L’eterno viandante
Sergio Risaliti
Il Museo Novecento accoglie negli spazi del piano terreno la mostra personale di André Butzer a Firenze. È la prima in assoluto in un’istituzione pubblica italiana, un percorso antologico alla scoperta di dipinti e sculture, dagli anni Novanta ai nostri giorni. Come altri artisti tedeschi degli ultimi decenni – Georg Baselitz, Anselm Kiefer and Günther Förg, ma anche Gerhard Richter, Sigmar Polke e Albert Oehlen – anche Butzer è riuscito a coniugare la grande tradizione romantica ed espressionista con le influenze pop e astratte moderne, molto influenti nel panorama dell’arte tedesca dagli anni Sessanta in poi.
Nella sua formazione artistica hanno tuttavia avuto un ruolo fondamentale tanto le opere di Cézanne quanto quelle di Matisse, da cui ha saputo assimilare sia la profondità cognitiva dell’immagine costruita oltre i limiti dell’imitazione, quanto la musicalità perfino magica e misteriosa del colore. Dopo i dipinti di carattere decisamente espressionistico del primo periodo, realizzati come dentro un furor ispirato e in totale sintonia con l’autonomia creativa della pittura, ne sono nati altri dettati dalla immedesimazione con la figura del Viandante (Wanderer), avventuriero dello spirito alla ricerca di una verità indefinibile che sfugge alla razionalità, ma vive nel profondo dello spirito e si conosce nei modi del sentimento sublime. Il Viandante è una figura topica della cultura romantica, si ritrova nell’arte di Caspar David Friedrich, nella poesia di Johann Wolfgang von Goethe e di Friedrich Hölderlin, nella musica di Franz Schubert.
Poi sono apparse opere astratte, con campi monocromi interrotti da figure geometriche minimali, seguiti da altre di linguaggio informe, con superfici dense, luminosissime, giocate su fondi grigi con filamenti di colore leggeri e quasi naturalistici; infine, le sue celebri ›donne-bambine‹ – risolte con un disegno che fa molto pensare al mondo delle favole e dei cartoon infantili.
Tornando al Museo Novecento, sottolineiamo che per la prima volta nella storia recente dell’istituzione è stato suggerito all’artista di cimentarsi con le pareti che disegnano il percorso espositivo intorno al chiostro rinascimentale, una superficie di notevoli dimensioni, che ha l’aspetto di una parete posta all’aperto, come di uno spazio pubblico da percorrere abbagliati dalla luce esterna.
André Butzer. Liebe, Glaube und Hoffnung, Installation View, 2024, Museo Novecento, Firenze. Foto Ela Bialkowska OKNO studio
Altra caratteristica inedita del progetto è la commissione di una pala d’altare per l’ex chiesa che si conserva nel cuore del museo, uno spazio così tanto amato dagli artisti in questi anni, che qui si sono confrontati con quanto sopravvive di una certa aura sacra. In questa cappella, progettata per le liturgie eucaristiche, si ritiravano in preghiera le ragazze ricoverate nello Spedale di San Paolino – questo era il nome antico delle ex Leopoldine – giovani fanciulle salvate dai disagi, dalle umiliazione e violenze subite in famiglia o nella società rinascimentale.
Per l’altare, ormai privato della sua pala originale – una Moltiplicazione dei pani attribuita a Ludovico Buti (1550 circa–1611) – Butzer ha realizzato una Madonna delle stelle, un’iconografia a lui cara, che evoca simili immagini devozionali, caratterizzate da note fiabesche e fantastiche, come quella di Lorenzo Veneziano nella chiesa vicentina di Santa Corona, vestita di un manto blu trapuntato di astri, o quella di Beato Angelico, con una cornice di stelle dorate che circondano la Vergine e il Bambino, oggi conservata allo Isabella Stewart Gardner Museum di Boston.
Come altre figure di Butzer, anche questa donna-bambina, regina in terra e nel cosmo, immaginata però con un semplice vestitino, leggero come di carta, e grandi occhi ricolmi di dolcezza, tenerezza e un velo di amarezza e malinconica apprensione, è realizzata con un linguaggio infantile. Figure bambine, o grottesche, come quelle di certi cartoon, simili ad ambigui emoji, che vivono con disinibita espressione e formalizzazione sia nei dipinti, dai colori sgargianti, sei nei disegni di piccole e grandi dimensioni.
Come ha scritto Gwen Allen, professore di storia dell’arte presso la San Francisco State University: »I disegni di Butzer sfidano le nozioni convenzionali di abilità e maestria artistica, una strategia rafforzata dall’associazione dei mezzi da lui scelti – soprattutto pastello e acquerello – con l’arte dei bambini e dei dilettanti. Butzer sembra fare di tutto per enfatizzare queste connessioni con i suoi scarabocchi rozzi e giocosi e con il suo lavoro a pennello, che richiamano la mancanza di coordinazione motoria e la creatività sfrenata dei bambini piccoli«.
André Butzer. Liebe, Glaube und Hoffnung, Installation View, 2024, Museo Novecento, Firenze. Foto Ela Bialkowska OKNO studio
Tutto questo, evidenzia almeno due aspetti significativi dell’arte di Butzer: la forte tensione spirituale, la sua affinità con il mondo romantico, sicuramente quello di Novalis e Hölderlin, assieme alla sua precoce ammirazione per i disegni animati eseguiti a mano da Walt Disney, così come per le aperture al mondo dell’arte infantile e dei folli di Klee, Dubuffet e perfino Pollock.
Già questi dati, svelano la complessità del percorso artistico di Butzer, che solo apparentemente pare iniziare, risolvere e abbandonare ciclicamente ricerche e conquiste personali, passando dalle astratte costruzioni alla invasata ispirazione del suo espressionismo, fino a realizzare una serie di opere dalle superfici spesse e informi, ed altre creazioni pittoriche animate da figure con gli occhi a palla e teste di goblin, dai corpi deformi con dei monconi al posto degli arti, irridente e perturbanti, con quei sorrisi animati da forze oscure e minacciose.
Si tratta sempre e comunque di esperienze assolute e compiute, fondate su se stesse, viaggi compiuti alla ricerca di risposte che solo l’arte riesce a dare a quel viandante eterno che è l’artista. Perché il movimento dall’esterno all’interno, dal finito all’infinito, dal visibile all’invisibile non è mai esaurito. La selezione delle opere, effettuata insieme all’artista, vuole presentare l’interconnessione tra il suo lavoro passato e quello presente, mettendo in luce la centralità e la ricorrenza di alcune tematiche a lui care, così come i dualismi tra vita e morte, speranza e disperazione, verità e falsità, tipici della tensione continua e antitetica delle sue opere, che in mostra crea un tessuto denso di legami e rimandi. La selezione è inoltre arricchita da alcune opere inedite, realizzate appositamente per la mostra al Museo Novecento.
André Butzer è un artista che vive e crea nella certezza della missione artistica e del potere perfino ontologico dell’arte, che staccandosi dalle produzioni industriali e dall’effimero spettacolo della vita contemporanea procede verso la verità e la libertà.
Tornano perfino alla mente alcuni versi di Gottfried Benn: »Devi saperti immergere, devi imparare, / un giorno è gioia e un altro obbrobrio, / non desistere, andartene non puoi / quando è mancata all’ora la sua luce«. Non resta d’altronde all’artista che la sua fede, la sua speranza, il suo amore per l’arte e la poesia: »Durare, aspettare, concedersi / Oscurarsi, invecchiare, aprèslude«.
André Butzer
COSPIRARE CON LA PITTURA
André Butzer e Guillermo Solana
Conversazione
La sua mostra al Museo Thyssen-Bornemisza è la prima di una serie di esposizioni di arte contemporanea al centro della collezione permanente del museo. Sessant'anni fa, Heini iniziò la sua collezione di arte moderna acquistando dipinti di Kirchner, Nolde, Pechstein, Heckel... Ora Blanca e Borja Thys- sen-Bornemisza, la generazione successiva della famiglia, collezionano con entusiasmo le sue opere. Quando abbiamo visitato insieme il museo qualche mese fa, mi è sembrato che lei fosse particolarmente interessato alle sale dell'Espressionismo tedesco.
André Butzer
Sto per scoprire l'Espressionismo tedesco. A causa del mio nome francese "André", mi sono appassionato prima a Matisse e Cézanne. Adoro anche Jawlensky. Quindi, Kirchner è il prossimo. E Paula Moder- sohn-Becker. Penso che Kirchner sia fantastico, per essere un pittore tedesco, davvero bravo. Sono tutti bravi! Darò un'altra occhiata al vostro museo.
A 21 anni ha deciso di diventare pittore, dopo aver visto una mostra della collezione Guggenheim alla Hamburger Kunsthalle. Che ruolo hanno avuto i musei nella sua evoluzione da allora? Quali sono i suoi musei preferiti?
Avevo 20 anni. Era un'epoca in cui i musei mostravano ancora rispetto per l'arte. Mi piacciono di più i musei che lo fanno. Penso che un museo non sia mai abbastanza conservatore. Dovrebbe essere molto tranquillo all'interno dell'edificio e dovrebbe abbracciare la tradizione. I miei musei preferiti sono quelli che espongono i miei dipinti. Mi piace l'Ortsmuseum Wolfhalden, naturalmente il Museo Thyssen-Bornemisza e il Norton Simon Museum di Pasadena, anche se non hanno ancora esposto i miei quadri, anche se praticamente vivevo lì accanto. Qualche settimana fa ho visto una splendida sala di Tiziano a Napoli, al museo che si trova su quella collina. Inoltre, mi piace sempre guardare fuori quando sono in un museo, andare a una vecchia finestra nascosta e vedere i dintorni, come un parco, alberi o palme.
Siamo molto onorati che per la sua mostra lei abbia dipinto un omaggio a un'opera molto speciale della nostra collezione, Fränzi vor geschnitztem Stuhl di Kirchner...
Ho fatto un errore, le ho dipinto i capelli di giallo. Fränzi è il tipo di ragazza con cui mi sono immediatamente identificato. Ed ero decisamente troppo timido per provare a dipingere il giardiniere di Cézanne della collezione del museo. Ci ho pensato un attimo! Quando sono venuto a Madrid l'anno scorso, ho visto Fränzi per la prima volta e sono rimasto sopraffatto da quanto è bello quel quadro. Sono contento di aver già finito la mia versione a casa, così non ho dovuto scartare anche quell'idea.
All'inizio nei suoi quadri c'erano dei volti e poi delle figure. Poi le figure sono diventate una serie di personaggi che ci sono familiari: l'Uomo della vergogna, quell'ibrido tra il teschio con le tibie delle SS e l'Urlo di Munch, i Friedens-Siemens e la Donna, infine il Viandante come discendente più complesso dell'Uomo della vergogna. Come le sono venuti in mente questi personaggi?
Li ho visti uscire dalla pittura. Durante l'esperienza al Guggenheim, quando ero giovane, ero sicuro di aver visto Paperino in un quadro di Jorn. Mi convinsi che sarebbe stato possibile pensare di cospirare con la pittura e lasciare che queste cose venissero fuori da sole, dalla pittura. Avevo ragione e questo mi ha portato al punto in cui potevo iniziare a servire gli spiriti e i ritmi della creazione. Allo stesso tempo, mi ha permesso di lottare in modo passivo ma efficace contro il regno dei dati scalabili e trasferibili, il regno del ready-made, il regno della scienza naturale.
Lei inventa anche luoghi immaginari come "Annaheim" e poi "NASAHEIM". Questo mi ricorda la Canzone dei Nibelunghi, in cui il Viandante chiede al fabbro Mime chi è che abita sotto la terra, sulla terra, in alto sopra la terra, sulle cime: Niflheim, Jotunheim, Valhalla... La sua pittura è una sorta di mitopoiesi?
Non si tratta di me. Il mito è sempre e noi possiamo solo servirlo e tenerlo in vita. In un'epoca di distruzione, il mito è più vicino di quanto pensiamo. Il pericolo più grande porta la salvezza e gli echi degli dèi a noi e vicino a dove siamo e stiamo ancora.
L'ultimo movimento di creazione del mito è stato il Surrealismo. Il Loplop di Max Ernst, le bambole di Hans Bellmer, il Minotauro di Picasso. Anche se non sono sicuro che il Surrealismo vi parli...
Se voglio essere surreale, scrivo una poesia. Sono un poeta per hobby. Ma anche nella poesia non è questo che cerco di ottenere. Non credo che si possa essere un pittore e poi scegliere di proposito e con intenzione un mito tra i miti e aggiungere al mito un dipinto mitico o la rappresentazione di una figura mitica. Non è così che possiamo partecipare al mito.
La figura del Viandante è stata ispirata dalla vostra lettura dell'Iperione di Hölderlin. Il Viandante è anche legato al Wilhelm Meister di Goethe, al Lenz di Büchner o allo Zarathustra di Nietzsche. In ogni caso, è il mito romantico tedesco. Come si colloca rispetto alle rivisitazioni della mitologia tedesca da parte di artisti come Kiefer, Baselitz e Lüpertz?
Penso di essere il miglior Anselm Kiefer del mondo. Non sanno dipingere, ma sono tutti bravi, come ho detto prima a proposito di Kirchner. Con Hölderlin ho sentito che ero io a scrivere le sue cose, parola per parola. E poi no. Non possiamo immaginare il mito e rimanerne fuori, e nel peggiore dei casi esserne ancora fuori. Dobbiamo essere il mito e farlo. Dobbiamo ricevere e fare la salvezza. Nietzsche diceva che un pittore non deve leggere libri, deve fare una festa per gli occhi.
La sua mitologia mi sembra segnata da un umorismo nero o addirittura tragico. I suoi personaggi sono candidi, innocenti, con i loro guanti bianchi, i loro sorrisi radiosi e quegli occhi grandi..., così grandi da diventare inquietanti. Mi sembrano figure disneyane dipinte da Munch.
Oh sì. Munch dopo Disney. Questo è quanto. Io come Munch che prende Disney come Naturalismo. Ma anche qui: Non esiste una prospettiva esterna su Disney come semplice motivo. La localizzazione interna del motivo non può essere una prospettiva. Questo significa che non c'è rappresentazione. Anche se il mio caro pubblico vede cose rappresentate, come quelle che ha appena citato, queste cose che abitano sono presenti, non rappresentate.
Nel 2003, lei inventa una particolare forma di composizione che da allora ricorre nella sua pittura: quattro o cinque dei suoi personaggi centrali, riuniti in buona armonia, come un gruppo di amici inseparabili o addirittura una famiglia. Lei li ha chiamati "Sonntagsbilder", dipinti della domenica. Ciò che questi idilli pastorali esprimono non potrebbe essere piuttosto una certa disperazione?
Subito dopo ho smesso di chiamarli "Sonntagsbilder". Ora li faccio tutti i giorni. Non significa che si tratti di disperazione. Non si tratta di nulla. Sono semplicemente lì. Sono presenti e - la speranza muore per sempre - un presente. Il mio programma ora è la domenica tutti i giorni. Nella vita reale, però, mi piacciono di più i giorni feriali. Forse perché la maggior parte delle persone nel mondo civilizzato non ha ancora capito che ogni giorno è domenica. Può venire solo dall'interno come luce interiore, oro interiore e osservazione quotidiana della natura e della luce.
Avete espresso il vostro amore per alcune icone del capitalismo americano, come Henry Ford o Walt Disney. Quindi, ha dichiarato: "In gioventù ho immaginato che l'America e la rivoluzione industriale avessero completamente industrializzato tutti gli esseri umani. Che quindi dovessimo esistere in questo mondo industriale come parti dei prodotti. E che tutto questo sistema ha insidiosamente attaccato i nostri corpi. Ci siamo tutti ammalati a causa di esso. Ma allo stesso tempo, dico, penso che sia fantastico. Penso che bere Coca Cola e mangiare patatine sia bello. Abbraccio il mondo, anche se è il mondo industrializzato. Rifiuto la completa schiavitù e, allo stesso tempo, devo goderne". Sono fermamente convinto che una simile affermazione, evidenziando la propria contraddizione, superi la falsa franchezza di Warhol, ad esempio.
Non possiamo biasimarlo. Forse dovremmo. Al giorno d'oggi, sarei sempre meno in grado di tenere fede a ciò che dicevo allora. La prima metà mi sembra ancora corretta, ma la mia volontà di abbracciarlo in quanto tale non è scomparsa del tutto, ha iniziato a svanire lentamente. Ho dovuto imparare e vedere come non esistano il bene e il male, se si tratta di persone o strutture sociali. Non sono né buoni né cattivi, sono sempre entrambi e nella maggior parte dei casi quelli che si dichiarano buoni sono più cattivi di chiunque altro. Quanto più forte è la loro affermazione di essere buoni e di chiamare gli altri malvagi, tanto più sono malvagi. Con questo non voglio però incolpare nessuna persona o individuo. Ora vedo più chiaramente come le entità oscure o malvagie, in senso spirituale, possano avere un impatto sugli individui e creare un'insidia su di loro o su una specifica struttura sociale. Naturalmente, anche le entità spirituali opposte sono presenti qui. Quelle che gettano luce, speranza e amore sulle persone.
Di solito, lei tende a dipingere in gruppi, come variazioni su un tema... Tuttavia, lei rifiuta il concetto di pittura seriale della Pop Art o la serialità di una certa "estetica della merce". Immagino che stia pensando a Warhol e Gerhard Richter, che hanno assunto la logica industriale e mercantile, giusto? In contrasto con questa serialità industriale, questa riproducibilità meccanica, credo che per lei ogni quadro sia qualcosa di singolare. Un quadro è un evento unico?
Può essere unico solo se fa parte di una certa qualità di ripetizione continua. Creare semplicemente un evento di unicità non ha senso e non ha alcuna conseguenza, perché rimarrebbe un evento singolare di nulla. La ripetizione da sola è un luogo e un meccanismo di sofferenza e oppressione, sofferenza e di oppressione. Ma è qui che devo andare, per sostituirla, ancora e ancora, per realizzare e piantare il seme messianico dell'unicità nella ripetizione.
Un altro aspetto che la distingue dalla Pop Art è che lei non utilizza immagini già pronte. A questo proposito, lei ha fatto un'osservazione che trovo straordinariamente rivelatrice: "La gente tende a vedere la pittura come un mezzo, collegato ad altri media. [...] Ma per me non lo è". Se la pittura non è un medium, che cos'è allora?
Questo riassume ciò che abbiamo detto un paio di volte prima, e sì, la pittura non è un mezzo che si pone in relazione prospettica con qualsiasi cosa rappresentata, raffigurata o mostrata altrove. La pittura è la fonte primaria del vedere e la pittura è l'atto di relazionarsi con il cielo e la terra. La pittura riporterà la chiave per distruggere la supremazia e il dominio del razionale, dello statistico, dello scalabile. Se vogliamo, è l'anti-numero. Ho chiamato questa categoria "N".
Inizialmente lavorava in scala ridotta, ma da molto tempo dipinge grandi formati. Cosa le suggerisce quale formato dipingere?
Ho realizzato grandi formati fin dall'inizio. Ma non ha importanza. Non c'è una scala. La dimensione di un dipinto non è una dimensione o una scala misurabile in modo secolare.
Vorrei sapere se fotografa ancora i quadri finiti per giudicare il loro impatto a diverse dimensioni.
Li fotografo tutti. Credo ancora che potrei in qualche modo imparare da questo e li guardo sullo stupido computer o sul dannato telefono, ma non imparerò mai nulla da questo. È un'illusione.
Nel suo famoso saggio Pittura modernista (1960), Clement Greenberg affermava: "Gli impressionisti, sulla scia di Manet, abiuravano la sottopittura e le velature, per non lasciare all'occhio alcun dubbio sul fatto che i colori che usavano erano fatti di vernice proveniente da tubetti o vasi". Con i colori direttamente dal tubetto, la pittura diventa un prodotto industriale pronto all'uso. Una volta ha detto di voler conservare "l'enorme assortimento di tutti i colori in tubetto che il rivenditore di vernici offre in un'unica cromaticità"?
Vorrei poter andare avanti e sfuggire alla fatticità industriale della pittura. Sono ancora nella fase dei benefici. Il mio obiettivo è continuare a comprarli dal rivenditore di vernici, ma annientare la loro fatticità. Si tratta di bruciare. Bruciare è vedere. È il punto di combustione. È qui che il pensiero prende il suo posto. Nel forno, come diceva Eraclito. Pensiamo e gli dèi ritornano. Non se ne sono andati. Sono nascosti dietro questa e qualsiasi fatticità.
Mi sono chiesto come descrivere adeguatamente gli ultimi 30 anni della vostra evoluzione, senza sembrare troppo frenetico: le figure dei cartoni animati lasciano il posto a campi grigi monocromatici. Poi arrivano i circuiti di bande e cavi astratti, dapprima mescolati con molte figure sovrapposte: horror vacui. In seguito, il grigio ritorna. Riemergono i volti dei cartoni animati. Improvvisamente, un passaggio al nero... I volti dei fumetti riappaiono, ma trasformati. Se ci si aspetta di trovare un'evoluzione lineare, tutti questi colpi di scena possono risultare spiazzanti. Forse tutto il suo lavoro è caratterizzato dalla simul- taneità. Passato, presente e persino un possibile futuro sono ugualmente validi e si fondono continuamente in una stupefacente sincronicità.
Non vi pare?
Sono tutti uguali. Non si può diventare un pittore migliore. Posso solo evitare di diventare sempre peggiore. La logica interna in termini di λόγος e di ritmo è una cosa molto lineare e non lineare e finché mi sembra naturale andare avanti sapendo che non c'è un "avanti", va bene. Non fare. Essere un piccolo elemento di collegamento tra la terra e il cielo e viceversa. Superare le false, ma comprensibili e perdonabili, concezioni del progresso, della novità o dell'innovazione ed essere comunque nuovi. Che cosa è nuovo?
Nella vostra evoluzione vedo una cosmogonia ciclica. Il vostro mondo è periodicamente popolato e svuotato, distrutto e creato di nuovo. Una caratteristica centrale della sua pittura potrebbe essere l'ossessione di tornare all'inizio, di ricominciare. Come lei ha detto: "La pittura tiene lontano il tempo e il processo. La pittura è rotonda".
Non è il mio mondo. Dipingo il quadro, come se fosse il primo e l'ultimo, sempre.
La conversazione si è svolta il 18 febbraio 2023.
André Butzer. Liebe, Glaube und Hoffnung, Installation View, 2024, Museo Novecento, Firenze. Foto Ela Bialkowska OKNO studio
CON ANDRÉ BUTZER IN AMERICA
Un film di Rudij Bergmann
AB: Qui c'è, credo, una certa forma di apertura, come un punto di partenza, che probabilmente dispone all'accoglienza. E come se dicessero, "Ok, bene, lasciamogli fare le sue cose, magari non sono male". Non lo so. Forse anch'io mi metto nelle condizioni di farmi ingannare. Sarà senz'altro così. Se qualcuno mi dice che sono super, non penso immediatamente che quella persona voglia lusingarmi. Potrebbe anche essere, ma non m'importa. Credo che tra noi esseri umani si tratti anche di scambiare energia positiva, di rendere le cose possibili e mantenerle aperte. Non chiudersi immediatamente e dire, "Questo è impossibile!" o qualcosa del genere. Potrebbe invece essere possibile. Magari è possibile e in qualche modo pure vantaggioso per noi.
In un certo senso, ci ostiniamo a volerci occupare di immagini e cose così, la gente vuole questo. Ed è ancora un elemento centrale nella nostra cultura.
AB: Si tratta, credo, della mia sesta mostra a Los Angeles.
RB: Ha un titolo decisamente tedesco... "Goethe strano essere umano"
AB: "Goethe strano uomo".
RB: Sì, certo, uomo, non essere umano.
AB: In verità non sono uno specialista di Goethe ma ho pensato che, trovandomi per la prima volta fuori dalla Germania per un lungo periodo, avrei potuto dire la mia sulla questione. É come il Goethe Institute.
RB: Cosa dice Hölderlin?
AB: Beh, io stesso sono Hölderlin. Non amiamo Goethe. Ma, non so. L'ho letto poco, in definitiva. Di recente ho letto le conversazioni. Le ultime conversazioni raccolte da un certo Eckermann. Sono rimasto incredibilmente deluso. Ho pensato: comincerò con queste conversazioni per procedere confusamente verso Goethe. Ma in realtà, è proprio questo che mi ha completamente confuso.
Un titolo tedesco per la mostra, titoli tedeschi per i dipinti e così via, questo è ciò che volevo fare. Per me era importante che la gente si accorgesse che sono arrivato qui e non ho fatto subito finta di essere americano. Ci sarà tempo per farlo.
RB: Sono titoli che semplicemente ti corrispondono o suggeriscono invece un modo di approcciarsi ai tuoi dipinti?
AB: In realtà, mi vengono in mente mentre dipingo, non accade né prima né dopo. Ma, proprio nel momento in cui dipingo. Perché in quel momento sono preso da ciò che sto facendo. Quindi, è come se volessi ricrearmi una sorta di contesto in miniatura. Evoco il contenuto. Lo racconto a me stesso, nella mia testa o giù di lì. E poi lo scrivo. Sì, è esattamente quello che faccio. Da questo punto di vista, sono decisamente naïf.
È così che mi vengono in mente. Non ho titoli già belli e pronti per poi mettermi a lavorare, e nemmeno accade il contrario, cioè, una volta elaborate le immagini, non attribuisco i titolialle opere. In realtà, mi rendo conto che sono proprio quelle parole a esprimere quelle pitture.
RB: C'è qualcosa di religioso o politico nei tuoi lavori?
AB: Politico direi di no, religioso, credo, totalmente. Forse la mia è una pittura religiosa. Sembra brutto da dire, ma è così. Cos'altro potrebbe essere? Non esiste una pittura atea. La pittura su tavola in Europa è di per sé religiosa. Non ne esistono di altro genere. E anche l'aniconismo islamico è di per sé religioso. Ed entrambi sono, a mio avviso, costitutivi dell'oggi. Quindi, sia l'incarnazione che l'idea di divieto dell'incarnazione sono intuizioni pittoriche fondamentali di natura religiosa. Entrambi, credo, sono costitutivi per l'essenza dell'immagine in quanto tale. Per la sua origine, la nozione di immagine è esclusivamente religiosa. Cos'altro potrebbe essere? È la prospettiva di ciò che Dio o il divino... è la prospettiva e la mediazione di ciò che è divino. Ecco perché. Non so, certo non suona troppo bene ora, no?
RB: Non troppo seducente...
AB: Può darsi, certo. Ma io mi sento abbastanza a mio agio, in questo senso. La pura nozione cristiana di immagine non credo sia sufficiente. Ma ce ne sono altre. E si tratta sempre di qualcosa che viene mediato tra noi e il cielo e la terra. La mediazione è l'essenza stessa dell'immagine. L'immagine è vita e morte. È la simultaneità di ciò che limita l'esistenza e la mantiene sempre come fosse un nuovo inizio.
RB: Ti senti, per così dire, poggiare sulle spalle di altri?
AB: Sì, sulle spalle di tutti.
RB: Di tutti?
AB: Sì. Non sono un fenomeno moderno che spunta dal nulla. Sarebbe terribile, se fosse così. Mi piacerebbe, se tutti noi... Siamo tutti un tutt'uno, tutte le immagini sono un tutt'uno. Rembrandt, i colori, le mescolanze. Potenzialità. Mescolanze. Ripetizioni. Ritmi. È quello che intendevo prima con il concetto di universale. L'universale è il ritmo reale. Dovremmo essere contenti di poggiare sulle spalle di altri, per fortuna che ci sono, altrimenti non potremmo fare nulla. Tutti ne facciamo parte, anche quelli che critichiamo. Quelli ancor di più, probabilmente. Elogio e critica... dimenticateli, è tutto uguale. RB: Qui c'è una piacevole quiete.
AB: Mi sa che è finita?
RB: È una zona tranquilla...
AB: Cosa stanno facendo?
RB: Credo stiano falciando.
AB: In effetti, è tranquillo qui. E anche questi rumori fanno parte della quiete. Penso di sì, penso che sia davvero una quiete piacevole.
WITH ANDRÉ BUTZER IN AMERICA Un film di Rudij Bergmann (2024)
Film realizzato in occasione della mostra André Butzer. Liebe, Glaube und Hoffnung al Museo Novecento
André Butzer. Liebe, Glaube und Hoffnung, Installation View, 2024, Museo Novecento, Firenze. Foto Ela Bialkowska OKNO studio