Anna: credo di averli scoperti, anzi sono venuti da sé, per necessità, nel cambio totale dei
miei soggetti. Stavo chiudendo un capitolo della mia pittura che riguardava il paesaggio
urbano, per aprire un periodo in cui la pittura era legata a soggetti più intimi, legati alla mia
vita, alle persone che mi circondavano, alle esperienze vissute. Guardare le cose in
maniera diversa, è stato un cambiamento importante. Da qui ho iniziato a utilizzare i colori
anche per la costruzione delle forme e dei soggetti, cosa che prima non facevo mai. La
prima volta che ho messo in pratica questa nuova esperienza con il colore è stato durante
la residenza a New York a LaCasapark, le prime nature morte le ho fatte lì.
Anna: effettivamente il mio primo vaso di fiori l’ho dipinto a Montelupo, che è stata una
residenza importante perché di passaggio fra questi due periodi, vissuta quasi come un
rituale. Un ribaltamento.
Luigi: c’erano esplosioni di colore già li vero? Ti ricordi che ti dissi di materializzare la tua
ossessione per i materassi, di dipingerci sopra anziché dipingerli nei quadri?
Anna: c’erano esplosioni di colore. Si ricordo, ed è proprio quello che è successo a
Montelupo, quegli elementi urbani di scarto, sono diventati supporto vero, non solo
materassi, ma ceramiche di interni di bagno, vari oggetti abbandonati. In quell’occasione
sono nate anche le prime grandi carte. E’ stato divertente oltre ad avermi aperto nuove
strade che non avevo ancora battuto.
Luigi: rispetto al precedente lavoro hai scoperto che con il colore si poteva uscire fuori
dalla tela e già al Simposio di pittura avevi capito che c’erano delle criticità nel tuo lavoro
che dovevi necessariamente affrontare.
Anna: di sicuro. Ecco perchè parlo di un momento di passaggio, nel lavoro precedente i
colori erano schiacciati sotto una stesura di diversi grigi e in una visione poco personale.
Per cui quanto ti trovi in questo momento delicato dove c’è già qualcosa del futuro che non
ti è ancora chiaro e ancora qualcosa del passato, ma non riesci a trovare una via di uscita,
stai molto male. A Montelupo ho vissuto dentro questa bolla esistenziale, di passaggio fra
due periodi. Ma appunto venivo dal Simposio in cui avevo già messo in discussione il mio
lavoro per il confronto avuto con gli altri pittori, anche uscendone a pezzi.
Mi consola che a molti artisti prima di me è accaduto, pensa a quelli che sono passati dal
figurativo all’astratto o viceversa. Il cambiamento è un momento importante.
Luigi: si, tutto va guardato a posteriori, ma sul momento tu pensi di saper cosa stai
facendo? Ho letto l’altro giorno, un'intervista a un pittore astratto, Howard Hodgkin, che
diceva: “io non so cosa sto facendo” ed era già molto vecchio.
Anna: è vero per metà, come dicevo prima, di qualcosa siamo consapevoli di quello che
stiamo facendo, o del momento che stiamo attraversando, ma qualcosa non la sappiamo.
Non sappiamo dove ci porteranno certi percorsi. A un certo punto subentra una questione
di necessità: smetti di fare una cosa perché tu stai cambiando e segui il flusso del
cambiamento. E insieme a te cambia tutto il resto. Cambia il tuo modo di vivere, cambia il
tuo modo di dipingere tutto è legato insieme. La vita cambia talmente tante volte… poi ci
sono gli imprevisti, a quelli non siamo mai preparati, e ti devi reinventare di nuovo. La vita è così.
Luigi: io sto cercando di approfittare del fatto che ci vedo ancora per fare delle cose
piccole, minute, però mi accorgo che ogni giorno vedo sempre di meno. Per cui non so
veramente come prendere la faccenda, e tutto questo mi da dell’incertezza nel senso che
oggi devo mettere degli occhiali importanti per lavorare così da vicino. Non riesco più
rispetto a un anno fa a fare un quadro grande, perché non riesco ad allontanarmi e
avvicinarmi, riesco solamente a stare di fronte al quadro a 30 cm. Non riesco ad
allontanarmi dal quadro perché non lo vedo più. Un quadro grande è performativo, e in
qualche modo ti devi muovere, girarci intorno, salire sulla scala, io non riesco più a farlo.
Anna: allora è un pò come dico io, non prevedi cosa succederà e tutto cambia, questi
sono gli imprevisti, la tua pittura sta cambiando in base al tuo invecchiare, al tuo stato di
invecchiamento fisico e biologico a quanto pare. Questo è l’imprevisto di cui parlavo. Non
possiamo prevedere di restare sempre uguali, il corpo cambia, le circostanze cambiano, di
conseguenza tu farai quadri sempre più piccoli, ma mica lo sapevi, non lo sapevi 10 anni
fa, non lo sapevi 2 anni fa. E lo stesso vale per me, adesso sto dipingendo queste cose
perché sento di dover parlare a una parte di me che non ho mai voluto espletare, episodi
della mia vita, sogni, ricordi, atmosfere, che poi sono argomenti che riguardano tutti quanti,
non c’è niente di speciale è solo un modo di vedere le cose.
Luigi: se non c’è niente di speciale, perché certe cose dovrebbero essere più importanti di altre?
Anna: Per me lo sono, adesso è più importante fare questo. È un modo di guardare le
cose, un modo di trasmettere un’atmosfera, una sensazione, un dettaglio, come dico
spesso, il dettaglio di una storia più grande.
Luigi: ma tu, mentre lo stai dipingendo, pensi anche a quell’individuo che si troverà di
fronte al quadro? Pare che agli altri non piacciano i cambiamenti.
Anna: no, non ci penso. Io faccio perché mi piace dipingere l’unica cosa che voglio fare è
dipingere. Non mi devo chiedere io cosa vogliono vedere nei miei quadri, sono liberi di
farlo, non ho richieste verso lo spettatore. A quanto pare è vero i cambiamenti non
piacciono, destabilizzano, quando non sei più riconoscibile, inquadrabile, il sistema va in
tilt crei una crepa, ma è un limite del sistema e non dell’artista, altrimenti non sarebbe tale.
Luigi: vedi per esempio cosa è riuscito a fare Jean-Frédéric Schnyder, completamente
sconosciuto in Italia… però se tu inserisci dentro un quadro degli elementi che sono
esclusivamente delle tue caratteristiche derivate da sogni o cose allucinatorie, sensazioni
bizzarre, pensi che poi chi sta di fronte al quadro riesca a percepire la sintesi della storia?
Anna: non credo, perché dovrebbe conoscere la storia? però potrebbe trovare in ogni
caso un minimo di appiglio che ha a che fare anche con la sua di esperienza. Penso che
la pittura riesca a veicolare messaggi che sono universali, per questo è il linguaggio più
diffuso e più utilizzato nella storia dell’uomo. Resiste a tutto.
Luigi: ma io non so se è nato prima il gesto, come comunicazione o la pittura. Si dice che
la pittura è stata la prima forma d’arte, forse invece è il gesto ancora prima del segno.
Anna: il disegno forse viene prima della pittura. Ma cosa c’è dietro quel gesto? la
necessità, quando parlo di necessità e proprio questo che intendo. E’ proprio quella che
ha fatto sì che l’uomo delle caverne disegnasse le teste di felino, i buoi o la caccia nella
grotta di Chauvet. C’è stata una necessità per noi inspiegabile, quando è stato il momento
in cui quell’uomo ha deciso di disegnare? La caccia era un’esperienza che viveva tutti i giorni. Perché disegnarla?
Anna Capolupo, Aquilone n.2, cm 80x60, olio su carta, 2022
Luigi: non voleva disegnare, voleva rappresentare, propiziare o semplicemente ricordare;
disegnare non era una pratica che utilizzava come la utilizziamo oggi.
Anna: ma si stratta di segno. Oggi sappiamo questo, lui non era consapevole di lasciare quel segno.
Luigi: probabilmente era propiziatorio e basta.
Anna: si era propiziatorio e penso che noi usiamo ancora quel sistema.
Luigi: vuoi dire che quando dipingi, dipingi qualcosa che sia propiziatorio, divinatorio?
Anna: si qualcosa di propiziatorio per me, per esempio ultimamente penso che dovrei
dipingere un oggetto in particolare che fa parte del mio passato, un passato molto lontano,
stiamo parlando di cose antiche, di cui ho sentito solo racconti. Per me è importante, non
solo lo vorrei dipingere, ma vorrei realizzarlo tridimensionalmente. Sto parlando di un
indumento indossato dalle donne Arbëreshë*, comunità dalla quale provengo, di questo
indumento esiste un solo esemplare, conservato nel Museo della cultura Arbëreshë di
Vena di Maida in Calabria, un oggetto antichissimo, che si chiama Vardacore, tradotto in
scaldacuore o copricuore. È una specie di gilet da donna, come un bustino. Questo è uno
di quegli oggetti che sono per me propiziatori, che mi garantiranno una protezione futura,
non hanno a che fare con la divinità, ma sicuramente con una forma di spiritualità. Cerco
di costruire un linguaggio mio, per riconoscermi. Esistono elementi mancanti come in un
puzzle, questi elementi sono per me propiziatori.
* minoranza etno-linguistica greco-albanese stanziata nell’Italia meridionale nel XV sec.
Luigi: tu citi sempre in questi termini Sorrentino? Perché?
Anna: perché è un regista che secondo me ha trovato nel cinema un modo per ricostruire
se stesso. Gli ha permesso di mettere insieme parti di se. E’ riuscito a raccontare di una
realtà molto complessa come quella del sud, ma anche di un modo di esser tutto italiano.
Quella famosa frase: non ti disunire!
Luigi: magari non è un cosa tutta sua, ma è in parte dei napoletani probabilmente.
Anna: ma lui è napoletano, però devi anche saperla raccontare una storia, puoi
raccontarla in un modo o in altro. É un regista che sa raccontare molto bene questo nostro
tempo. Anche se non so quanto le persone nate e cresciute in altri posti che non siano
sotto Roma riescano a comprenderlo fino in fondo, o lo sentano fino in fondo.
Luigi: no, non lo comprendono.
Anna: è proprio di questo che sto parlando io vorrei riuscire a parlare di questa
esperienza, ma è complesso, è molto complesso.
Luigi: la verità dove sta?
Anna: non lo so, proprio Sorrentino ha scritto un libro che si chiama
Hanno tutti ragione,
perché non esiste una verità assoluta, cos’è la verità?
Luigi: la questione è anche dove uno riesce a parlare delle proprie origini…a un certo
punto pure Sorrentino si è dovuto trasferire a Roma, farsi produrre i film. Se non te li
producono, non riesci a farli i film. Quindi a un certo punto c’è anche la questione del
denaro, e di come il denaro ti porta in qualche modo a fare questo passaggio.
Anna: quindi in principio ci deve essere qualcuno che sia interessato a quello che vuoi
dire, se nessuno è interessato non arrivano soldi. Se decido che da domani voglio
raccontare la popolazione arbëreshë devo pure trovare una persona interessata. E prima
ancora trovare il modo di spiegarglielo. Non so come lui abbia trovato le persone che
finanziarono il primo film, ma non credo che sapessero come sarebbe andata. La
questione dei soldi è complicata, tu lo sai meglio di me, perché tu li hai fatti con l’arte.
Luigi: io li ho solo spesi. Sono arrivato a Milano che ero nullatenente, ma era ancora un
momento buono per il mercato dell’arte e quindi mi potevo permettere una casa, uno
studio e alcuni vizi, come pagare l’affitto di Brown Project Space.
Anna: ok li hai spesi e ti ha dato modo di esprimerti. Ti è stato riconosciuto un contributo
importante soprattutto nelle arti performative. Giusto? Mentre di pittori adesso siamo in
milioni, non che dipingiamo tutti uguale, ma siamo in tanti, tantissimi e ognuno ha la sua
cosa da dire. Ognuno ha la sua realtà, vuole parlare del posto da dove proviene, o del
mondo femminile o gay ecc.
A volte mi sembra che tutto si ricopra di banalità quando si vuole spiegare la pittura. Voglio
solo trasmettere una visione non voglio farmi paladina di cose o di altre esistenze. Non
voglio farmi paladina delle donne, degli arbëreshë o del meridione. Anche Sorrentino non
si fa paladino del sud, ti fa vedere il marcio e la bellezza, non è il paladino della
napoletanità.
Tu vuoi farti paladino di qualcosa? Di un’era post umana, androgena o cosa?
Luigi: no. Non mi interessa proprio, mi interessa riscoprire la tradizione italiana
della storia della pittura. E quindi ho creato la mia versione de
Le Storie della Vera Croce.
Che sono un patrimonio importante italiano. Però ho scoperto con la mostra di Roma al
Mattatoio che molti, anche diversi artisti non sanno che esiste una storia della vera croce,
che siano dei cicli pittorici importanti di Piero della Francesca. Per esempio qualcuno ha
pensato che
Le Storie della Vera Croce, fosse un titolo inventato come
l’invenzione del
busto. Magari si pensa al
Sogno di Costantino come a un notturno di Piero della
Francesca, ma non sanno che fa parte di un ciclo della storia pittorica italiana.
Anna: di tante cose gli italiani non conoscono l’esistenza, soprattutto di cose che ci hanno
reso italiani e importanti agli occhi del mondo. Ancora di più se riguardano l’arte, che è in
questo paese una cosa minuscola, a nessuno importa. Noi non facciamo la differenza, la
gente nasce, cresce e muore senza sapere chi è Piero della Francesca, non è una cosa
per cui non puoi vivere senza.
Luigi: si è vero, però visto che l’arte è un territorio dell’umanità in cui semini un frutto che è
per tutti, non produci mai una cosa che poi sia assoggettata solo ed esclusivamente al
mondo dell’arte. Pensi sempre che un giorno, chiunque, dalla cassiere alla lattaia al
giornalaio, vedendo quest’opera possa trarne in qualche modo qualcosa, qualsiasi cosa, a
prescindere dalla preparazione e dai sogni che uno ha.
Anna: ma cosa deve fare per poterla vedere e leggere? Perché allora è lo stesso messaggio educativo del Cristianesimo…
Luigi Presicce, bambino con Tilacino, 2022, olio su tela, cm 30 x 25
Luigi: si ma questo vale per tutti, neanche noi possiamo comprarci un Picasso, ma
pensiamo che sia una cosa che ci appartiene.
Anna: forse quando diciamo che ci appartiene non pensiamo a qualcosa che ci appartiene
fisicamente, a un’oggetto. Quando io penso a qualcosa che mi appartiene, come per
esempio una musica, lo dico perché mi tocca in maniera diversa da altre, muove le mie
corde, qualcosa che abbiamo dentro, un inconscio di cui non ne siamo del tutto coscienti.
Luigi: è esattamente quello che accade alla cassiera, alla lattaia e al giornalaio.
Anna: ok. Però dall’altra parte noi siamo anche educati a questo, educati alla visione di
un’immagine. La chiesa come faceva con le pale d’altare? la gente non sapeva leggere,
era analfabeta, grazie a quelle immagini riusciva a formulare un pensiero. Quindi facciamo
anche noi così?
Luigi: Ma è cambiato molto adesso, l’arte oggi non deve insegnare niente a nessuno, è più
un discorso che appartiene alla gente ricca, è fa schifo, è evidente che qualcosa è sfuggito
di mano. Però da una parte bisogna anche cercare di mediare in un’era in cui l’arte è solo
un bene di lusso. Per l’artista dovrebbe essere poesia, non potere economico.
Anna: va bene, su questo siamo d’accordo. Ma non pensi che sia sempre stata un bene di
lusso? Secondo me sì. I committenti erano le famiglie più importanti che esistevano, se
non era la chiesa erano le grandi famiglie. Sono loro che hanno fatto in modo che l’arte
potesse crescere, che gli artisti si esprimessero, pagati e venerati.
Luigi: alla chiesa importava solo che ci fosse un determinato concetto.
Anna: certo però è sempre stato un bene di lusso. Hai mai sentito di poveracci che si sono
comprati dei quadri?
Luigi: no, non ce li possiamo permettere nemmeno noi che li facciamo.
Anna: l’arte è sempre stata un bene di lusso, non è mai stata creata per il popolo, il
messaggio lo era. Veniva forse dal popolo e viene forse tuttora da gente meno abbiente.
Siamo in un periodo un po’ strano, ci sono tante cose. Io non credo in tutti questi artisti
bravissimi che escono dalle scuole private e costose. Sicuramente ci sono talenti, ma oggi
sembra quasi un marchio, devi fare quel percorso, scartando tutto il resto dell’umanità, ma
l’arte non è così. Non è mai stata così.
Luigi: la poesia non è così. L’arte se la intendi in questo modo sta andando esclusivamente in questo verso.
Anna: la poesia non è così. La poesia è per pochissimi.
Luigi: non parlo di quella scritta, ma quella che riesci a veicolare attraverso un fare
poetico, che può essere nella pittura, nel teatro, nel cinema…trovare la poesia in tutte le
cose. Per la poesia non ti rilasciano un certificato come può essere quello di una grande
scuola di Londra. Sei diplomato, si, e ora? Sei come tanti altri che hanno pagato per avere quel diploma.
Anna: certo, con questo però non dobbiamo pensare che la poesia arrivi solo dal basso,
perché sarebbe una banalità. Sapere vedere non vuol dire che se uno è ricco non ha questa capacità.
Luigi: infatti non è neanche dal basso che proviene, forse sarebbe meglio parlare di
vernacolare, di un linguaggio che poi va a parlare a chi lo sa comprendere, e quindi se ti
insegnano che devi fare questa cosa qui per ottenere quella cosa li, allora poi troverai altre
persone che capiscono come hai fatto quella cosa lì per ottenere quella cosa là e ti
supporteranno. Però non stiamo parlando di vernacolo, stiamo parlando di marketing.
Invece io quando parlo di vernacolare parlo della poesia che c’è nel linguaggio. Di far
comprendere un sentire che arriva da un luogo interiore e viene compreso dalla pancia, non dal cervello.
Anna: i registi secondo me lo sanno fare meglio di molti altri, perché per esempio abbiamo
discusso se ti ricordi io e Matteo (Coluccia) del film
Call me by your name,
Chiamami con il
tuo nome che è una storia da ricchi, la poesia c’è ed molto sofisticata, culturalmente più
sofisticata e sembra agli occhi di chi non ha vissuto quella condizione, una fiaba, lontana dalla realtà.
Luigi: si ma qui è una questione proprio di linguaggio, la cosa si risolve nella differenza tra chi dice gay e chi ricchione.
E’ una questione di linguaggio.
Anna: Nel senso che Guadagnino dice cose con un linguaggio che un altro direbbe in
maniera diversa? Infatti facevo l’esempio che negli stessi anni descritti nel film, in
quell’Italia esisteva
Mary per sempre. Che non era assolutamente
Chiamami con il tuo nome.
Luigi: perché in
Mary per sempre eri ricchione e in
Chiamami con il tuo nome gay aristocratico…
Anna: era un altro contesto culturale, entrambi hanno la loro visione poetica, ma non era
una più legittimata dell’altra. La poesia è una capacità di vedere e sentire le cose e anche
la pittura lo è. Nel libro
Logica della sensazione, di Deleuze su Bacon, dice che la pittura
passa attraverso canali diversi della sensazione e rende visibile forze che non lo sono,
non tutti sanno leggerla e comprenderla. A volte si ha bisogno di un’educazione dello sguardo, come per la poesia.
Anna Capolupo, I'm a monster, cm 30 x 25, olio su tela, 2022
Seconda registrazione
Luigi: Ti ricordi l’altro giorno di cosa abbiamo discusso animatamente?
Anna: il concetto per il quale secondo te esistono delle popolazioni del mondo che non
sono in grado di fare delle cose.
Luigi: Non era una questione di essere o non essere in grado di fare delle cose, volevo
solo dire che mi fastidia il terzomondismo e soprattutto nel momento in cui c'è tutta la
tendenza legata all’esaltare alcune figure, se pure significative, non straordinarie. Il
sistema dell'arte tende a lavarsi le mani dall’onta del colonialismo con un’altra forma di
colonialismo intellettuale.
Anna: noi viviamo già in un sistema che privilegia gli artisti stranieri non quelli italiani.
Forse siamo ancora troppo esotici anche per il nostro stesso paese.
Luigi: Purtroppo sembra di no, anche Massimiliano Gioni ha detto che gli artisti italiani non
sono abbastanza esotici. Però è un momento storico in cui chi ha commesso degli errori
cerca di fare un mea culpa. Allora si chiede scusa per tutto: per cui i bianchi chiedono
scusa ai neri per essere bianchi, i maschi chiedono scusa alle femmine per essere
maschi, il cane al gatto per essere cane e il gatto al sorcio ecc.
Per cui si da anche tanto spazio ad artisti di nazioni che prima non erano considerate. Il
centro del mondo si è allargato, non è più l’occidente e basta. Però come ricaduta c’è la
crisi di chi ha avuto la scena solo per se fino a questo momento.
Anna: abbiamo visto già artisti provenienti da paesi considerati terzo mondo,
rappresentare nazioni come la Francia, un’artista di origine algerina, nel caso della
Biennale di Venezia. Credo che si parli ormai di identità plurali non di terzomondismo
come lo chiami tu. Vale anche per il padiglione americano, con la prima donna
afroamericana a rappresentare l’America e così tanti altri.
Luigi: però non è solo riscatto sociale, anche economico, e gli artisti che venivano
considerati svantaggiati adesso hanno un grande potere d’acquisto. Vedi appunto Simon
Leigh per la Biennale ha prodotto delle pachidermiche sculture in bronzo che in questo
momento non è proprio il materiale più economico del mondo. C’è qualcosa di incoerente
perché si parla di minoranze è di povertà con i miliardi in tasca.
Anna: quindi se diventi ricco non puoi più parlare della povertà o delle tue origini? Per me
il riscatto sociale è una cosa molta dignitosa.
Luigi Presicce, Indù, 2022, olio su tela, cm 30 x 25
Terza conversazione
Luigi: tu vivi con un gatto bianco e un cane bianco, stai cercando per caso un fidanzato Albino?
Anna: ahahah, no, ma sai anche che ho scoperto i colori di recente. Nella mia vita da
pittrice li ho usati veramente poco. Ho utilizzato invece molti grigi, bianchi e neri, un lascito
dell’Accademia. Adesso mi diverto, è tutto un lavoro di tavolozza. Anche se rimangono
sempre pochi quelli che scelgo. Ultimamente ho una predilezione per i monocromi. Faccio
prove di blu, poi di verde, poi al massimo verde e blu, poi rosso e torno al blu. Per me
impossibile avere una tavolozza come la tua per esempio, non riuscirei a gestirla, troppi
colori. A volte mi succede infatti di non riuscire a concentrarmi sul soggetto perché i colori
mi distraggono. Nelle atmosfere che cerco invece ci sono pochissimi colori e cose che a
malapena si intravedono, al contrario del tuo lavoro dov'è tutto molto dettagliato, tutto è
molto circoscritto e descritto dalla pittura e dalla tua pennellata.
Luigi: leggevo di questo proprio l’altro giorno in
Gli anni di Van Gogh e Gauguin di John
Rewald. Van Gogh ha introdotto nella pittura il contorno a tutte le cose. Per cui ogni
oggetto ha un contorno, dolce o meno dolce che sia, che in qualche modo legittima ogni
cosa nello spazio del quadro. Mentre i tuoi contorni sono indefiniti qualsiasi cosa si fonde
con l'altra, con lo sfondo, con la luce e a volte non sai cosa inizia prima e cosa inizia dopo,
neanche quando finisce. Van Gogh è fondamentale per me, faccio riferimento alla sua
pittura da sempre, da quando facevo le copie dei suoi quadri a 11 anni. Per lo stesso
motivo la cosa che mi dico spesso quando dipingo è di non perdere mai di vista il pittorico.
Anna: forse perché non ho un’immagine da seguire, una foto o un soggetto ben preciso.
Cerco di ricordare o guardare qualcosa dal vero. Sono piuttosto legata alla memoria, è un
gioco fra passato e presente, non c’è un inizio e una fine è solo un frammento che si
dissolve nel colore. Quello che mi interessa è l’identità.
I quadri che stai facendo adesso sono legati a una tua identità culturale o no?
Luigi: ormai anche l’identità culturale ha allargato i propri confini, è più globale.
Anna: perché globale?
Luigi: perché tutto è cambiato, l’apparire e l’essere accettati ha avuto un evoluzione
importante con i social. La cosa che muove il mio interesse è il ritratto, sempre il ritratto.
Però non puoi neanche pensare che il ritratto di una bagnante di Renoir oggi abbia lo
stesso appeal di una modella in piscina* in mezzo ci sono una miriade di cose.
*riferimento a una foto in studio di Luigi utilizzata per un quadro
Anna: e quali sono queste cose?
Luigi: tutta la storia del ritratto, da quello dei grandi pittori all’evoluzione che ha avuto
attraverso la fotografia fai da te.
Anna: ma dai tuoi quadri cosa passa? Da Renoir al tuo quadro io che vedo? Il passaggio
di questi ritratti?
Luigi: tutto è differente, sono cambiate le pose e gli intenti di un ritratto. Anche voler essere
un’altra cosa o un avatar fa parte di questo cambiamento.
Anna: ma se esiste già quella foto su Instagram perché tu la riproduci come quadro a che serve?
Luigi: io non riproduco la fotografia nel quadro, a me interessa solo quella posa e le
ombre, mi interessa quel gesto di autopresentazione fuori dal contesto in cui è stato
realizzato. Per l’esattezza come uno si mette a nudo di fronte a uno spettatore che non
conosce. Non è più il rapporto e lo spazio che intercorre tra il pittore e la modella di Picasso o Matisse.
Anna: quindi per te questa ragazza che ammicca su Instagram è poesia?
Luigi: il poetico esiste in tutte le cose, ma è difficile da definire soprattutto in qualcosa che
esce da un telefono e non ti riguarda.
Anna: si, mi sembra però che tu stia cercando altro perché è evidente un limite con la
realtà. Forse vuoi parlare di un mondo altro e quella foto è un pretesto per farlo?
Luigi: quale mondo altro?
Anna: un mondo fantastico, un mondo che non c’è, che ti immagini possa esistere forse in un futuro?
Luigi: no, non parlo del tempo né futuro né passato.
Anna: io guardo quella gamba lì* e per me non è una gamba, è un fumetto, il corpo di
quella donna, le sue costole non sono reali, lei è una specie di lucertola che vive in una vegetazione irreale.
*riferimento a un quadro sul cavalletto in studio di Luigi.
Luigi: se non hai assorbito tutta la lezione di Bacon è molto difficile immaginare un corpo
dipinto che funziona solo nel quadro. Nella realtà sarebbe un corpo deforme, ma nessuno
gli ha chiesto di camminare.
Anna: tu non ti immagini tutto, tu descrivi tutto.
Luigi: io sto semplicemente creando dei codici pittorici, come possono essere il modo di
fare le mani, i piedi, i capelli, i colori della pelle, la peluria, i tratti somatici.
Anna: ma aspetta io non sto facendo una critica nel dirti che quella gamba è un fumetto,
per me tu sei la cosa più lontana da Francis Bacon, questo lo sai.
Anna Capolupo, Ménage, cm 30 x 25, olio su tela, 2022
Luigi: meglio no? Sembrerei datato se la mia pittura assomigliasse alla sua.
Anna: non so che cosa è meglio, lui è stato un pittore straordinario che ha cambiato la
storia della pittura. Però, per esempio, quando siamo stati a vederlo a Roma abbiamo
anche percepito che Freud sembra reggere di più il trascorrere del tempo e sfidare la
contemporaneità. Mentre Bacon rimane ancorato a un dopoguerra e non si scappa…è
devastante. Quindi è un pò difficile, deve passare del tempo, l’artista muore, e restano
solo i lavori che sono stati in grado di fare un buco nella storia, di attraversarla.
Tu dici che stai cercando dei codici, qui la rappresentazione è molto forte. Questi codici li
conosci tu in quanto pittore, ma dall’esterno chi guarda, la prima cosa che vede forse è
proprio questa creazione di un mondo che è molto particolare, ci sono animali estinti,
donne in posizioni particolari, yoga estremo, un bambino che mangia una lucertola, fiori
luminescenti, tutte cose che mi fanno pensare ad un mondo futuro o un mondo
semplicemente fantastico. Mi fa pensare al film
Don’t look up che ti ho raccontato
recentemente e che tu non hai visto. Pensavo a questo tipo di mondo che forse arriverà,
perché nel film succede che viene creata un app che è in grado di dirti come morirai
seguendo un algoritmo, tutto è praticamente gestito da un algoritmo. Un pò come quello
che già accade oggi, nei social e nel lavoro. Quest’app dice a una delle protagoniste del
film, che in quel caso è il presidente degli Stati Uniti d’Amercia, donna, che sarebbe morta
divorata da una creatura simile a un dinosauro, il Brontorac. Ovviamente la protagonista
non ci crede perchè sembra impossibile. E invece succede che il mondo finisce distrutto
da un meteorite e gli uomini (solo i più ricchi) riescono a trasferirsi con un volo spaziale su
un altro pianeta. Quando arrivano, sono nudi e si ritrovano in questa natura incontaminata
molto particolare, molto colorata con fiori e piante giganti. Poi si accorgono che è un
mondo cattivissimo, e loro diventano subito preda degli animali e lei viene davvero
divorata dal Brontorac, un dinosauro del luogo. Il tuo lavoro mi fa pensare a questa visone,
credo che vada oltre il ritratto da Instagram, se no non avrebbero senso le piante, la tigre
estinta, il cavallo, non avrebbe senso il contesto, la luminescenza…
Ma magari mi sbaglio.Tu cosa stai cercando? Cosa stai facendo?
Luigi: se lo sapessi te lo direi….ma non sono un veggente.
Anna: sicuramente stai parlando del genere umano. Ma forse le cose che facevi prima ti
riguardavano più intimamente…
Luigi: non credo, io come ho sempre detto detesto il genere umano. Quando tu restituisci
qualcosa con una fotografia o un video, tutto viene reso in qualche modo anonimo, è il
mezzo a prendere il sopravvento e anche i soggetti delle mie performance erano soggetti
storici, nulla di personale.
Anna: non credo, la performance è per chi la vive, per cui tu restituisci quei 10 minuiti, 2
ore o 20 secondi, restituisci quell'esperienza. Quello che arriva dopo è il prodotto, è una
testimonianza e anche un oggetto che può essere venduto. Qualcuno può comprare la
foto che non è la performance.
Luigi: è quello che ho fatto.
Anna: appunto non è quella la reale restituzione.
Luigi: è la famosa Air de Paris di Duchamp.
Anna: si infatti. Ma io stavo parlando di te, non di quello che restituisci. Trovo che
pittoricamente dietro certe cose ti nascondi, è con la pittura difficilmente si può mentire.
Luigi: e che avrei da nascondere?
Anna: questo non lo so, come io mi nascondevo dietro altre cose, cose che sappiamo di
saper fare, che possiamo realizzare meglio di altri, creare un immagine che difficilmente si
legge, ci sono cose molte ambigue. Nell’ambiguità ci si nasconde tanto. Alcuni ritratti che
tu hai qui in studio sembrano superficiali nella scelta del soggetto. Ma non è una critica, è
una difficoltà mia ad entrarci dentro. Questi più recenti forse mi incuriosiscono di più per
via della visione futuribile di cui ti parlavo prima. Alcuni lavori sono molto costruiti.
Luigi: e non dovrebbero?
Anna: non so cosa dovrebbero essere. Sei tu. Sei assolutamente tu e non io.
Luigi: probabilmente la cosa si dovrebbe esaurire nella pittura stessa, in quello spazio tra il
pittore e il modello, nel ritratto.
Anna: ma perché?
Luigi: perché nel ritratto c’è tutto, c’è proprio tutta la mia ricerca di sempre. Per cui si
esaurisce tutto, se io fossi nato nell’ 800 sarei stato un ritrattista non avrei trovato altre scappatoie.
Anna: cos’è una scappatoia? Spiegati meglio..
Luigi: io continuo a fare ritratti, come li facevo nei primi anni del 2000, ma anche nella
performance erano ritratti, trovi Napoleone, Gustavo Roll, Aleister Crowley. È il ritratto il
nodo della questione.
Come artista anche la propensione al ritratto può essere non solo la visione del modello,
ma la cosa che più rispecchia, in questo caso un anacronismo, un’atemporaneità, una
realtà parallela, un’essere anacoreti in un tempo che non lo richiede. Per cui queste figure
letteralmente non so cosa stiano facendo, sposo la frase di prima, non sono sicuro di
essere uno che sa cosa sta facendo, non so se parlo di un passato remoto o di un futuro
prossimo, su questo non mi pongo neanche il problema, non cerco di raccontare la storia
dell’uomo. Se queste siano scimmie o post scimmie o esseri innaturali non mi interessa….
Anche perché l’evoluzione è un’involuzione allo stesso tempo: i piedi che sono anche
mani è una sorta di dichiarazione di riprendersi in qualche modo il gesto del toccare con i
piedi. Sembra una cosa brutta, adesso i piedi sono rinchiusi nella scarpe, mentre in realtà
possono toccare come le mani, allo stesso modo. Tutta questa questione della tattilità, del
gesto è una visione differente di come può essere utilizzato un arto la cui estremità è
rinchiusa dentro un calzino e una scarpa.
Anna: quindi c’è qualcosa che ha a che fare con un evoluzione che riguarda l’uomo e che stai narrando.
Luigi: non so dirlo, non mi piace raccontare delle cose con la pittura, quello lo faccio già
con le performance…può essere un involuzione, qualcosa di ancestrale come il rivolgersi
a Dio attraverso la preghiera.
Anna: ma per esempio lei chi è?* E perché dovrebbe interessarmi vederla così, mentre mi
mostra le sue parti intime?
*riferimento a un piccolo quadro appeso nello studio di Luigi.
Luigi: probabilmente a te niente perché sei coinvolta su questioni di carattere non artistiche.
Anna: in quanto genere femminile o perché sono coinvolta con te?
Luigi: con me.
Anna: io dico soprattutto come genere femminile, a me che importa vedere una donna
così, a che serve oggi? Cerca di capire quello che sto dicendo, non è gelosia perché
sminuisci il discorso.
Luigi: manco vedere una capanna al centro dei giardini della Biennale serve a niente.
Anna: di sicuro, però lei lo fa per un motivo che la riguarda profondamente…
Luigi: forse…
Anna: si che la riguarda, ma a te? Cosa ti riguarda di lei?
Luigi: di lei come soggetto nulla…
Anna: non di lei, questo tipo di immagine ti riguarda?
Luigi: ovviamente si, l’ho fatta io ed è il frutto del mio sguardo, della mia storia personale
della pittura.
Anna: ma io ti sto chiedendo cosa vedi tu, cosa vedo io non importa…
Luigi Presicce, La bigiotteria della Terra, 2021, olio su tela, cm 30 x 25
Luigi: è come chiedere a Gauguin cosa ci trovasse di bello nelle tahitiane.
Anna: sei un Gauguin di Instagram?
Luigi: Instagram non esisterà per sempre e per quanto mi riguarda non esiste neanche
ora, è solo una finestra dalla quale affacciarsi per essere visto da un corteo intento a fare altro.
Anna: e neanche le donnine da ritrarre sull’isola di Tahiti esistono più forse, lui è andato lì
per scelta, ed è anche stato accusato malevolmente di perversione.
Luigi: certo, tutti quelli che non comprendono Balthus, non comprendono Gauguin, non
comprendono la pittura…non distinguono
L’origine du monde da una fica.
Anna: i tuoi soggetti sono quasi tutte donne, quella è la visione della donna per te? Qual’è il messaggio?
Luigi: un giorno me lo vieteranno? Arriverà quel giorno in cui mi diranno che devo essere donna per dipingere una donna?
Ma perché poi ci dovrebbe essere un messaggio?
Anna: perché c’è sempre, anche se non vuoi che ci sia. É il potere delle immagini. Io chiedo a te qual’è la tua necessità di farlo?
Luigi: nel libro di Julian Barnes
Con un occhio aperto, lui si chiede, c’è forse qualcuno che
si ecciterebbe davanti a una donna così dettagliatamente dipinta da Freud? Solo un
malato di mente potrebbe farlo. Questo dice, la pittura è un’altra cosa, non fa parte della
pornografia, nessuna censura colpisce un quadro perché un quadro è qualcosa di altro.
Anna: abbiamo visto che non è così, anche i quadri vengono censurati, è successo il caso
di Balthus nel 2017 al Metropolitan Museum di New York, oppure un episodio che tu
racconti perché lo hai visto di persona alla Whitney Biennale in cui gli afroamericani
facevano capannello di fronte al quadro di Dana Schultz che rappresentava un bambino
nero ucciso. Quindi non sto parlando di eccitazione davanti a una donna dipinta è chiaro
che c’è una potenza nelle immagini. Ti ho chiesto solo se serve questo tipo di
rappresentazione. Tu puoi rispondere che serve a te e basta.
Luigi: a me serve di sicuro, ma solo perché rappresento il mondo, quello irreale della
pittura, non la donna in quanto tale. Poi quegli episodi che racconti sono solo atti simbolici
di gente mentecatta che non ha altro da fare nella vita.
Anna: a Gauguin è servito per non essere più un pittore parigino di quegli anni. Stava
cercando altro e l’ha trovato.
Luigi: quello è un altro discorso, la ricerca del selvaggio non può essere ridotta a un bieco voyeurismo occidentale.
Anna: Guaguin è andato fino a Tahiti per crearsi un nuovo immaginario, e ha portato agli
occhi degli occidentali un mondo esotico, cose che non avevano mai visto. Un pò come il
tuo. Donne primitive, demoni e natura, tanta natura. Lontano dal mondo occidentale. E io
chiedo a te dove stai andando o dove sei andato per crearti questo immaginario?
Luigi: io sono partito dai santi. Dai santi pelosi, per cui tutta questa questione della peluria
non ha niente a che fare con il gender, ma è sempre una cosa che ha a che fare con gli
anacoreti, con tutti i santi pelosi. Questo fa di me un pittore non alla moda, ma che ci
posso fare se vengo dal “sud del sud dei santi”?
Anna: ma mi pare che nell’evoluzione pittorica queste sante/donne abbiano perso questa
peluria. Hanno il pelo solo sui genitali e i capelli. Se no avresti dovuto dipingere solo Santa Maria Egiziaca.
Luigi: si a un certo punto la visione si è evoluta e non mi interessa essere uguale a me
stesso. Aver travisato la figura in quel modo nel 2020 con la mostra
Homo Sapiens
Sapiens Sapiens aveva certamente un senso anche legato alla pandemia in corso. Le
figure che ho dipinto hanno veramente dei peli importanti, sono quasi scimmie, questi
quadri fanno pensare a molti che ci sia in mezzo una questione evolutiva, ma a me non
interessa. Mi interessa l’evoluzione dello spirito non della carne.
Anna: e perché non dipingi soggetti maschili?
Luigi: li dipingo
Anna: quasi mai, e quando lo fai sei tu, ritrai te stesso. In particolare c’è un quadro dove ci
siamo io e te. Non ci sono uomini nei tuoi quadri, uomini che ammiccano.
Luigi: ma fondamentalmente non ho interesse a vedere l’uomo che ammicca. Per me
l’uomo non ha la stessa attrazione che ha per Luis Fratino per esempio.
Anna: e allora cosa vuoi dirci che sei interessato al genere femminile come Fratino a quello maschile?
Luigi: sono etero, in qualche modo ha a che fare con la mia visione di bellezza.
Anna: a chi interessa la tua sessualità? come se fosse un segreto che ti piacciono le donne.
Luigi: e a me perché dovrebbero interessarmi le tue nature morte?
Anna: va bene e tu cosa vedi quando guardi un mio quadro?
Luigi: vedo una costruzione pittorica che a me piace. Ma non tanto da eccitarmi, perché
dovrei di fronte a un quadro.
Anna: ci si deve eccitare davanti a un quadro?
Luigi: non ho detto questo, ho detto che l’eccitarsi non fa parte dell’amare un quadro.
Anna: quindi dipingi le donne perché ti piacciono le donne, lo trovi speciale?
Luigi: chiediti pure a questo punto perché Les Damoiselles d’Avignon è al MOMA. La
bellezza, la poesia, sta nelle cose che uno vede e comprende da sempre. Rientra in un
visivo del vissuto, di quello che può essere la poesia legata all’essere figlio. Per me la
donna identifica il bello, la madre. Sono un uomo del sud e sono stato cresciuto come
unico maschio tra cinque bambine. Ho ricevuto un insegnamento anche a guardare un
certo tipo di famiglia, convenzionale, come quella del presepe, Gesù, Giuseppe e Maria,
alla fine anche questa è una visione cattolica. Non che è meglio o peggio di una famiglia
arcobaleno, si equivalgono, ma a ognuno il suo.
Anna: proprio qui ti volevo…che è una visone cattolica e anche molto maschile, per non dire maschilista.
Luigi: ma io sono maschio, non posso parlare di cose che non conosco.
Anna: tu pensi di poter rappresentare la donna perché sei cresciuto all’interno di un nucleo
formato da donne più che da uomini attraverso questa descrizione, come questo quadro qui*?
*riferimento a un quadro appeso in studio di Luigi
Luigi: questo quadro non è la rappresentazione dei miei legami familiari, certamente però
come molti pittori del passato vedo nella Madonna la sintesi del bello assoluto. Questa
donna però non cammina e non va a votare, non mangia e non parla, è pitturata. In sintesi
non è reale, rappresenta un ideale, qualcosa di iper umano.
In tutto ciò, non sono mai stato donna e non credo di incarnare nella mia pittura le
esigenze di genere. Come ho detto prima arriverà un giorno in cui ci sarà qualcuno che mi
dirà che non posso dipingere una donna perché non sono una donna. E questo il verso
che sta prendendo il perbenismo in cui tutti quanti stiamo strisciando.
Anna: il mio non è perbenismo, ti sto chiedendo perché questa ossessione. Ogni
immagine racchiude un messaggio. E i messaggi in questo momento storico sembrano
essere determinanti soprattuto sulla questione di donne, sessualità, maschilismo, gender,
ecc…tu vedi un evoluzione di queste figure?
Luigi: ma perché ci dovrebbe essere? Nel Mont Saint Victoire c’è stata un evoluzione?
Cézanne l’ha dipinto miliardi di volte, qualcuno gli ha mai detto basta, fermati, l’hai dipinto
abbastanza? Che vuol dire questo tuo accanimento?
Anna: cosa ti aspetti che succeda da parte del pubblico?
Mi metto nella condizione di immaginarmi spettatore, a me come pittrice non mi interessa
se c’è una donna nuda o un uomo nudo.
Luigi: io non mi creo questo tipo di problemi, non è un compito mio, non sono un sociologo
che devo calcolare la reazione di chi ho di fronte, un quadro è inanimato, ci puoi sputare sopra, lui lo accetta.
Anna Capolupo, Occhi d’oro occhi d’argento, cm 70x70, olio su tela, 2021
Terza conversazione
Anna: ritorniamo a parlare del senso del fare pittorico, quello dovrebbe essere il punto.
Non c’è altro.
Luigi: e non è abbastanza?
Anna: si lo è.
Luigi: io ho curato una mostra di Davide Serpetti e Piotr Hanzelewicz e a un certo punto gli
ho chiesto: “scegliete vicendevolmente l’opera peggiore che avete visto l’uno dell’altro e
acconsentite al fatto che quest’opera possa essere modificata o addirittura distrutta
dall’altro”. Quindi ho visto per la prima volta Piotr dipingere sopra una tela di 7 metri di
Davide, l’ha modificata enormemente e in effetti è diventata più bella. Per lui era un’opera
orrenda e per la prima volta Piotr si è messo a dipingere su questa tela gigante che
Davide si è fatto spedire da casa sua, era la tela della sua laurea. Lo stesso ha fatto
Davide con Piotr che ha preso un’opera strana, una specie di urna dove ci si mettevano
dei messaggi e l’ha reinventata…
qual’è quindi, delle mie opere, quella che ti fa cagare di più?
Anna: stiamo parlando di quadri immagino?
Luigi: no in generale. In questo caso però non avrai l’opportunità di dipingerci sopra o distruggerla.
Anna: che peccato…
Luigi: ma non è un gioco, io ero l’allenatore in quella mostra e loro si sono affidati a me
fino alla fine, è stata certamente la cosa più dura che gli ho visto fare.
Anna: e cosa succedeva?
Luigi: avevo concepito la curatela della mostra come una serie di esercizi da far svolgere
ai due artisti. Prima di tutto, è accaduto che, uno dei tuoi migliori amici ti dice che una tua
opera fa cagare e tu ti fidi tanto di questa persona che gli affidi il tuo lavoro e lui te lo distrugge.
Anna: è una cosa costruttiva?
Luigi: Piotr avrebbe potuto dargli fuoco, ma non l’ha fatto, ha deciso di mettersi a dipingere
perché non l’aveva mai fatto in vita sua e voleva dimostrare proprio questo a Davide, che
se anche l’avesse dipinta con i piedi non avrebbe fatto altro che migliorarla.
Anna: non so quale sia la tua opera più brutta, devo sfogliare con la mente, ne fai talmente tante…
Luigi: brutte?
Anna: no, di quantità….sicuramente “la donna con il ventaglio”, prendo un’opera degli
ultimi anni, non vado molto indietro perché non saprei. Mi riferisco al quadro che hai
esposto a Palermo e a Bagnacavallo, la donna seduta sul ramo. Non è un quadro che mi
piace, lo trovo brutto.
Luigi: io l’ho riguardata in questi giorni perché la porterò in fiera.
Sinceramente non è male. A Davide Ferri piaceva e ho bisogno anche di cose grandi,
quella è grande.
Anna: a me non piace.
Luigi: perchè?
Anna: non lo so cos’è esattamente che non mi piace, ma forse è la figura di lei che mi
inquieta. Non la vorrei mai in casa per esempio.
Luigi: quindi se diventassi mai la mia erede la nasconderesti?
Anna: potrei venderla o regalarla e lasciare che qualcuno la apprezzi più di me.
Luigi: c’è una scena del film di Schnabel su Van Gogh,
At eternity’s gate, quella del
funerale alla fine, dove i partecipanti alle esequie si portano via i quadri come ricordo, ma
con un certo disgusto, se le prendono, ma con disgusto.
Anna: si mi ricordo quella scena….ma io non sto dicendo che è un quadro venuto male è
un gusto estetico tutto mio. Poi se potessi dare fuoco a dei lavori tuoi lo farei benissimo, lo
sai…
Luigi: La gelosia non conta.
Anna: si, ma lo stai chiedendo a me. In questo caso non sono una qualsiasi.
Tu ora devi dirmi qual’è il mio quadro più brutto?
Luigi: può essere anche solo univoca la cosa.
Anna: se ne hai uno in mente dillo.
Luigi: non ricordo cose particolarmente brutte, forse della prima fase dei paesaggi, non
sono interessato all’argomento quindi sceglierei fra quelli a caso. Uno qualsiasi tanto sono
più o meno tutti uguali. Però ecco a me infierire non mi piace tanto, perché era un altro
periodo, probabilmente anch’io ho avuto dei periodi, meno fortunati o di passaggio, anche
questo potrebbe essere un periodo di passaggio non è detto che non lo sia. I quadri con i
paesaggi innevati, per esempio non sono tanto riusciti, erano belle le carte, i piccoli
disegni, più di 700, però i quadri erano davvero meno incisivi.
Penso a Lauretta* che riesce a fare un’antologica con tutti i pezzi di questi anni, che sono
comunque tanti, ma alla fine lo riconosci, lo sai che è più o meno lui, cambiano i codici,
cioè smette di dipingere in un modo e dipinge in un altro modo, però poi i soggetti sono in
una rosa ristretta, tutto quanto è sempre risolto in un modo che lo riconosci. Sia nelle
bagnati che nelle processioni trovi una relazione anche se poi uno è fatto con l’oro e
l’inchiostro e l’altro è fatto in maniera fotografica. Quando vedi la mostra tutto sommato c’è
una coerenza. Se dovessi farla io un’antologica e tirassi fuori i primi ritratti dei pagliacci, le
prime figure quelle sfocate, i maghi, i paesaggi con la neve, queste ultime cose,
sembrerebbero tutti pittori diversi.
*Francesco Lauretta, pittore amico di entrambi.
Anna: dalle bagnanti al cibo io non vedo molti legami. Noi che lo sconosciamo possiamo
sapere forse cosa è coerente, ma chi lo guarda per la prima volta e per esempio vede solo
la serie delle bagnanti non credo che possa immaginare che lui sia lo stesso pittore delle
processioni o del cibo. Francesco ha una personalità complessa, ma coerenza non credo
sia la parola giusta.
Luigi: si, ma io sembro proprio un altro. Lui ha dei codici che semplicemente vanno
identificati per ogni serie di lavori. Può dipingere una processione adesso dopo 25 anni e
farla tale e quale, mentre io non so neanche come ho fatto a farli i ritratti dei primi del
2000.
Anna: certamente tu non hai quei codici, perché domani non dipingeresti mai un
paesaggio con la neve. Così come i maghi o i pagliacci, vivi delle fasi che nascono e
finiscono, cicli che si chiudono.
Luigi: mi sento sempre come uno che sta imparando per cui mi metto davanti alla tela
bianca e non mi ricordo mai cosa ho fatto nella tela precedente. Questo mi fa tenere molte
cose, anche vecchie, esposte in studio.
Anna: io non potrei lavorare con tutti i miei lavori esposti in studio.
Luigi: io li tengo lì e mi dico, sono riuscito a fare bene questo occhio, la prossima volta lo
farò in questo modo, invece poi non lo guardo neanche e lo faccio in un modo
completamente differente. Vado all’arrembaggio.
Anna: sei sicuro di andare all’arrembaggio? Io non ci credo molto…
Luigi: oggi per esempio ho fatto una cosa completamente materica che non c’entra niente
con tutto il resto. Per cui, sul tavolo ci sono quei colori, sempre gli stessi, la tela di quel
formato specifico e poi quando vado a disegnare e dipingere, il risultato è completamente diverso da prima.
Anna: per me non funziona così, non potrei pensare oggi di fare una cosa differente da
quella di ieri, come per esempio un quadro materico. Sarebbe come affrontare un
ennesimo cambiamento drastico.
Luigi: io devo affrontare anche una fase di cambiamento continua, che nell’evoluzione
spero si standardizzi..
Anna: probabilmente succederà presto, con la produzione che hai. Io non trovo la
necessità di produrre così tanti lavori, cosa ce ne facciamo? Non ho questo rapporto
bulimico con la pittura.
Luigi: io sto male se non dipingo.
Anna: anch’io sto male se passa tanto tempo e non dipingo, però mi rendo conto anche
che non ho tutti i giorni la necessità di farlo. Forse perchè il mezzo non è sempre davvero
importante al fine. Quindi spesso utilizzo anche altre pratiche, cucire, scolpire, stampare ecc…
Luigi: ma io non sto parlando di mezzo. E che io se mi metto a leggere come oggi, e gli
occhi mi sanguinano, allora mi dico, sfrutta questo momento in cui ancora riesci a vedere
per fare un quadro. Almeno lasci una tua traccia.
Anna: bisogna per forza lasciare una traccia?… il mondo è pieno di cose, è un’ansia che
abbiamo noi umani quella di dover lasciare qualcosa..
Luigi Presicce, Le grandi barbe di Madame Blavatsky, 2022, olio su tela, cm 30 x 25
Luigi: magari ci sono anche tante opere che sono sbagliate…
Anna: ma chi l’ha detto che sono sbagliate?
Luigi: tu quante opere hai distrutto?
Anna: tante, a me non è rimasto quasi niente delle opere fatte in gioventù, le ho distrutte
tutte. Ma che importa? Siamo in milioni a dipingere e non mi interessa il primato.
Luigi: adesso a quasi 50 anni ne distruggo di meno, a parte certi momenti in cui mi viene
la frenesia si liberarmi delle cose per fare spazio.
Anna: guarda Francesco ci lavora per settimane, e poi le distrugge e di anni ne ha quasi
60….ma pensi che sia davvero necessario lasciare delle cose? Te l’ho già detto siamo
pieni di cose, siamo più di quanto la terra può contenere.
Luigi: quindi non dobbiamo dipingere più?
Anna: non ho detto questo, ho detto che se anche facciamo un quadro in meno il mondo sopravviverà…
Luigi: ma io ti sto dicendo che non so fino a quando riuscirò a vedere…e poi non mi
interessa cosa fanno gli altri, Cartesio lo diceva già diversi secoli or sono: “non voglio
nemmeno sapere se è esistito un altro uomo prima di me”
Anna: ti sei fissato che come Monet diventerai ceco…vai da un oculista per favore così ti
fai fare degli occhiali solo per dipingere e per leggere. Ieri Mihaela* mi ha detto che ha
fatto il test della genetica e ti dicono con quale malattia è possibile che tu muoia. Lei mi ha
detto che la cosa più grave che le è uscita è la cataratta. Ma non credo morirai di cataratta
le ho risposto. Non hai mai pensato che forse sei bravo a fare anche altre cose?
*Mihaela Vasilache amica di Anna.
Luigi: e non le ho fatte? Sculture, performance, ho due magazzini pieni di cose.
Anna: ma cose che non sono identificate come arte?
Luigi: tipo il giardiniere?
Anna: guarda e che è bello fare il giardiniere, sai quante cose potresti conoscere? E poi
cos’è arte e cosa non lo è oggi? conoscere tutte le piante non è forse un’arte? Se io
domani decido che per una settimana guardo film, e che sono per me fonte di ispirazione
per il mio lavoro e mi faranno migliorare, lo faccio e non importa se non dipingo per una
settimana. Perché non voglio ripetermi, voglio capire le cose.
Luigi: la questione è che tu così stai facendo una cosa che utilizzi come svago, per poi
canalizzarla per fare sempre la stessa cosa di prima, cioè fare dei quadri pensando a quei
film…quindi non stai dicendo di fare il giardiniere.
Anna: ma anche se andassi a fare il giardiniere magari finirei per dipingere, lo dico sempre
che la pittura è mentale. Ci posso pensare per settimane e non ho la necessità di
dipingere, è nella testa. Anzi a volte ho molta più paura di mettermi a dipingere, perché
sicuramente non sarò in grado di realizzare ciò che ho in testa. Ma per me non è una gara.
Luigi: nessuno sta facendo una gara. Una gara con chi poi?
Anna: con te stesso
Luigi: e non sei sempre te stesso a metterti in gioco?
Anna: forse abbiamo un approccio diverso. A me spesso il quadro non basta. Tu l’hai già
fatto probabilmente e capisci cosa sto dicendo.
Luigi: Io ho fatto solo performance per diversi anni senza toccare mai un pennello e ci è
mancato pochissimo che mi facessi monaco, avevo preso la strada del Monte Athos.
Anna: non voglio essere così drastica, perché smettere di fare qualcosa che ti piace fare e
che ti viene bene? Lo trovo limitante.
Luigi: la performance non la puoi dipingere, la devi fare, devi mettere insieme tutta una
serie di persone competenti, farti dare dei soldi e pagarli tutti. Se questa cosa non avviene
tu non la puoi neanche pensare. Capisci qual’è la differenza rispetto a quando ti metti davanti a un quadro?
Anna: in realtà tu ci pensi, eccomi se ci pensi. Perché ti piace farle, sai già come potrebbe
essere la tua prossima performance, so che è già nella tua testa. Non puoi realizzarla, ma
in un certo senso già esiste.
Luigi: e che dovrei fare? Stare tutto il giorno a guardare il soffitto finché non arriva un
matto che mi dice ecco i soldi. E se non arriva?
Anna: potresti cercarlo tu, di certo con la forza del pensiero non convinci nessuno.
Luigi: io non ho mai cercato nessuno.
Anna: non c’è niente di male a pensare che ci sia qualcuno adatto e interessato a
finanziarti. Di certo nessuno viene a bussarti alla porta…sembra che le cose da quando si
hanno 20 anni ai 50 non cambino molto.
Luigi: non mi piace fare il venditore porta a porta. Quando ne avrai 50 tu vedremo.
Anna: sai che non è la stessa cosa, noi non abbiamo la stessa carriera.
Luigi: l’altro ieri ho preso in libreria il libro che è uscito ora de
Le Storie della Vera Croce, la
mostra che ho fatto al Mattatoio di Roma. Questo è un passo importante ed è un punto
fondamentale della mia esistenza. Io non ho più bisogno di ribadire quello che so fare e
ora un libro lo dimostra perfettamente. Si è ragazzini una volta sola, poi dovrebbe
cambiare la dinamica del farsi conoscere, soprattutto se hai fatto personali in diversi musei
in Italia e all’estero. Non ho l’esigenza di fare mostre, lo dimostra che ho fatto solo 3
personali in 3 gallerie diverse in 15 anni e non lavoro più con nessuna di queste.
Credo di potermi dedicare a me stesso ora perché ho fatto qualcosa di significativo.
Non ho il fiato sul collo e non ce l’ho mai avuto. Non avendo mai lavorato con gallerie serie
sono sempre stato così, ho sempre fatto quello che mi sembrava giusto. Giusto per me e
per il rispetto del mio lavoro. Per cui anche adesso il mio dedicarmi alla pittura é
riprendere in mano una serenità che sento di meritarmi.
Anna: e sei sereno? Perché l’ultima cosa che sembri è sereno quando si parla di pittura.
Luigi: non sono sereno perché magari un quadro non mi viene come vorrei, non perchè
non si vende o non va in una mostra.
Anna: ma se sappiamo benissimo che quando non si vende è un problema per tutti.
Luigi: io non ho problemi a dire questo non si vende, perché non li voglio vendere.
Anna: infatti fai male…penso che dovresti vendere, come fanno a girare i quadri? E se ti
tieni sempre i più belli ha senso?
Luigi: io ho sempre fatto così…ho i quadri più belli da quando ho iniziato a dipingere.
Anna: e poi restano a casa tua..
Luigi: sono miei e non vanno al macero. Tu magari vendi un quadro che ti rappresenta più
di tutti gli altri e quel quadro finisce in un mercatino. Finché ce l’hai tu, sai che è li, poi
quando muori ciao ciao. Da quando faccio mostre, il quadro più bello di ogni mostra non
l’ho mai messo in vendita.
Anna: ma decidi tu qual’è il quadro più bello?
Luigi: ovviamente chi altri?
Anna: sto sbadigliando….sono le 2 di notte, possiamo andare a dormire? Chiudiamola qui per ora.
Anna Capolupo, Pavone, cm 60x100, olio su carta,2022
Quarta registrazione
Luigi: passiamo oltre. In questa città pare che sia stato detto che Jenny Saville sia la più
grande pittrice vivente.
Anna: e che vuoi che ti dica io? Per me non lo è, assolutamente no, però ha dato un
grande contributo alla pittura.
Luigi: quando?
Anna: nel primo periodo del suo successo fine anni 90 inizi 2000 se non ricordo male, è
stata forte ed era una che si faceva notare in mezzo a tanti uomini.
Luigi: che copiava gli uomini però.
Anna: era una discepola di Freud, è una figlia di quel genere di pittura. Nel video esposto
al Museo del Novecento, in una breve intervista, dice che ha iniziato a fare dei quadri molti
grandi perché doveva farsi vedere. Voleva che la notassero e ha giustamente pensato alle
dimensioni. Ha fatto bene, perché ha funzionato. Non è una cosa da poco perché i quadri
grandi non sono facili da gestire, grandi in quel modo, devi saper domare la pittura, la
superficie. Comunque è una pittura forte, ha sicuramente ottenuto ciò che voleva.
Luigi: poi però ha fatto poco.
Anna: al Museo del Novecento c’erano tante opere anche del 2018/19, che non mi sono
piaciute, sembra quasi tornare indietro, è molto più fotografica, più pop, brillantini…troppo
accademica e più accademica di prima. I tempi cambiano, prima era interessante la sua
ricerca, queste donne enormi, un lavoro sul corpo come molti degli anni 90. Oggi per me
non è più interessante quello che sta facendo. Però portare i miei alunni del Liceo
Artistico, di 18/19 anni a vedere Jenny Saville è stato importante, mi auguro che per loro
abbia fatto la differenza, perché anche tu o io avremmo voluto vederla a 18 anni mentre
frequentavamo il liceo.
Luigi: io ho visto una sua grande mostra al Macro quando dipingevo i pagliacci e c’erano
tutti i maiali, le cose che aveva fatto a Palermo, quando aveva lo studio alla Vucciria.
Comunque mi ha interessato in qualche modo. Però 20 anni fa. Adesso parlare della più
grande pittrice vivente mi sembra eccessivo…chi è la più grande pittrice vivente per te?
Anna: non so, forse non c’è una che vince su tutte.
Luigi: io ce l’ho un nome per esempio…
Anna: hai un nome di una pittrice o un pittore vivente?
Luigi: si, per me è David Hockney.
Anna: concordo, però pensavo ti riferissi alle donne.
Luigi: lui è una persona che si rinnova continuamente, e in questo rinnovarsi genera delle
riflessioni, genera nuove visioni, anche tradisce le aspettative, pur avendo più di 80 anni,
ma nel senso buono non nel senso brutto. Perché se pensi a tutto quello che fa con l’iPad,
è un uomo anziano…ma considera anche il libro che ha scritto diversi anni fa sulla camera
ottica
Il segreto svelato (titolo in italiano), si capisce che è un artista che non sta mai
fermo, ha il cervello in movimento!
Anna: il lavoro con l’iPad sono ormai diversi anni che l’ho utilizza, ho visto una sua mostra
a Londra solo di lavori fatti così, straordinari!
Luigi: ma fa quelle cose li e si mette in gioco…mentre un ragazzino fa fatica a tirare fuori
un linguaggio che sia uno.
Anna: può fare tutto quello che vuole, non ha niente da perdere…
Luigi: ma non sembra, sembra che abbia ancora 100 anni davanti a se, capisci? Non è stantio…
Anna: certo, lo capisco.
Luigi: è facile che tra due anni arrivi da Pace gallery e ti trovi delle cose completamente
diverse da tutto quello che ha fatto fin ora, come l’ultima mostra che ho visto.
Anna: si forse è lui il più grande pittore vivente.
Luigi: non può essere Kiefer per me.
Anna: Lo dici solo perché non ti piace quello che fa e non perché non può esserlo.
Luigi: secondo me la sua non è più pittura a un certo punto.
Luigi Presicce, Ragazza con tilacino, 2022, olio su tela, cm 30 x 25
Anna: entrambi ormai sono grandi pittori e sono gli assistenti a fare i quadri.
Luigi: si ma li assistenti di Hockney non gli fanno i quadri…gli preparano le tele. Lui si
mette e dipinge come quando aveva vent’anni.
Anna: questo non lo sai con certezza. Sicuramente è uno che ha avuto una costanza nel
tempo e che è riuscito a rinnovarsi, ce ne sono pochi come lui. Prima che morisse per me
c’era solo Louise Bourgeois, che era in grado di spostarsi su tante cose ed essere forte,
disegnare, dipingere, fare scultura e installazione. Ora non so chi potrebbe prendere il suo posto.
Non vedo l’ora di vedere Paula Rego a Venezia e Marlene Dumas (che ho visto già in
tante occasioni ovviamente). Queste sono capisaldi, sono grandi donne che hanno fatto la
storia della pittura.
Luigi: l’hanno fatto con semplicità e naturalezza senza inventarsi stratagemmi perché era
un’altra epoca, e continuano a farlo nello stesso modo. Io l’ho vista la sala di Paula Rego
alla Biennale ed è piena di pastelli accademici, veramente accademici, però ti rendi conto
che c’è una maestria subdola (quasi bambinesca) e stupefacente.
Anna: in lei abbiamo visto il fare pittorico per necessità esistenziale. Per lei è importante
questo fare esistenziale, anche la nostra esistenza è molto più complessa di quello che
diamo a vedere. Non amo i lavori che restano in superficie e di conseguenza gli artisti.
Paula Rego ha fatto non so quanti quadri sugli aborti, in un paese dove non potevi
abortire, lo facevi di nascosto, illegalmente e le donne morivano. Non è un tema qualsiasi.
Sai benissimo che non puoi mentire con la pittura. L’abbiamo vissuto sulla nostra pelle.
Non ci si prende in giro soprattutto se a guardare è un altro pittore.
Luigi: ma tu oggi puoi guardare la carriera di una persona che ha più di 80 anni e che è
arrivata agli sgoccioli delle sue capacità e forse non riesce più a tenere il gessetto in
mano*. Io la guardo da almeno 25 anni perché ne era ammaliato Antonio Colombo, sono
sicuro che da anni ormai non ha più dipinto aborti, ma immagini più serene, più tranquille, più “superficiali”.
*Mentre editiamo questa conversazione Paula Rego muore all’età di 87 anni.
Anna: non si tratta di superficialità nel suo caso, cosa è per te superficiale?
Luigi: solo la visione è superficiale, il fare non lo è quasi mai, anche quando entra in ballo
una volontà come quella del depensamento e tutta una serie di questioni che mi appartengono.
Anna: quali questioni?
Luigi: se uno studia la figura, la usa per il solo scopo di realizzare una figura come farebbe
appunto un’apprendista che dipinge o disegna per imparare.
Anna: questo è quello che vuoi fare tu?
Luigi: probabilmente c’è un’intenzione ed è quella di non apparire necessariamente
celebrale. All’inizio della mia carriera dicevano che ero un metallaro satanista, poi
qualcun’altro che ero troppo cattolico e poi ancora che ero troppo complicato ed
ermetico…ma alla fine di tutto trovi sempre una quadratura, vedi san Giuseppe da
Copertino, un santo completamente ignorante che volava in preda all’estasi, ma rompeva
tutto quello che gli capitava tra le mani perché incapace. Un passo di Carmelo Bene su di
lui dice: “Se a frate Asino avessero regalato una mela metà verde e metà rossa, per metà
avvelenata, lui che aveva le mani di burro, l’avrebbe perduta di mano”. Se non arrivi al
depensamento non puoi partire dal principio, dalla base di un nuovo linguaggio e da una
struttura mentale semplice che semplifica anziché moltiplicare inutilmente. Quando io
guardo Borremans per esempio, per quanto mi abbia affascinato all’inizio, adesso lo trovo
stucchevole e pesante. Quando si presenta con l’immagine di un cavallo, un semplice
cavallo, allora li vince! Un ritratto normale, li è vincente! Quando ci mette sovrastrutture,
tutto diventa pesante. Allora dove sta la questione? Tu sai fare un ritratto, sai fare una
figura, sei arrivato a concepire una figura? Perché la pittura, in ambito figurativo, è arrivare
a concepire una figura. Se Guston a un certo punto lascia la pittura astratta, lascia New
York, la Scuola di New York e tutta una scena di pittori astratti iper celebrali, si trasferisce
in campagna a Woodstock e inizia a fare queste figure fumettose, li c’è uno scarto
importante. È stato sputato in faccia per questo, fino alla fine dei suoi giorni. Adesso
apprezziamo Guston, Guston qui, Guston la, è sulla bocca di tutti. Però all’epoca lui
scappava letteralmente, faceva le mostre e poi partiva per l’Italia per non leggere le
recensioni. Soffriva di tutte le cose infamanti che scrivevano su di lui. La gente gli sputava
addosso perché lui stava facendo delle figure e secondo l’intellighenzia dell’epoca non le
poteva fare, perché apparteneva alla scuola di New York, era astratto, era celebrale.
Invece è proprio nella figura che ha trovato la sua strada, in quel genere di figura tutta sua,
unica ancora oggi a quarant’anni dalla sua morte. É tutto scritto su
Night studio di Musa
Mayer che è la figlia.
Anna: però anche lui inizia raccontando la sua vita.
Luigi: si, lui che fuma, che guarda le lancette dell’orologio, che dorme.
Anna: non solo lui che fuma ma tantissime cose. Lui ebreo, lo sappiamo bene qual’è la
storia. Come sai è stata annullata la sua più grande retrospettiva due anni fa pensando
che non fosse il momento più adatto per esporlo e sua figlia, Musa Mayer per l’appunto,
ha risposto dicendo che si sbagliavano, erano cazzate, quella era la sua vita esposta, di
certo non un fanatico del Klu Klux Klan.
Luigi: è stato perseguitato, preso in giro dalla società americana per quelle cose, come se
non avesse il diritto di mostrare un lato suo e dell’America xenofoba.
Anna: ma è quello che ha fatto anche lui, prendere in giro la società americana con argomenti forti.
Luigi: c’è un libro con centinaia di disegni del presidente Nixon, si chiama
Nixon Drawing:
1971 & 1975. Ha creato una macchietta del presidente, ne ha fatti tantissimi. Una persona
che prima faceva quadri completamente astratti, che avevano a che fare con l’invisibile, a
un certo punto si mette a fare caricature del presidente. Questo lo dobbiamo considerare leggero?
Anna: era però il presidente degli Stati Uniti d’America non uno qualsiasi.
Luigi: vabbè non c’è verso. Non ce ne usciamo da qui, sulla questione della “leggerezza” ci impantaniamo.
Anna Capolupo, Signorina antica, cm 40x40, olio su tela, 2021.
Quinta registrazione
Anna: tu parli spesso del rapporto tra il pittore e la modella che è una cosa molto
ottocentesca. Poi invece i tuoi soggetti vengono da Instagram, dove ne trovi milioni. Non
vedo una relazione fra le cose, cosa fanno queste tue modelle?
Luigi: niente, è lì il bello, niente!
Anna: già fanno niente lì dove stanno.
Luigi: ma quella è la loro vita alla quale non sono interessato, decidono sole di mettersi in
mostra in quella maniera, in un quadro invece ci sono altre priorità che non sono i like o
trovarsi il fidanzato o l’agenzia. Apparire in un quadro, come soggetto, è semplicemente
essere nella pittura, no racconto, no vita vera.
Anna: ma io non metto in dubbio questa cosa.
Luigi: poi non mi metto a copiare, non mi frega niente del contesto, di come abbiano
concepito di farsi guardare, di che abiti mettono o non mettono. Nel dipingere spoglio tutto.
Spoglio l’abitat, spoglio i vestiti, spoglio le intenzioni il testo e il sottotesto. Rimane una
figura, decelebrata, depensata, ridotta (come direbbe Ezechiele Leandro).
Anna: Ci sono alcuni tuoi soggetti dove ancora è evidente questa vetrina, gli altri quelli che
sono stati spogliati di tutto come esseri glabri, abitanti di non so quale mondo invece mi
riportano a una serie di immagini che vanno da Bosch a esseri inventati nei quadri
surrealisti come in quelli di Leonora Carrington fra animale e uomo..
Luigi: se non ti piace quello che faccio non dovresti neanche frequentarmi.
Anna: ma cosa c’entra?
Luigi: c’entra eccome!
Anna: non credo proprio. Non può piacermi tutto quello che fai per forza, non sono qui per
adularti e lo stesso vale per te. Penso che almeno noi possiamo permetterci di dirci con
sincerità quali cose reputiamo meno forti o interessanti del nostro lavoro.
Luigi: ritorni a quel concetto per cui bisogna avere la trombetta nel culo per essere
attraenti. Invece non è così.
Anna: non sto dicendo questo, dico che in alcuni c’è un’invenzione e un’immaginario
bizzarro e li trovo meno carichi di vanità o pomposità. Che però sono coerenti con te, con il tuo essere.
Luigi: e perché non andrebbe bene?
Anna: non ho mai detto che non va bene.
Luigi: la pittura è la nostra vita, non si può escludere da quello che siamo e io trovo nella
pittura figurativa il riassunto del tutto.
Anna: abbiamo già detto che questa figura può essere fatta in tanti modi. Le soluzione che
ho trovato io fino ad ora delle mie figure, riguardandole, sono un fallimento, non sono
minimamente riuscite. Oggi non le ripeterei e di fatti evito quasi completamente di
dipingere un corpo intero. Perché penso che quei codici di cui parli tu sono fondamentali.
Luigi: ognuno fa a suo modo, come sa fare, come ha imparato a fare, per questo riconosci
subito un volto del Rosso Fiorentino o del Correggio.
Anna: ma ciò che vediamo noi da dentro il processo di creazione di questi codici, sono
sicura che da fuori non si capisce. Oppure si? perché la scelta dei soggetti a volte risulta
più forte dei codici stessi?
Luigi: io credo assolutamente di no, dipingerei lo stesso anche se non avessimo telefoni
dai quali attingere immagini. Oggi per esempio ho fatto due figure e sono venute
completamente diverse dall’immagine di partenza.
Anna: diverse?
Luigi: si, da quello che stavo guardando. Non mi interessa molto l’immagine, la fotografia
amatoriale, mi interessano solo la posa e alcune volte le ombre. Poi non mi interessa
niente altro. Non mi interessa la vetrina, socialmente parlando, io mi occupo di pittura:
come si risolve un corpo, come si risolvono le mani, i piedi, i capelli, i nasi, gli occhi, a me
interessa quello, come riesco a risolvere le cose con la pittura. È un linguaggio
incomprensibile ai più, quando hai finito sembra che ti parli, ma siamo ai livelli di “figlio muto, la mamma lo capisce”.
Luigi Presicce, Serpente adorato, 2021, olio su tela, cm 30 x 25
Anna: un volto è un volto anche se fotografi un tuo amico però.
Luigi: ho già fatto questo tipo di esperienza nei primi anni del 2000 con i pagliacci, ma tutto
il processo, trovare il modello, truccarlo, fotografarlo e solo dopo mettersi a dipingere
qualcosa che nella fotografia c’era già, mi ha fatto diminuire la piacevolezza del realizzare
un quadro perché sapevo già cosa sarebbe venuto fuori.
Una cosa invece che riflettevo con Angel* è anche la questione del diorama, dove gli
animali impagliati stanno fermi in un’ambiente costruito e fanno finta di muoversi come per
esempio azzannare la preda. Forse potrei considerare anche le mie performance come
diorami, in fondo lo sono.
I selfie sono i diorami di quest’epoca. Una cosa molto complessa a livello sociologico. Ti
ho già fatto l’esempio della modella di Matisse, lei non posava nel modo in cui oggi una
ragazza che vuole farsi guardare si mette allo specchio. Se dovessimo fare un diorama di
una modella dipinta da Matisse e di una che si mette allo specchio a farsi una foto
sarebbe completamente diverso. Il diorama è una macchina del tempo è qualcosa che
racchiude la storia dello sguardo. Questo è importate, come i colori che uso, anche questi
fanno parte della nostra epoca come le pose delle ragazze allo specchio… I colori fluo non
c’erano prima degli anni 80. Adesso ci sono e li usi. Prima non li potevi usare perché non
esistevano. Allo stesso modo prima c’erano altri colori che adesso non ci sono più. Tutto
rispecchia l’epoca in cui uno vive. Già nel trasformare un diorama casalingo in un dipinto
c’è un passaggio infinito in mezzo, ci sono miliardi di cose che vanno considerate, non è
solo una traduzione da un mezzo all’altro, non è la pittura fotografica di una volta,
l’iperrealismo, non me ne frega una mazza della persona reale che si mostra, chi sia e cosa faccia.
*Angel Moya Garcia, curatore.
Anna: ma in un diorama dovrebbero esserci molti più elementi se questo dovesse darci
una chiave di lettura della storia.
Luigi: se lo facessi tu ci sarebbero molte più cose. Il mio no, è scarno, si riduce all’osso.
Non ci metto la stanzetta, i mobili, il telefono e lo specchio, a me interessa la posa, la figura.
Anna: Qual’è però oggi la figura, mi chiedo se ci sono ancora dei canoni, che cos’è la
bellezza oggi? Quella delle passerelle di Gucci? la diversità, il gender, il trans, siamo in
grado di riscriverli questi canoni.
Luigi: non penso che Gucci abbia nessun primato a riguardo, sono concetti vecchi come il
cucco, ma intanto la Russia continua a sfornare centinaia di ragazzine smagrite fatte con
lo stampino.
Anna: non voglio parlare di Gucci, ma di un concetto di bellezza che cambia…per fortuna
non esiste più uno standard di donna e di uomo.
Luigi: quelle che scelgo sono persone anonime, semplicemente persone anonime che si
mettono in vetrina e mettendosi lì si rendono disponibili a prescindere dalla loro taglia.
Jenny Saville dipingeva donne “in carne” perché lei stessa era così e doveva esorcizzare probabilmente.
Se io potessi permettermi una modella, una persona da tenere lì ferma, forse sarebbe
ancora meglio, ma comunque sceglierei in base al mio gusto, sceglierei una persona che
mi piace, non una che mi ripugna…non avrei bisogno delle immagini, la metterei nella
posa che voglio io e la dipingerei tutti i giorni, come i tableau vivant con le sedute di
disegno che ho fatto a Roma, ma solo per me stesso.
Anna: quelle sedute fatte al Mattatoio erano molto affascinanti, ma questo discorso del
pittore e la modella ha per me un impostazione troppo ottocentesca. E mi riporta
automaticamente all’Accademia quindi ho una sensazione di repulsione. Sento l’odore
stantio delle aule dell’Accademia di Firenze, i primi anni dovevamo dipingere questa
modella agghindata come una pastorella di un presepe dal nostro insegnante di Pittura.
Era imbarazzante. Quando poi gli si dava invece libera scelta sulle pose, lei si spogliava
ed era come stare dentro un quadro di Schiele, era snodata e provocante, anche quello a
volte era imbarazzante…insomma non ho buoni ricordi e forse neanche mi interessava.
L’Accademia era un ambiente decadente.
Anna Capolupo, Un animale domestico, m 4,50 x 2,50 m, olio su carta, 2021.
Sesta registrazione
Luigi: l’altro giorno mi rimproveravi di fare troppi quadri rispetto a quanti poi te ne riescono
a piacere. Il dilemma vero non è accontentarti, ma accettare il fatto che forse solo
un’opera rimarrà di quello che abbiamo fatto. Una sola per la quale verrai ricordato…
sempre nella speranza che riuscirai a farla.
Anna: questo pensiero mi avvilisce…
Luigi: quando tu sfogli un libro di storia dell’arte e trovi Goya trovi un quadro solo, anche
se ne ha fatti centinaia. Una sola opera rimane sui libri di storia, ma forse oggi in rete c’è
più spazio, vedi per esempio quella pagina Instagram che si chiama vangoghthelife, ogni
giorno pubblicano un quadro nuovo: il Van Gogh del giorno. Allora vedi cose che non hai
mai visto sui libri, nelle mostre, nei musei…sembra che dipingesse di continuo! Eppure la
sua parabola di pittore è stata abbastanza breve in fondo, solo una decina d’anni e 900 quadri circa.
Anna: chissà che non siano tutti falsi quei Van Gogh! Non dobbiamo per forza avere una
produzione come la sua o come quella di Picasso.
Luigi: ma neanche come quelli che fanno un quadro all’anno e hanno la fila fuori dalla
porta per chi lo deve comprare. Io se non dipingo ogni giorno mi dimentico come si fa, non
riuscirei a stare dietro a queste strategie di mercato.
Anna: non dico così…però.
Luigi: quelle cose sono proprio degli anni novanta, quello che ha fatto fallire il sistema
italiano. La mancanza di disponibilità, non mettersi in gioco, fare le cose solamente per le
grandi mostre o per quei collezionisti prescelti. Non riuscirei a fare il quadro assoluto. Io mi
dimentico come si fa. Se non dipingo o disegno per una settimana non so più farlo e devo
ricominciare, ho paura di trovarmi di fronte alla tela bianca.
Anna: questo lo capisco, la tela bianca quando non dipingi da un pò terrorizza però è
anche vero che a un certo punto diventa un esercizio.
Luigi: Luc Tuymans fa un quadro al giorno come regola di lavoro, mentre Picasso a
ottant’anni ne faceva solo 4, perché era vecchio probabilmente.
Anna: anche il loro è un esercizio perché non ti reinventi tutti i giorni.
Luigi: la necessità è quella di dipingere, alzarsi la mattina e fare quello per il quale sei venuto al mondo.
Anna: è quello che dovremmo fare! Non ti ho detto di smettere di dipingere. Solo di
pensare a come un soggetto può essere affrontato, sviscerato e trasformato.
Anche la produzione di Morandi è stata prolifica con le sue nature morte, e sarebbe
difficile salvare un capolavoro su tutte. Perché la sua produzione va guardata nella sua
interezza. Noi possiamo scegliere quella che più ci piace in base al nostro sentire che non
è mai quello dell’artista. Infatti nella sua biografia,
Il mio Morandi, scritta da Luigi Magnani,
lui racconta che quello che vedeva Morandi erano le tre forme geometriche fondamentali,
il cerchio, il quadrato e il triangolo, che ripeteva continuamente (partendo dall’eredità
lasciata da Cézanne).
Luigi: Morandi era un mammone, viveva in casa con le sorelle e la mamma, che doveva
fare oltre a dipingere tutto il giorno?
Tutti i pittori comunque si metteranno di fronte a una bottiglia e la dipingeranno prima o
poi, anche nel 3500. Se ci sarà ancora la pittura e l’essere umano a farla e apparirà
sempre superficiale, come un vaso di fiori.
Poi ci sta anche che uno non senta mai di essere arrivato a una soluzione, per cui
continua a cercare tutta la vita.
Se guardi Louise Bonnet per esempio, lei è arrivata a una figurazione ben precisa. Io ci
devo ancora arrivare, mi sento nato adesso nel 2020.
Anna: scusa allora perché non sei d’accordo con me? Quando dico che alcune figure non
sono pronte. Questi codici che Bonnet ha trovato non sono facili da ottenere, vale per me come per te.
Luigi: non si tratta di essere d’accordo o meno, lo so perfettamente che non ho ancora
raggiunto un risultato, ma non si arriva al capolavoro senza aver fatto dei passaggi essenziali?
A me personalmente nessuno mi sta mettendo fretta, né voglio dire che quello che sto
facendo non sia valido già ora, per me funziona già, ma voglio di più da me stesso, cosa
che non dovrebbe interessare a chi guarda.
La pittura va fatta giorno per giorno finché non trovi la tua soluzione, che poi è la pittura
stessa e tutto ricomincia sempre da capo.
Anna: anche se tu credi di non aver ancora raggiunto un risultato ad ogni modo il tuo
lavoro è riconoscibile nel panorama della pittura italiana, non sei simile a nessuno, c’è già
un’identità, non puoi sbagliare. Il mio lavoro forse è meno definito e riconoscibile del tuo
ma sono felice di questo momento, sto imparando molte cose dalla pittura, mi sta facendo
crescere. Vorrei riuscire in questi mesi a fare un quadro di grandi dimensioni per capire se
sono ancora in grado di sostenere certe grandezze, nel cambio fra uno studio e un’altro
per questioni di spazio ho dovuto restare su piccole dimensioni e dopo un pò per me
diventa soffocante. Ognuno ha i suoi problemi come puoi vedere…
Luigi: il momento però appare propizio per voi donne, tu ne stai già approfittando?
Anna: come si fa ad approfittarne io non sono brava in queste cose. In realtà non
condivido questi schieramenti e questo genere di derive, non amo le mostre di genere o
gli eventi tutti al femminile, si creano definizioni e confini molto marcati, esiste un arte
femminile e una maschile davvero? non credo..
Luigi: molti ora puntano la loro carriera sull’essere lesbica, omosessuale, sull’essere nero,
nero e lesbica, nero e omosessuale, trans e benedetto dal Signore… veramente sono
cascato male in questo lasso di secolo, etero e pure caucasico!
Anna: ma dico anche chi se ne frega del loro sesso e peggio se ne fanno un arte.
Luigi: La minoranza sono io in questo momento storico?
Anna: questo lo dirà solo la storia, forse lo sapremo fra un pò di tempo, ci sono le mode e
le mode passano. Certo se la Biennale decide che il 98 % sono donne, allora è il momento
delle donne. Ma è una biennale completamente squilibrata, certo va bene che molte di
loro abbiano avuto finalmente il loro momento, come si diceva la faccenda del riscatto. Ma
non si possono tenere fuori artisti uomini che sono stati importantissimi. Abbiamo visto per
esempio Clemente, che non c’è in questa Biennale. Penso che i suoi lavori potessero
essere in tema. Ma come lui tante altre donne che mancano, forse avrei voluto meno
defunte e più artiste vive.
Luigi: va bene vive si, mi è mancata molto Nicole Eisenman in questa Biennale, lei aveva
tutte le caratteristiche per esserci e la mostra che c’è ora da Hauser & Wirth a New York lo
dimostra. Per cui non so neanche se ti devo consigliare di lavorare di più o meno, a volte
le cose vanno come qualcuno vuole che vadano a prescindere da quello che fai.
In ogni caso te lo dico lo stesso, devi lavorare di più, ti perdi in chiacchiere.
Anna: sai che se non hai spalle coperte per tenere su tutta la baracca devi farti un gran
mazzo. Di certo non posso scegliere di non fare l’artista, non è mai successo e mai
succederà. Sono lenta e forse ci metterò molto più tempo. Ma non sono la prima e non
sarò l’ultima. Guardo te che fai due quadri al giorno e poi ti lamenti che non riesci a farne
di più. Se devi mettere l’acceleratore allora mettilo che aspetti, non ripetere tutti i giorni la
stessa cosa. Dove andiamo così e che succederà dopo che non ci saremo più?
Luigi Presicce, Serpente, 2021, olio su tela, cm 140 x 100