materiali (tappeti, capelli o tessuti intrecciati), neutralizzate al punto da diventare anti-bandiere, Antiflag, vessilli sorretti da semplici aste di ferro o bamboo, spogliati di ideologia, de-territorializzati, capaci di attraversare (o sorvolare) qualsiasi luogo o paese.


Farkhondeh ShahroudiFotogramma da OU, video, sound, 4’06”, 2008 Foto Rachele Salvioli

TAPPETO VOLANTE

Strumento magico al servizio dell’eroe della fiaba, è il campo del meraviglioso puro, presente nella mitologia araba e persiana e nel folklore russo (solo in un secondo momento trapassa anche in Occidente, con la traduzione de Le Mille e una notte di Galland).
Nel suo saggio Il flauto e il tappeto Cristina Campo si chiede ripetute volte perché voli il tappeto. Flying Carpet vola perché è una fionda con un proiettile rivestito di tappeto; antico strumento di caccia e di guerra, rimane appoggiata a terra come se fosse stata appena dimenticata da un essere di dimensioni sovrumane, una divinità forse. Nella lingua araba farfalla e tappeto hanno una radice etimologica comune, ma quest’ultimo “vola perché è terra spirituale, i disegni del tappeto (ancora un tappeto a giardino N.d.A.) annunciano quella terra”.(3) Sono territori ubicati sempre altrove per l'artista lontana dalla propria terra d'origine, inscritti dentro quella simbolica cornice del giardino persiano che contiene gli spazi infiniti dell'immaginazione poetica.

3- Cristina Campo, Il flauto e il tappeto, in Gli Imperdonabili, Adelphi, Milano, 1987, cit. p. 70

 

Farkhondeh Shahroudi. Spatial Poetry
Lottozero textile laboratories, in collaborazione con Villa Romana
Prato, 25.05 / 18.06 2017
Site  Lottozero textile laboratories
@ 2017 Artext

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