Anselm Kiefer Angeli caduti
a cura di Arturo Galansino
LA MOSTRA
Anselm Kiefer. Angeli caduti si pone come una grande mostra concepita appositamente dall'artista in diretto dialogo con gli spazi di Palazzo Strozzi, tra le sale del Piano Nobile e il cortile rinascimentale. Attraverso venticinque opere storiche e di recente produzione, tra cui un lavoro immersivo composto da sessanta tele di dimensioni diverse, l'esposizione permette di esplorare la variegata pratica dell'artista che abbraccia pittura, scultura, installazione e fotografia.
Punto di partenza è la nuova opera per il cortile di Palazzo Strozzi Engelssturz (Caduta dell'angelo, 2022-2023), la cui installazione è stata resa possibile grazie al sostegno della Fondazione Hillary Merkus Recordati, che si pone in dialogo con la severa architettura rinascimentale attraverso una potente materialità e le dimensioni di oltre sette metri di altezza. Questo grande dipinto ha per soggetto il celebre brano dell'Apocalisse che descrive il combattimento tra l'arcangelo Michele e gli angeli ribelli, metafora della lotta tra Bene e Male. Esaltata dal contesto dello spazio aperto verso il cielo della corte di Palazzo Strozzi, l'opera diviene un invito a riconsiderare il nostro rapporto tra spirito e materia, divenendo metafora della ricerca di significato di tutta l'umanità.
Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.
Nel percorso al Piano Nobile il tema degli "angeli caduti" si ritrova nella prima sala con il monumentale dipinto Luzifer (Lucifero, 2012-2023). Kiefer rappresenta l'angelo ribelle che precipita nell'abisso, reinterpretato attraverso materiali che si riferiscono alla storia contemporanea e recente. Un'acuminata e minacciosa ala di aereo in piombo sporge da una massa di materia, creando un diretto riferimento al tema della guerra, ricorrente nell'opera di Kiefer. Se l'ala di aereo potrebbe simboleggiare la distruzione che la guerra infligge, la massa di materiale sembra evocare il caos e la devastazione che lascia dietro di sé. La figura caduta diviene invece un'immagine della caduta dell'umanità, lanciando un monito toccante sulla guerra e sulla violenza.
Nella sala successiva con Für Antonin Artaud: Helagabale (Per Antonin Artaud: Eliogabalo, 2023), Kiefer fa riferimento a Héliogabale ou l'anarchiste couronné (Eliogabalo, o l'anarchico incoronato, 1934), libro dell'artista, attore e drammaturgo francese Antonin Artaud sull'imperatore romano Marco Aurelio Antonino, detto Eliogabalo, figura a cui Kiefer aveva dedicato lavori già negli anni Settanta. Giovane imperatore del III secolo d.C., Eliogabalo cercò di imporre il culto di Baal, il dio del sole, come religione di Stato, ma fu assassinato per sopprimere la sua rivoluzione, diventando cosi emblema della fragilità del potere. SOL INVICTUS Heliogabal (Sole invitto Eliogabalo, 2023) è il titolo della seconda grande tela della sala caratterizzata da un luminoso fondo oro e da giganteschi girasoli, in cui Kiefer fa anche riferimento alle feste pagane che celebravano la vittoria della luce sulle tenebre.
In questi dipinti emergono simboli costantemente presenti nel vocabolario visivo kieferiano: girasoli e serpenti. Il serpente assume nel lavoro di Kiefer molteplici significati, divenendo anche allegoria di rigenerazione, grazie alla caratteristica dell'animale di mutare la pelle, alludendo così alla figura dell'artista e alla sua capacità di rinnovarsi.
Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.
Il tema della filosofia si ripresenta in mostra anche nella grande xilografia Hortus Philosophorum (Il giardino dei filosofi, 1997-2011). L'opera raffigura un campo di girasoli il cui formato verticale allude all'unione tra terra e cielo; uno dei fiori cresce prendendo nutrimento dall'ombelico di un uomo nudo disteso a terra, che rappresenta l'artista stesso, oltre che rimandare a una delle figure di riferimento di Kiefer: il filosofo, medico, occultista e alchimista inglese Robert Fludd (1574-1637), secondo il quale ogni pianta ha un equivalente stellare nel firmamento. La posizione del corpo, che sembra senza vita o nella posizione dello shavasana nella pratica yoga, sottolinea il legame tra il mondo terreno e quello celeste alludendo a un percorso iniziatico che consente di superare la paura della finitezza umana,
Le sale centrali del percorso espositivo accolgono una serie di vetrine, una tipologia di opere che l'artista utilizza dalla fine degli anni Ottanta creando microcosmi in cui Kiefer inserisce materiali e oggetti collegati a scritte di suo pugno. Le vetrine creano un ambiente protetto e controllato in cui i materiali contenuti possono esistere nel loro spazio. Allo stesso tempo, rafforzano i temi dell'alienazione e dell'isolamento presenti nell'opera di Kiefer. Lo spettatore è costretto a confrontarsi con l'opera da una distanza, incoraggiato a riflettere sui diversi mondi e simbolismi che convergono nell'immaginario kieferiano.
Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.
En Sof (L'Infinito, 2016) è dedicata al pensiero cabbalistico e alla mistica ebraica, Das Balder-Lied (La canzone di Balder, 2018) si ispira alla letteratura scandinava, Danae richiama la mitologia classica. Tra i materiali utilizzati spicca il piombo, materiale d'elezione di Kiefer, alla base di infinite sperimentazioni, apprezzato sia per la malleabilità e duttilità, sia per l'associazione a temi alchemici grazie alla sua natura metamorfica. Il cristallo delle vetrine funge invece da membrana che, come spiega l'artista, «è in qualche modo una pelle semipermeabile che collega l'arte con il mondo esterno in una relazione dialettica».
In Locus solus (Il luogo solitario, 2019-2023), Kiefer fa riferimento all'omonimo testo del 1914, caposaldo della cultura surrealista, in cui l'autore francese Raymond Roussel descrive opere e congegni irrealizzabili, destinati a rimanere solo immaginati, nel locus dell'impossibile. Come in questa opera, tema fondamentale dell'esposizione è il rapporto di Kiefer con la letteratura e il suo confronto con opere letterarie e voci di ogni tempo. In dialogo con Locus solus, il dipinto Cynara fa riferimento alla mitologia classica e alla ninfa trasformata in carciofo da Zeus, mentre A phantom city, phaked of philim pholk (Una città fantasma, falsata dalla folla dei film) e archaic zelotypia and the odium teleologicum (zelotipia arcaica e lo odium teleologicum) sono collegati al romanzo di James Joyce Finnegans Wake. Queste due opere riflettono l'intricato intreccio di riferimenti presenti nel romanzo, trasformando il complesso tessuto di parole in un'arte visiva che cattura l'essenza onirica della narrazione.
Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.
La mostra prosegue con l'installazione immersiva Verstrahlte Bilder (Dipinti irradiati, 1983-2023) composta da una suggestiva selezione di sessanta dipinti che riempiono completamente le pareti e il soffitto di una delle più grandi sale di Palazzo Strozzi, Creata appositamente per la mostra e dotata anche di grandi superfici specchianti poste al centro dello spazio, l'installazione invita il visitatore a immergersi nell'arte stratificata e totalizzante di Kiefer. L'uso del cosiddetti "dipinti irradiati", scarificati e scoloriti da radiazioni, aggiunge una dimensione evocativa e malinconica all'installazione, invitando a una riflessione sulla fragilità della vita e sul potere dell'arte. Olio su tela, gommalacca e tessuto sono solo alcuni dei materiali utilizzati per creare un'esplorazione inquietante sui temi della distruzione e del decadimento, insiti nella condizione umana stessa. Secondo l'artista, «la distruzione è un mezzo per fare arte.
lo metto i miei dipinti all'aperto, li metto in una vasca di elettrolisi. La scorsa settimana ho esposto una serie di dipinti che per anni sono stati sottoposti a una sorta di "radiazione nucleare" all'interno di container. Ora soffrono di malattie da radiazione e sono diventati temporaneamente meravigliosi».
Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.
Altro grande tema della mostra è la mitologia, personale e collettiva, che Kiefer esplora anche reinterpretando suoi lavori precedenti: non come semplici riproduzioni, ma rielaborazioni di materiali, temi e composizioni. In Der Rhein (II Reno, 1982-2013), Kiefer rimanda alla sua infanzia e al rapporto con il corso d'acqua che è simbolo dell'intera Germania. In Dem unbekannten Maler (Al pittore ignoto, 2013) Kiefer si identifica con la figura del "pittore sconosciuto" cui viene dedicato un memoriale, onorando anche la memoria degli artisti che hanno subito la repressione e la censura o che sono stati dimenticati dalla storia. Il riferimento alla mitologia classica è evidente invece in opere come Daphne (Dafne, 2008-2011) e Nemesis (2017). La celebre ninfa insidiata da Apollo e la dea del castigo e della vendetta sono rappresentate come abiti di gusto ottocentesco, in resina e gesso. La loro identità è suggerita e rivelata attraverso gli attributi che sono al posto delle teste, rispettivamente un ramo e un masso. Nell'opera Ave Maria turris eburnea (Ave Maria, torre d'avorio, 2017) Kiefer si rifà invece all'immaginario cattolico. Qui la "testa" dell'opera è costituita da una pila di torri in bilico che ripropongono, in miniatura, quelle che caratterizzano la prassi artistica di Kiefer come nei famosi Sette Palazzi Celesti di Pirelli HangarBicocca a Milano.
Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.
Il percorso si conclude con una sezione speciale dedicata alla celebre serie Heroische Sinnbilder (Simboli eroici), qui presentata attraverso quattro fotografie stampate su piombo. Nel 1969 Kiefer si fece fotografare eseguendo quelle che chiamerà Besetzungen (Occupazioni) in varie località europee, tra cui luoghi 'occupati dall'esercito tedesco durante la Seconda guerra mondiale. Con indosso prevalentemente l'uniforme da ufficiale della Werhmacht del padre, Kiefer replica il saluto del Sieg Heil con il braccio alzato, sebbene in maniera meno marziale rispetto all'originale. Kiefer utilizza così un gesto caratteristico del regime nazista con l'intenzione di affrontare, con evidente volontà provocatoria, la storia recente del popolo tedesco.
In questo contesto, per richiamare la precarietà della vita umana e la transitorietà del tempo, ma anche a dimostrazione dell'importanza della poesia, della scrittura e della parola nella pratica artistica kieferiana, la mostra si chiude con i celebri versi del 1930 del poeta Salvatore Quasimodo, tracciati da Kiefer stesso su una parete della sala: «Ognuno sta solo sul cuor della terra/trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera».
Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.
Anselm Kiefer / Arturo Galansino
in conversazione
AG - Siamo a Croissy, nel suo studio alle porte di Parigi a parlare della mostra di Palazzo Strozzi, la cui preparazione è cominciata cinque anni fa. In questo periodo sono successe molte cose, la pandemia, una guerra, e ne sta cominciando un'altra. Abbiamo tutti modificato le nostre prospettive. E lei?
AK - Vedo le cose in termini più ampi: gli uomini sono mal congegnati. Agiscono in modo incomprensibile: si autodistruggono. Ci sono sempre state guerre, dappertutto, dopo la Seconda guerra mondiale si è sempre combattuto. Prima erano più lontane da casa, ma adesso sono molto vicine. L'Ucraina è vicina e anche Israele lo è, ma le guerre ci sono sempre state, sembrano senza fine. Sicuramente adesso sono maggiormente colpito, ma non è cosa nuova per me.
AG - Dunque questa situazione non ha cambiato il suo modo di vedere il mondo e gli esseri umani.
AK - No, seguo le notizie tutti i giorni, leggo quattro giornall, guardo un po' di televisione e sono sempre informato su quello che accade.
AG - Il suo primo incontro con il nostro palazzo in previsione di questa esposizione risale al novembre 2018. Credo che questa sia la sua prima mostra in un edificio simbolo del Rinascimento fiorentino, caratterizzato secondo il grande teorico della storia dell'arte Giorgio Vasari, dal disegno, che contrappone al colore del Rinascimento veneziano, e lei ha già lavorato in un edificio altrettanto simbolico a Venezia, come il Palazzo Ducale. Quali emozioni e sensazioni prova, in relazione all'arte italiana, con questa mostra a Palazzo Strozzi?
AK - Il mio rapporto con Strozzi è molto speciale perché quando sono stato per la prima volta a Firenze, avrò avuto circa diciassette anni - devo controllare sul mio diario, perché lo tengo quotidianamente da sempre - ho scritto su Palazzo Strozzi, non so il motivo, e a quell'epoca non me ne chiedevo la ragione ma, forse perché è così "minimal", è uno dei miei palazzi preferiti al mondo.
AG - Ha trovato differenze tra esporre il suo lavoro in un edificio veneziano e in uno fiorentino?
AK - Si è diverso: a Venezia sono entrato nella Sala dello Scrutinio e l'ho cambiata completamente, ma da voi ho preferito lavorare in modo specifico con ogni stanza, nel rispetto dei temi selezionati.
AG - Ancora a proposito degli spazi: allestire una mostra significa rapportarsi agli spazi, a un luogo. La prima volta in cui lei è venuto a visitare Strozzi ha subito voluto affacciarsi dal loggiato all'ultimo piano per vedere il cortile dall'alto e poi ha chiesto di visitare le cantine, quella che noi chiamiamo "la Strozzina". È il suo approccio abituale agli spazi, partire dall'alto e poi scendere?
AK - Al centro del palazzo c'è il cortile e mi piace sempre, perché dall'esterno si vede la struttura, si vedono i diversi piani, ed è molto utile per avere una visione generale dell'edificio.
AG Per la mostra ha scelto un dialogo o uno scontro con l'architettura del palazzo?
AK - No, non è uno scontro. Intervengo soprattutto quando gli spazi non mi piacciono e faccio ciò che voglio per cambiarli, ma qui non c'era bisogno: ho scelto di inserire le mie opere nell'architettura esistente.
AG - Lei ha da sempre contatti con l'italia, abbiamo già ricordato il legame privilegiato con Venezia, ma li ha avuti, e ha, anche con Napoli, Roma, Torino, Pistoia. Qual è il suo rapporto con l'italia?
AK - Quando dovevo lasciare la Germania, ho subito cercato in Italia. A una sessantina di chilometri da Roma, presso il lago di Bolsena mi è piaciuta molto una casa che aveva al centro una fontana con un getto d'acqua continuo. Era una casa perfettamente restaurata e l'ho molto amata. Poi ho cercato in Toscana, nel Chianti, e ho trovato un'ex porcilaia, ma, come potete immaginare, l'area era piuttosto inquinata e quindi inadatta. In un'altra località c'erano fabbriche e case quasi vuote. La proprietà era però troppo grande per me. E alla fine, forse anche perché parlavo francese, ho scelto la Francia.
AG - Passiamo al famoso topos sulla "Italiensehnsucht der Deutschen", l'attrazione dei tedeschi per l'Italia. Condivide la stereotipata - ma sempre poetica - visione che ne da Goethe nel 1795: «Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn» (Conosci il paese dove fioriscono i limoni)?
AK - Goethe ha vissuto un momento fondamentale a Roma, perché vi ha perso la verginità. Aveva quarantun anni. Quarantun anni!
AG - Meglio tardi che mai.
AK - L'evento così sconvolgente per lui ha favorito in modo unico la "dinamica del languore". A Roma Goethe ha scritto numerose poesie. Tra l'altro non era solo; erano molti i tedeschi, i cosiddetti Deutsch-Römer-Koch e altri- che andavano nella città eterna per imparare, per esserci.
AG - Anche Beuys, che tha appoggiata all'inizio della carriera, aveva un rapporto privilegiato col nostro Paese. AK-Si, l'Italia è stata spesso un centro di attrazione per i tedeschi, soprattutto per gli artisti. I primi furono Albrecht Dürer e Adam Elsheimer, cui seguirono Angelika Kauffmann, Jacob Philipp Hackert e naturalmente, come abbiamo detto, Goethe. Nella prima metà del XIX secolo vennero a Roma i pittori Joseph Anton Koch, Johann Christian Reinhart e i cosiddetti Nazareni, Poi, nella seconda metà del XIX secolo e all'inizio del XX secolo, arrivarono per lo più artisti influenzati dall'arte del Rinascimento italiano, come Arnold Böcklin e Anselm Feuerbach, lo stesso ho trascorso tre o quattro mesi nella capitale, e ho molto amato quel periodo. Parliamo di una consuetudine che interessa un'intera comunità internazionale, da musicisti come Hans Werner Henze a scrittori come Max Frisch e Ingeborg Bachmann, passando per pittori come Cy Twombly.
AG - Passiamo all'architettura e ai suoi atelier/studi così spettacolari. Da bambino giocava con le macerie e costruiva piccoli edifici con i mattoni. Poi ha scelto di non fare l'architetto secondo le modalità tradizionali, ma creando i suoi studi. Il primo in Germania, a Hornbach nell'Odenwald (Baden-Württemberg), dove ha adattato a studio il sottotetto di un ex edificio scolastico, poi ha acquistato e ristrutturato, a Höpfingen, una fabbrica di laterizi dell'Ottocento in disuso, un'unica grande installazione in cui integrare opere e architettura. Qualcosa di simile, poi, a Barjac e qui a Croissy. Con i suoi studi ha creato non solo un atelier, ma degli environment. Cosa significa per lei costruire uno studio?
AK - Innanzitutto, avevo bisogno di molto spazio perché per me un quadro non è quasi mai finito. Li tengo, dopo anni li riprendo: ho dei quadri del 1969 e ancora li rielaboro, li rielaboro, li rielaboro. È un flusso continuo che interessa opere - dipinti, sculture e installazioni - inserite in varie mostre.
AG - Dunque, i suoi studi sono costruiti in questo modo speciale per permettere un simile processo?
AK - Si, è sempre così che comincio, e poi lo studio si espande. A Barjac, ad esempio, ho continuato a sviluppare l'area, scavando per creare tunnel e strade, sia sopra che sottoterra, realizzando cripte, laghi e una vasta rete di spazi artistici interconnessi.
AG - Quanto hanno influito su di lei gli edifici di Albert Speer, i cui progetti ha studiato e cui ha fatto riferimento in varie opere?
AK - L'architettura del Terzo Reich è comunemente definita architettura fascista. Ma bisogna distinguere: nessun quadro di quel periodo è arte, ma per l'architettura è diverso. Ad esempio, a Parigi, che è ritenuta la città più bella al mondo, Haussmann ha creato i boulevard tirando delle linee, e si è trattato di un intervento molto positiva. Era proprio quello che Speer voleva fare a Berlino. Il Trocadero a Parigi rappresenta la visione di Speer per Berlino. Non è fascista, è l'architettura nel gusto degli anni Trenta.
AG - In Italia gli edifici del fascismo non sono quasi mai stati distrutti. Conosce l'architettura razionalista italiana, ad esempio la stazione di Santa Maria Novella a Firenze, oppure EUR di Marcello Piacentini?
AK - Si, EUR a Roma. Ho spesso dipinto il Palazzo delle Poste di Napoli: non è fascista, è una bella architettura. E poi c'è la Casa del Fascio di Terragni a Como. L'aeroporto di Tempelhof a Berlino è stato concepito prima di Hitler, ma si crede che sia fascista.
AG - Torniamo a Barjac, e a questo incredibile lavoro che ha portato nel tempo a interventi sulle colline, alla costruzione di edifici, gallerie, anfiteatri e persino di un lago. Lo ha definito un quadro, la sua può, in qualche modo, essere definita Land Art?
AK - Barjac è un quadro su cui intervengo in continuazione: comincio, lascio, poi lo riprendo. Non c'è Haussmann a Barjac. E ho sempre pensato che potesse essere come un piccolo paese in Sicilia e ho dunque creato un paese italiano. Una piazza di un paese in Italia è sempre perfetta. Gli italiani sono questo. Le piazze sono spazi sociali, l'urbanistica è perfetta. Michael Heizer, l'artista statunitense famoso per le sue sculture di grandi dimensioni e i lavori di Land Art, ha impresso un'idea nel paesaggio. Io non sono un land artist.
AG - Quale è la differenza? La costruzione di Barjac è progredita da sola senza un'idea?
AK - È difficile da spiegare, c'è sempre un'idea, come quando inizio un quadro, ma poi apporto del cambiamenti.
AG - Barjac è più empirico?
AK - È un processo organico.
AG - Lei si è trasferito varie volte: dalla Germania a Barjac nel 1992, poi a Parigi nel 2007, e infine, subito dopo, a Croissy-Beaubourg. Cambiando luoghi è cambiato qualcosa nel suo lavoro?
AK - Il sud della Francia è indubbiamente una regione molto bella, ma devo ammettere che non credo mi abbia ispirato in modo diretto. Quello che percepiamo, quello che vediamo, passa dall'occhio che ci siamo formati nell'infanzia. Il filosofo italiano Andrea Emo ha detto che «non c'è niente di nuovo nel mondo, se non nel ricordo. Noi umani siamo la personificazione del futuro, se possiamo rinunciarvi
AG - Anche qui a Croissy, come negli studi precedenti, si percepisce come il suo lavoro proceda simultaneamente, tanto che l'ha paragonato a un giardino «dove crescono molte piante nello stesso momento», Sta creando la sua Giverny?
AK - Si, ma Monet è rimasto a Giverny, il suo giardino è bellissimo; tuttavia, creando quel giardino ha creato un quadro.
AG - La natura è molto importante per lei e per la sua arte; infatti, spesso inserisce fiori e semi (soprattutto girasoli, papaveri) nelle opere. Il suo rapporto con la natura è cambiato negli anni?
AK - Ho sempre visto la natura secondo la storia dell'uomo. Non si può dipingere la natura da sola, ma secondo i tempi che l'hanno attraversata, nel contesto di eventi storici come le guerre.
AG - Lei ha affermato: «Non riesco a vedere un paesaggio in cui la guerra non abbia lasciato traccia».
AK - Non esiste un paesaggio innocente. Oggi i paesaggi non sono più innocenti per l'incessante trasformazione in contesti urbani e industrializzati, che conduce inevitabilmente alla loro scomparsa.
AG - E, a proposito della natura, ritiene che si debba vivere in luoghi ritirati? Lei ha fatto un paragone tra Bach, artista legato alla nolosa vita provinciale, e Händel, damerino conteso dalle corti di tutta Europa, non per tutti musicalmente paragonabili, Pensa dunque che, per la creatività, sia meglio vivere «dove c'è il meno possibile»? AK. Non direi mai ciò che è meglio. Io rimango nel paesaggio remoto, ma ci sono altri che vivono in grandi città come Londra, come ha fatto Händel.
AG - Cambiamo argomento e parliamo della spiritualità. Ha fatto riferimento alla sua formazione cattolica, alla delusione al momento della Prima comunione, alla ribellione contro la rigidità imposta dal cattolicesimo.
AK - E successo soprattutto quando nel 1984 ho fatto una mostra a Gerusalemme e il direttore mi ha introdotto alla religione e ai riti ebraici. Ho conosciuto i libri di Gershom Scholem, attraverso i suoi fantastici scritti sulla mistica ebraica. Così mi sono avvicinato alla letteratura intorno alla religione ebraica e ho capito che è molto più ricca di quella cattolica, perché la Chiesa vuole essere trionfante, l'Ecclesia triumphans, che vuole scartare tutto ciò che non sia su una linea retta. E così si è distrutto molto. Preferisco studiare la religione ebraica, anche se conosco la filosofia scolastica, Anselmo d'Aosta che nel Monologion ha provato che Dio esiste. È fantastico, perché non è possibile provarlo.
Sono stato educato nella Chiesa cattolica. Tutti i miei lo erano, pensi che nella famiglia di mio nonno, una famiglia numerosa di sedici figli, sono diventati quasi tutti preti e suore. Anche mio nonno voleva farsi prete, ma il giorno in cui doveva essere ordinato sacerdote è fuggito e ha trovato mia nonna: altrimenti non sarei qui, lo ero cattolico, e avrei voluto diventare papa, ma mi hanno spiegato che i papi erano tutti italiani, all'epoca non c'era mai stato un papa tedesco, dunque non avrei potuto essere papa. Non ho perseverato, ma ho invece realizzato una vetrina su cui ho scritto: Und du bist doch nicht Papst geworden (Alla fine non sei diventato papa).
AG - Anche se lei si è allontanato dal cattolicesimo, avvicinandosi all'immaginario ebraico, quello cattolico soggiace alle sue opere, l'ha formato, e riferimenti emergono spesso: si pensi al Mercoledi delle Ceneri, la Domenica delle Palme, e ad altri momenti dei rituali cattolici, o alle dimensioni dei grandi libri corali....
AK - Non avrei potuto fare altro. Lo Spirito Santo, la Trinità... È interessante la teodicea, quella parte della filosofia che analizza il rapporto tra la giustizia divina e la presenza nel mondo del Male, e afferma che Dio è buono e il mondo è cattivo. I teologi pretendevano di affermare che Dio è buono, che c'è il libero arbitrio.
AG - L'ascetismo degli spazi lecorbusiani in cemento del convento domenicano di La Tourette, dove giovanissimo ha soggiornato in una cella e dove di recente ha esposto le sue opere, trova consonanza con l'ascetismo che permea il suo lavoro, con questi spazi di solitudine e riflessione?
AK - L'ascetismo è sempre stato un'idea centrale per me, non sono barocco.
AG - Le sue opere contengono spesso iscrizioni: perché scrivere sui quadri?
AK - Ho sempre avuto una forte affinità con scrittura, letteratura e poesia. Le parole che scelgo di inserire possiedono, secondo me, una certa aura.
AG - Le scritte inserite nelle sue opere spesso ne forniscono anche il titolo. In che modo procede? Parte da un'idea e dal titolo o viceversa?
AK - lo non faccio "il quadro per il quadro", ritengo che il quadro per me rappresenti la mia battaglia,
AG - Ha affermato che la scrittura apre un altro strato della memoria [...] si può riempire il dipinto di un altro significato: queste iscrizioni sono pensate per orientare o per confondere?
AK - È tutto quello che si può immaginare. Qualche volta è una specie di commento, qualche volta è contro il quadro. Può avere caratteristiche differenti.
AG - E quanto al titoli delle sue opere, nell'arte contemporanea spesso le sculture, i dipinti non hanno titolo, sono Untitled, mentre le sue opere hanno sempre un titolo.
AK-Quando lavoro a un quadro, questo gradualmente mi svela la sua essenza. lo lo decripto e alla fine gli assegno un titolo. Ma il titolo non è dottrinario, Sono io.
AG - Ma quando si accinge a creare un'opera ha già in mente il titolo?
AK - Quasi mai. In genere inizio, ho un concetto, lo riprendo, cambio idea. È come una scala, ogni gradino rappresenta una tappa del processo creativo.
AG - A proposito di titolo, quello della nostra mostra è Angeli caduti, con il riferimento agli angeli, all'immaginario cristiano, ma anche "wendersiano": Wim Wenders le ha dedicato il documentario Anselm. Das Rauschen der Zeit (Il rumore del tempo) presentato al Festival di Cannes nel 2023.
AK - Non è un documentario tradizionale. Ha fatto un film su come vede le mie opere. L'ha realizzato seguendo la sua visione, e le sue immagini davvero potenti mi hanno molto sorpreso.
AG - Torniamo agli angeli. La mostra accoglie i visitatori in cortile con un gigantesco Engelssturz (Caduta dell'angelo), il cui soggetto è ripreso dall'Apocalisse.
AK - Spiega come il Male sia arrivato nel mondo e abbia dato origine al Peccato originale,
AG - Perché ha voluto iniziare la mostra con questo soggetto molto forte? È l'opera che vedranno tutti coloro che passeranno dal cortile di Palazzo Strozzi, anche chi non visiterà la mostra: un'immagine molto potente e drammatica.
AK- Per i cristiani è l'inizio del Mondo, l'inizio del Male. Gli ebrei hanno un'altra spiegazione. Isaac Luria, mistico e teologo ebreo del Cinquecento, ha scritto che all'inizio Dio si è ritirato, ha creato uno spazio libero, e il mondo si è formato da solo. E questo è più intelligente. Dio ha versato la sua grazia sul mondo e il mondo non l'ha accolta.
AG - La tematica affrontata nel dipinto è la lotta tra Bene e Male. Ma lei ha affermato di essere contrario al manicheismo e alle conseguenze cui porta con la sua visione così drastica.
AK - Ci sono bilioni di stelle che formano le galassie, nel cosmo ci sono miliardi di galassie. Sono cose che fanno diventare pazzi e disperati perché inesplicabili. Avendo consapevolezza di quanto sia complesso il mondo, no, non aderisco al manicheismo. Piuttosto percepisco gli esseri umani come imperfetti.
AG - Si considera un pessimista?
AK - Ottimista, pessimista non sono parole adatte per me. Credo nella speranza, ma non in qualcosa che forse succederà, la speranza per me è qualcosa di completamente inedito, che non si può descrivere. Il pessimista si basa su ciò che è già fatto, l'ottimista spera in qualcosa che accadrà, ma io non ho desideri, sono aperto.
AG - Ancora a proposito del quadro in cortile, le interessa Michele anche in quanto figura presente nell'Ebraismo, nel Cristianesimo e nell'Islam?
AK - È un quadro che, come molti altri miei lavori, ruota attorno alla teodicea. Le religioni monoteiste in particolare hanno difficoltà a risolvere la contraddizione tra l'onniscienza, l'assoluta bontà di Dio e le condizioni catastrofiche in cui versa il mondo.
AG - In Engelssturz ci sono riferimenti all'arte italiana: a quale iconografia, a quale opera si è ispirato?
AK - Mi sono ispirato a molte opere della tradizione italiana e in particolare a Luca Giordano, l'artista napoletano che ha trattato il tema in numerosi dipinti, come quelli che oggi si trovano al Kunsthistorisches Museum di Vienna, alla Gemäldegalerie di Berlino e a Napoli, nella chiesa dell'Ascensione a Chiaia.
Ma io mi sono riferito a una tela meno nota, la Cocciota degli angeli ribelli (o San Michele), oggi al Museo di Cadice.
AG - Le sue opere racchiudono sempre significati molto complessi, sono permeate di storia, filosofia, religione. Pensa che un visitatore abbia bisogno di un viatico" o lascia all'interpretazione personale la ricezione/ l'esperienza del suo lavoro?
AK - Va bene ogni approccio: con un'introduzione oppure secondo la propria interpretazione. Ognuno può interpretare come desidera, ma è necessario che le persone guardino e comincino a pensare.
AG - La filosofia permea sempre il suo lavoro: «La pittura è filosofias ha affermato. Ha anche ricevuto, nel 2014, la laurea honoris causa in Filosofia dall'Università di Torino, e da giovane ha iniziato l'università frequentando Giurisprudenza, solo perché interessato alla filosofia del diritto.
AK - Per quanto riguarda il diritto costituzionale, il mio percorso assomigliava a quello di Anselm Feuerbach, il pittore che, come me, era confuso negli anni della sua formazione. Lo studio delle costruzioni logiche dei testi giuridici ha lasciato in me una profonda impressione. Mi sono interessato a diverse materie, tra cui il diritto penale e il diritto costituzionale. Quando ho lasciato gli studi, il mio professore ha tentato a lungo di dissuadermi.
AG - Ancora a proposito di filosofia, nella lectio magistralis tenuta a Torino in occasione del conferimento della laurea ha parlato soprattutto di Nietzsche. È un filosofo che rappresenta la sua visione, il suo pensiero, naturalmente insieme a Heidegger?
AK - Nietzsche per me è troppo fisico nella sua filosofia, si capisce che ha scritto con il corpo, non è un teorico, e una volta ha affermato: "lo danzo, danzo la filosofia" e, io, "danzo con i quadri".
AG - Ma nel gruppo di filosofi dei dipinti a Palazzo Strozzi non c'è Nietzsche, ci sono piuttosto gli antichi greci, i presocratici...
AK - La filosofia presocratica mi ha colpito quando ero a scuola: Anassimandro secondo cui tutto viene dall'aria, Anassimene per cui tutto deriva dall'acqua, Democrito che ha già concepito gli atomi, mi hanno molto interessato perché volevano descrivere il mondo, e come funziona.
AG - Firenze è la patria del Neoplatonismo.
AK - lo non sono platonico, ho studiato il mito della caverna, ma non sono platonico. Non credo che ci sia un sistema al di sopra di noi, la metafisica, credo che in ogni materiale che utilizzo, come la sabbia, la paglia, il piombo, credo che in ogni oggetto, persino nella pietra, ci sia consapevolezza, c'è lo spirito che l'artista fa uscire.
AG - Dunque lei non è materialista, ma piuttosto panteista. Lo si può affermare?
AK - Panteista nel senso di Democrito, credo che siamo delle piccolissime parti del mondo. Quando morirò, le mie piccolissime parti andranno a mescolarsi con il resto. È già buddhismo.
AG - Perché è importante per lei Locus solus (II luogo solitario), l'opera letteraria di Raymond Roussel del 1914 cui è dedicata una vetrina a Strozzi?
AK- È un autore completamente folle perché nel testo realizza dipinti con i denti e questo mi ha impressionato perché diverso da tutto ciò che conosciamo. Tutto è artificiale. È un libro che troppo pochi conoscono.
AG - Era apprezzato da quanti sarebbero poi stati importanti esponenti del Surrealismo, dell'Arte concettuale: André Breton, Salvador Dali, Marcel Duchamp.
AK - Duchamp ha rivoluzionato lo statuto di opera, che è tale perché l'afferma l'artista; pretende che si creda, come i cattolici, i quali affermano che la Madonna è rimasta vergine prima durante e dopo il parto. Come è possibile?
AG - Cambiando argomento, avremo una sala dedicata alle figure femminili con eroine dell'antichità, cristiane, del mondo nordico, dei miti. Perché ha scelto questi soggetti?
AK - Lo storico e filosofo francese Jules Michelet ha scritto sulle donne della Rivoluzione e ha descritto i salotti di Madame de Staël, di Madame Roland, in cui si preparava la Rivoluzione, si discuteva; inoltre ho un progetto su Sylvia Beach che ha pubblicato a Parigi l'Ulisse di James Joyce con la sua libreria Shakespeare and Company, quando nessuno l'aveva voluto fare.
AG - In Hortus Philosophorum un girasole cresce prendendo nutrimento dall'ombelico di un uomo nudo disteso, che sembra rappresentare lei stesso e alludere a un ciclo iniziatico alchemico attraverso il quale è possibile superare la paura della morte partecipando al ciclo della Natura, riferimento a un disegno del manoscritto della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (Ashburnham 1166, Miscellanea d'Alchimia, 1460-1475). Lei ha cominciato a usare l'immagine già nel 1971. Cosa ha significato per lei il manoscritto?
AK - Conoscevo l'opera e nei primi anni Settanta ho usato l'idea per disegni e azioni. È anche simile a Sol Invictus, il dipinto in mostra dove è raffigurato il mio corpo disteso sotto un girasole gigante.
AG - II Reno, il Danubio, i grandi fiumi - come fossero vene di un grande organismo - la ispirano: è l'idea del panta rhei, l'aforisma attribuito a Eraclito?
AK - II Reno è un ottimo esempio del panta rhei eraclitiano. Il fiume ha cambiato il suo corso nel tempo; prima scorreva verso est (come l'odierno Danubio), ora scorre verso ovest e sfocia nel Mare del Nord, Hölderlin ne parla nella sua poesia // Reno. Per me i fiumi rappresentano anche i confini che si spostano. In primavera, quando lo scioglimento dei ghiacciai ha fatto ingrossare il fiume sul confine, questo è straripato e all'improvviso ci siamo trovati l'acqua del Reno in cantina. Dovera allora il confine tra Germania e Francia? In mezzo al fiume? O passava attraverso la nostra cantina?
AG - Quale il significato della spettacolare installazione immersiva Verstrahlte Bilder (Dipinti irradiati)?
AK - Nel caso dei dipinti irradiati ho usato qualcosa di nuovo per accelerare lo sviluppo, o l'evoluzione, dell'opera: il plutonio. L'irradiazione lascia spazio all'incontrollabile. Alcuni strati del dipinto rimangono quasi intatti, altri vengono distrutti, altri ancora si accendono improvvisamente di nuova vita. Lo sappiamo da Cernobyl: alcuni alberi crescono di colpo più veloci, alcuni animali sopravvivono indisturbati alle radiazioni, altri riportano danni al loro materiale genetico. Dopo il trattamento radioattivo sui miei dipinti - alcuni risalenti a quarant'anni fa - sono rimasto sorpreso dal gran numero di mutazioni. C'è un nuovo libro di Andreas Wagner che parla dell'origine delle innovazioni. Spiega che tutto ciò che la natura produce per uno scopo è adatto anche ad altri scopi. Vale anche per il mio metodo di lavoro. Il caso è solo una parte del processo, perché ciò che viene selezionato tra le molteplici possibilità create dalle radiazioni può essere utilizzato per questi e altri scopi.
AG - Parliamo dei materiali. Nel suo studio di Croissy-Beaubourg ci si imbatte in oggetti di ogni genere, sembra proprio di essere in un luogo alchemico. I materiali dei suoi lavori si modificano: ha detto più volte che le opere devono riposare anche decine di anni, essere esposte agli agenti atmosferici, a una trasformazione, che è uno degli elementi costitutivi dei suoi lavori. Perché l'opera sia compiuta necessita di stratificazioni date anche dal tempo e da eventi esterni. Si tratta di un percorso senza fine?
AK - Il tempo, l'alchimia, gli agenti atmosferici fanno parte del mio lavoro.
AG - Si può parlare per la sua opera di "non-finito" (come Michelangelo in primis) su cui ritornare ripetutamente? AK - Le mie opere sono perpetuamente in uno stato di evoluzione; non sono mai finite.
AG - I libri sono tra i principali protagonisti del suo immaginario. Ha dichiarato che rappresentano almeno il 60 per cento della sua produzione ed erano già nel titolo della prima personale, tenutasi nel 1970 a Karlsruhe. Ha affermato di cominciare le giornate aprendo un libro, spesso scelto a caso, da cui trarre ispirazione. Effettivamente lo studio è caotico, ma la biblioteca perfettamente catalogata.
AK - Si, il libro che apro la mattina ispira il lavoro di quel giorno.
AG - Ulteriore elemento dell'ultima sala è la fotografia, una costante del suo lavoro.
AK - I primi lavori che ho fatto alla scuola d'arte erano fotografie e il momento dello sviluppo, quando l'immagine si rivela, è magico. In archivio abbiamo 130.000 negativi e, dal 2008, anche molte fotografie digitali. AG-Sono anche foto di documentazione o solo foto artistiche? In Germania alla fine degli anni Settanta aveva grande peso la scuola fondata a Düsseldorf da Bernd e Hilla Becher, caratterizzata dall'oggettività dello sguardo, dalla presentazione dei soggetti con imparzialità e dalla ricerca di neutralità. Il suo è un approccio diverso.
AK - Completamente diverso, la loro è la visione della realtà, io lavoro in modo differente, manipolo le fotografie, accendo la luce durante lo sviluppo, aggiungo preparati chimici, qualche volta quasi le distruggo. L'immagine fotografica è spesso il punto di partenza per la creazione di libri, sculture e dipinti.
AG - Nell'ultima sala prima di uscire dalla mostra sono visibili opere che comprendono fotografie appartenenti alle famose azioni Besetzungen (Occupazioni), conosciute in tutto il mondo. Immagini fortissime che all'epoca hanno creato scandalo non solo nel mondo dell'arte e che non sono state comprese perché con l'uniforme della Wehrmacht ereditata da suo padre e la destra sollevata in una parodia del saluto nazista si è fatto fotografare anche in luoghi occupati dall'esercito tedesco durante la Seconda guerra mondiale.
AK - Ho creato questa serie come parte del mio esame universitario finale, dichiarando che avrebbe meritato il voto più alto o niente. Uno dei miei professori, l'artista quasi sconosciuto Rainer Maria Küchenmeister, che era stato internato in un campo di concentramento, intervenne in mia difesa.
AG - E quale scopo avevano quelle immagini così impattanti?
AK - Volevano provocarel Se verso la fine della guerra ci fossero state elezioni democratiche, Hitler avrebbe vinto, sarebbe stato eletto. E mi sono chiesto, io, giovane uomo, cosa avrei fatto? Era una domanda fondamentale.
AG - E in questa immagine di un uomo solo, spesso tra le rovine, c'era un riferimento alla pittura romantica tedesca.
AK - Ci sono riferimenti, ad esempio, a Caspar David Friedrich e al Wanderer über dem Nebelmeer (Viandante sul mare di nebbia).
AG - Spesso si è parlato di lei e del suo lavoro in rapporto alle dimensioni, alla grandiosità delle opere e al senso del limite.
AK - Le dimensioni non devono essere un motivo di critica. Si dice che le mie opere siano sovradimensionate, che sopraffacciano. lo stesso sono costantemente sopraffatto da stimoli visivi, scoperte scientifiche, opere musicali e poetiche.
AG - Grazie Anselm!
Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.