Daniela de Lorenzo, Schock, 2019 cm 80x30x15, carta pittura, colla, edizione unica.
Ripercorrere
Intervista alle curatrici Marcella Cangioli e Antonella Nicola
alle artiste Daniela De Lorenzo e Chiara Bettazzi
a cura di Mirco Marino
Mirco Marino - Marcella Cangioli, come nasce l’idea di Andature? Cos’ha significato portare in mostra al Museo Marino Marini due artiste in un’esposizione che è a tutti gli effetti una bi-personale?
Marcella Cangioli - È nata da un’attesa, da un tempo sospeso e dalla necessità di reagire attraverso nuove connessioni. Nel tentativo di non interrompere un flusso di pensieri Bettazzi e De Lorenzo hanno iniziato a dialogare fino a realizzare i due video Leitmotiv ed Effetti a distanza. Quando Daniela me ne ha parlato e ho visto le due opere è stata una sorta di rivelazione, di sorpresa oltre che un momento di spaesamento.
Non conoscevo ancora infatti il lavoro di Chiara, sebbene lo avessi già visto in qualche occasione. Nella silenziosa e commovente forza che quelle immagini smuovevano insieme al senso di mistero che suscitavano ho pensato che dovessimo farne qualcosa. Sono cominciati gli incontri con Antonella Nicola, Chiara e Daniela ed in seguito con Saretto Cincinelli. Abbiamo partecipato con l’associazione Città Nascosta a diversi bandi, esplorato alcuni luoghi, interpellato diverse personalità; ne è nata una rigenerante collaborazione di cui tutti, penso, ne abbiamo beneficiato. Infine, l’ospitalità offerta dal Museo Marino Marini e dalla sua presidente Patrizia Asproni, ci ha dato modo di focalizzare più compiutamente il progetto mettendolo a punto nella dimensione ora visibile in mostra.
È stato interessante scoprire come avrebbero reagito le opere negli spazi non semplici delle sale ipogee solitamente dedicate alla fotografia. Ma la forza, l’energia, oserei dire la bellezza, dei lavori delle artiste, hanno reso l’allestimento molto più fluido di quanto immaginassimo. Per i video eravamo abbastanza sicuri, più in dubbio invece per l’installazione di Chiara Bettazzi realizzata appositamente, così come per le sculture di Daniela De Lorenzo, che anche sembrano pensate per quello spazio!
Chiara Bettazzi. Installazione, Senza titolo, (momenti di passaggio 2021) Andature, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie
Mirco Marino - Antonella Nicola, Andature non è solo una collaborazione tra due artiste, ma un lavoro di incontro di ampio respiro tra più personalità con esperienze e retroterra diversi. Come si è sviluppato il team curatoriale che ha portato anche alla pubblicazione di un catalogo con quattro ricchi testi critici?
Antonella Nicola - È successo che ci siamo tutti trovati attratti da queste due nuove opere, i video prodotti a quattro mani, come una calamita, con il desiderio di rendere pubblico questo lavoro che di per sé riverbera bellezza e armonia.
Un giorno ho ricevuto una telefonata da Daniela De Lorenzo, artista con cui già in tempi passati ho lavorato nelle gallerie che allora dirigevo. Daniela mi ha chiesto di passare in studio per vedere un lavoro inedito che aveva realizzato con una giovane artista, Chiara Bettazzi, di cui avevo già sentito parlare e visto qualche mostra. Si trattava dei due video Effetti a distanza e Leitmotiv. Il lavoro mi è apparso subito forte, attuale e di grande poesia e armonia. Chiara Bettazzi e Daniela De Lorenzo avevano dato vita ad un inedito linguaggio condiviso, dove nessuna delle due prevaleva sull’altra, ma dove lo status di opera era evidente. Dopo qualche giorno, ho saputo che il lavoro era stato visto anche da Marcella Cangioli, amica da anni, e l’idea di portare ad una fruizione pubblica questo lavoro ha subito preso forma. Con Marcella abbiamo strutturato il progetto che poi, su suggerimento di Saretto Cincinelli, abbiamo presentato al Museo Marino Marini, incontrando la partecipazione della presidente Patrizia Asproni.
Daniela De Lorenzo / Chiara Bettazzi. Andature, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie
L'idea della mostra partiva dai due video inediti e si completava con una selezione degli ultimissimi lavori prodotti da ciascuna, in modo da offrire allo spettatore la possibilità di entrare anche nella poetica dei due singoli processi creativi. Il coinvolgimento di Arabella Natalini, che è intervenuta al talk aperto al pubblico, è stato voluto da tutti, sempre per affinità, come anche il testo chiesto a Mariagrazia Grella.
Ognuno di noi ha sostenuto il lavoro di Daniela e di Chiara già in passato… Questa occasione ci ha riuniti tutti. È stata una collaborazione allargata, anche tra noi curatori che abbiamo voluto rendere concreto il progetto.
Quello che questo lavoro ha portato in campo, quindi, non è solo una mostra di opere d’arte di grande forza e bellezza, ma è il seme di un modo di operare, di pensare e immaginare, che porta un gesto collettivo a diventare fecondo. Attraverso l’opera, noi conosciamo e partecipiamo ai processi creativi che rappresentano momenti estatici, sublimi, perché ci parlano di una dimensione più grande, segretamente viva in noi. E, attraverso il “lavoro corale a quell’opera”, ci siamo trovati coinvolti, per empatia, in quello stesso processo creativo.
Abbiamo voluto fermare tutto questo in un catalogo, che resterà anche dopo la chiusura della mostra al Museo Marini.
Il catalogo ripresenta il percorso della mostra e le opere, grazie alle fotografie di Serge Domingie, e accoglie i testi curatoriali e critici. Ognuno di ognuno di noi offre uno sguardo e una lettura diversa delle opere in mostra e delle artiste, anche se poi comunque, l’elemento comune torna a farsi sentire.
Daniela De Lorenzo / Chiara Bettazzi. Andature, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie
Mirco Marino - Daniela De Lorenzo, lo studio d’artista è un luogo che conserva un’ambivalenza speciale, uno spazio sempre sulla linea tra privato e sociale, cos’ha significato per te lavorare in uno studio che non ti è proprio, quello di Chiara Bettazzi? Cosa ha comportato nella tua opera?
Daniela de Lorenzo - Frequentare lo studio di Chiara è stata per me un’esperienza fondamentale per conoscere a fondo il suo metodo di lavoro e conoscere meglio lei.
Il suo studio le somiglia, è uno spazio luminoso, aperto, accogliente, uno spazio grande dove potersi muovere liberamente su più postazioni, un meraviglioso set, dove la luce può assumere la stessa importanza degli oggetti usati nel suo lavoro.
Quello che più mi ha colpito è la sua “precisione” nel conservare, catalogare, e disporre degli innumerevoli “oggetti trovati’ con i quali Chiara costruisce le sue installazioni. I materiali con i quali lavoriamo sono totalmente diversi, “trovati” i suoi, “disegnati” i miei, ma in qualche modo il processo si somiglia… mi sono sentita stranamente vicina a questa “magnifica ossessione”.
Riuscire a realizzare un lavoro a quattro mani è diventato ad un certo punto un esigenza per entrambe e il suo studio con i suoi oggetti mi è sembrato un luogo straordinario e diverso dove iniziare a lavorare insieme. Questa condizione di estraneità formale ma di un “sentire” comune come la percezione e la sosta in un tempo-altro, mi ha fatto sentire particolarmente libera.
Il nostro è stato un lavoro andato avanti per piccoli spostamenti e tentativi, ci siamo avvicinate l’una all’altra sempre con leggerezza, ascolto e anche puro divertimento, quasi una magia… È troppo presto per essere consapevole cosa questa esperienza ha portato o porterà nel mio lavoro, per ora la custodisco come una cosa preziosa, ma sono sicura che qualcosa di nuovo apparirà improvvisamente come possibilità inaspettate.
Daniela De Lorenzo / Chiara Bettazzi. Andature, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie
Mirco Marino - Chiara Bettazzi, nel video a due canali Leitmotiv da un lato una brezza smuove le tue nature morte, dall’altra un colpo secco fa crollare il precario equilibrio che contraddistingue i tuoi lavori, quanto la collaborazione con Daniela De Lorenzo ha portato nella tua opera? In quali zone ti ha spinto questo incontro?
Chiara Bettazzi - Ho seguito il lavoro di Daniela a distanza, per anni, senza riuscire a capire precisamente cosa mi attirasse di quello che vedevo. In passato avevo visto diversi suoi lavori realizzati con Ramona Caia, una giovane danzatrice… Ecco quei lavori mi lasciavano incollata all’immagine per molto tempo. Successivamente attraverso una vicinanza più continuativa nata dalla frequentazione degli studi e non soltanto dal condividere alcune mostre collettive, ho capito che un ritmo incredibile attraversa il suo lavoro, oltre alla sua presenza fisica che spesso lo caratterizza. I nostri ambienti di lavoro sono estremamente diversi e anche qui si sottolinea da subito un’apparente distanza. Il suo studio è piccolo intimo e con molti lavori finiti e visibili. Nel mio non c’è mai niente di finito da poter vedere e tutto attende di essere trasformato.
L’entrata di Daniela all’interno del mio studio e quindi il contatto con il lavoro ha provocato una sorta di scossa, una caduta improvvisa che ha portato con sé un movimento incredibile all’interno delle mie composizioni, che spesso presentavano una fermezza, anche se precaria. Chiaramente l’incontro con lei è avvenuto in un preciso momento della mia ricerca che forse aveva la necessità di aprirsi a tutto questo. Mi viene in mente questa immagine precisa di quando è arrivata; aveva con sé pochi elementi, un filo che spesso usa nelle sue sculture e che abbiamo adoperato per il video Leitmotiv, una sfera bianca ben visibile nel video Effetti a Distanza e infine un piccolo feltro a forma di calotta cranica che poi non abbiamo utilizzato, soltanto questo… Come se non avesse bisogno di altro. Ho sentito subito un enorme distanza da me, che invece ho la necessità di spostare grandi masse di oggetti appena devo lavorare fuori dal mio ambiente.
Ultimamente sento sempre di più la necessità di rendere evidente un movimento interno al mio lavoro che si manifesta davanti, portando timidamente con sé la mia figura, che piano piano appare sempre di più nelle immagini; questo in automatico rimanda il mio pensiero alla presenza dei due autoritratti fotografici di Daniela Quasi me, in mostra al Museo Marino Marini, accanto alla mia istallazione in cui si iniziano a vedere le mie braccia. Uno scambio profondo avvenuto con il tempo necessario e con il contatto diretto, che avrà sicuramente un seguito.
Daniela De Lorenzo / Chiara Bettazzi. Andature, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie
Esplosione e Implosione Andature al Museo Marino Marini
di Mirco Marino
I lavori di Chiara Bettazzi e Daniela De Lorenzo sembrano legati dalla differenza. Un paradosso, questo, che solo uno sguardo attento sulle opere può rendere evidente, e allo stesso modo, rendere sensato. È allora una differenza che lega, quella esposta nella mostra bi-personale Andature al Museo Marino Marini, a cura di Saretto Cincinelli, Marcella Cangioli e Antonella Nicola.
La mostra nasce da una collaborazione fuori dal tempo, durante il periodo pandemico, tra le due artiste, una collaborazione che sottolinea una distanza tra il procedere del rispettivo lavoro. Una collaborazione, infine, che ha dato vita a due video, a quattro mani, in cui il lavoro dell’una prende posto, accuratamente, nel lavoro dell’altra. La cura sembra stare proprio nell’evitare la contaminazione, l’invasione, ma anzi sussurrare la propria andatura, il proprio ritmo, mettersi allo stesso passo, e allo stesso tempo, creare due opere che, sebbene di stessa natura, riescano nel raccontare due storie diverse, due sentimenti del tempo, e della forma, a sé stanti.
Le due video installazioni Leitmotiv ed Effetti a distanza, senz’altro fondamentali nell’ideazione della mostra, non sembrano però esserne il centro, questa si sviluppa infatti nello spazio dei sotterranei del museo Marini attraverso opere inedite delle due artiste, e si conclude in due visioni separate dei video. La soglia della mostra è caratterizzata dall’installazione site-specific di Chiara Bettazzi, questa conduce allo spazio-altro di un mondo-altro, quello di un futuro composto da frammenti di passato che risalgono la corrente del tempo e rivivono nell’incontro tra natura, oggetto e proiezione luminosa. Un mondo, quello presentato da Bettazzi che sembra confondersi col quotidiano, e allo stesso tempo discostarsi da questo per raggiungere una nuova dimensione temporale, ferma ma nondimeno pulsante. L’installazione si pone nello spazio del museo con un ritmo che somiglia a quello sbadato della crescita vegetale, ponendo le radici in più punti, germogliando da questi, infondendo una nuova meraviglia vitale agli angusti angoli e scure nicchie della cripta.
Chiara Bettazzi, Still Life (quarto ciclo-aste, 06), 2020. Andature, Museo Marino Marini Firenze.
Sulla parete opposta il dittico fotografico Quasi me di Daniela De Lorenzo interroga una dimensione diversa, più offuscata e dissolta, che si conserva cromaticamente nel bianco e nero delle fotografie sfumando tra i toni neutri del grigio. Il movimento dei due schivi soggetti non ne consente l’identificazione, raggiungendo una sintesi visiva e opaca della figura. Questo carattere di sintesi ricorre isotopicamente nelle opere dell’artista che occupano la sala successiva della mostra.
La prima, intravista sin dall’ingresso nella sala è Schock, una composizione di sguardi e gesti che sembra strizzare l’occhio al Bilderatlas Mnemosyne. Il lavoro di De Lorenzo è nuovamente una sintesi, non più della figura senza identità, ma di soggetti riscoperti, e rubati al tempo della storia dell’arte. Le tre Grazie di Cranach si liberano dal velo della pittura per ritrovarsi, ricomposte e sintetizzate, in una stratificazione schiacciata, compressa e bianco-acroma, che non solo attrae su di sé lo sguardo del visitatore, ma lo prescrive verso il resto della sala, indicando dove guardare. In rima cromatica, a terra, il trittico Gag si dispone nello spazio. I tratti di compressione e sintesi si traducono nella tridimensionalità della stratificazione del materiale-carta, che da bidimensionale acquista un respiro scultoreo mantenendo la leggerezza.
Quest’ultima si manifesta nella stratificazione di movimenti successivi di quella che appare come una figura zenitale, movimenti sottolineati anche dalle tre forme che Gag assume guardata da punti di vista differenti nello stesso momento. È proprio il tratto di leggerezza, ultimo vertice della triade composta da sintesi e stratificazione, che identifica maggiormente la terza opera in sala dell’artista, il dittico Dove sei.
Daniela De Lorenzo / Chiara Bettazzi, Effetti a distanza (2019 2020), video. Andature, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie
Il titolo, letto sia come questione posta che come affermazione, identifica un primo carattere enigmatico. Se la dissolvenza nel dittico precedente era quella del movimento tracciato sulla pellicola, qui questa si esprime su tre livelli: per primo quello dei materiali, dell’intarsio nella tavola e il suo riempimento; per secondo l’intricato motivo di linee; e infine quello della sua natura di dittico, che sembra conservare il nucleo della narrazione. L’osservazione non può che suggerire, nuovamente, un movimento, una figura che, sintetizzata nel groviglio intarsiato, sembra allontanarsi, perdersi, dissolversi. È proprio Dove sei a completare il quadro complesso dei lavori di De Lorenzo che articolano un soggetto opaco, dissolto e in fase di astrazione, un soggetto che si fa riconoscere in quanto tale, in quanto vivo e in movimento, che interroga lo sguardo del visitatore ma che allo stesso tempo non si lascia comprendere fino in fondo, conservando, nel profondo, un segreto, stretto nelle gestualità nascoste, nei movimenti stratificati e negli intricati intarsi. Un segreto, che nella sua irriconoscibilità identitaria suggerisce una dimensione temporale primordiale, un tempo che si avvicina, per sedimentazioni, a quello dell’archeologia, che significa nel proprio presente la riscoperta di un’antichità, e che suppone che la risposta a Dove sei, non vada cercata tanto in uno spazio-altro, quanto in un tempo-altro. Le opere di De Lorenzo su una metà della sala conversano con le nature morte di Bettazzi sulla metà opposta. Qui, è dove sembra essere in mostra la distanza tra le due artiste. Si tratta di una distanza che non è però vuota, ma che presenta dei punti di contatto sotterranei, celati, non disposti in superficie.
Daniela De Lorenzo / Chiara Bettazzi, Effetti a distanza (2019 2020), Still video. Andature, Museo Marino Marini, Firenze.
Le nature morte di Chiara Bettazzi spostano la composizione dallo spazio della presentazione allo spazio della rappresentazione, iscrivendosi quindi nel genere ricco di storia della natura morta, un genere che contenutisticamente indaga il tempo fermo delle cose, e che in modo opposto travalica il tempo delle epoche.
Gli oggetti e le piante di Bettazzi si sviluppano, germogliano, sul piano ricercando un proprio ordine, una propria fissità opposta alla casualità del mondo che li ha creati. Questi sono immortalati in una luce naturale che dà loro forma e omogeneità, e sembrano posti proprio come una sfida alla morte, allo scordarsi. Ogni oggetto, ogni pianta, suggerisce un memento, una traccia d’esistenza nel tempo, che il medium fotografico rende ancora più reale. Il silenzio inscritto nelle opere si rompe ogni volta che dalla composizione appare la bacca inaspettata, l’oggetto dimenticato anche dallo sguardo, che piomba all’occhio per manifestare la propria esistenza nel mondo degli oggetti, nel mondo umano e soprattutto nel mondo del tempo. Perché la questione ultima che le grandi nature morte di Bettazzi introducono è proprio quella del sentimento del tempo, dell’esistenza del e nel tempo di un’umanità che butta via con la stessa facilità con cui rimpiazza, nel loro silenzio immobile ci ricordano in che mondo siamo e da che mondo veniamo e nella loro caotica e ordinata proliferazione riscoprono l’equilibrio precario di un’umanità che si confonde con la natura.
Si tratta quindi di una poetica che pone la documentazione come tappa essenziale del processo creativo, e che eleva quindi ogni oggetto scelto a documento, a immutabile resistenza al tempo.
Daniela De Lorenzo / Chiara Bettazzi, Leitmotiv (2019 2020), video. Andature, Museo Marino Marini, Firenze. Foto di Serge Domengie
La differenza tra le due artiste è quindi di ordine espressivo e contenutistico, una differenza che sembra a prima vista insormontabile. La scelta dell’osservatore non è però tale, egli può scegliere come guardare. A fondo le due poetiche che sembrano opposte, indagano una dimensione temporale che le unisce, che si comporta come collante e sottolinea allo stesso tempo due dinamiche espressive che rientrano nella stessa categoria: esplosione e implosione. Da un lato, l’esplosione di Chiara Bettazzi, la discretizzazione in mille fuochi che è rappresentata perfettamente nelle composizioni di natura e cultura che l’artista pone nell’equilibrio dell’esistenza umana; dall’altro lato l’implosione di Daniela De Lorenzo, le cui figure si contraggono e comprimono i loro movimenti nella stratificazione di tempi e visioni multipli.
La mostra, in conclusione, cammina allora su quell’asse di congiunzione tra esplosione e implosione, un’asse che nella storia dell’arte si sbilancia di volta in volta a favore dell’una o dell’altra, tra classicismo e barocco, impressionismo ed espressionismo, minimal e action, e che solo alla fine della storia dell’arte, finalmente, può trovare il suo equilibrio.