Bruna Esposito
Altri venti – Ostro
Un’esortazione poetica e politica a prendere coscienza dell’impatto dei nostri gesti
Prato, 10 giugno 2022. Vincitore della IX edizione dell'
Italian Council, programma di promozione
internazionale dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della
Cultura, il progetto
Altri Venti – Ostro di Bruna Esposito è stato acquisito nella collezione permanente
del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato.
Il progetto – realizzato in collaborazione con Magazzino Italian Art, New York (USA), UNTREF, Buenos
Aires (Argentina), Istituto Italiano di Cultura di Lisbona (Portogallo), Centro per l'arte Contemporanea
Luigi Pecci, Prato (Italia) e di
Tools for Culture – è la prima di più variazioni sul tema che evoca i venti
caldi del Mediterraneo: libeccio, scirocco, grecale.
L’installazione è composta da un gazebo di materiali naturali (pali di bamboo e corde), un luogo ospitale,
abitato dall’aria mossa dalle pale di un ventilatore alimentato da energia fotovoltaica, oltre che dalla
presenza di eliche navali, elemento ricorrente nelle opere di Esposito.
Altri venti - Ostro, nasce dalla sinergia tra diversi ambiti di ricerca e dalla convinzione, sempre più radicata
nell’artista, che solamente eliminando le distanze fra l’individuo e gli strumenti di cui si serve per
migliorare le proprie condizioni di vita, si possa immaginare un'inversione di tendenza di matrice
ecologica, che ponga un freno allo smodato utilizzo di beni di consumo, come ad esempio l’aria
condizionata.
L’opera si presenta come un congegno volto a riattivare lo spazio, caricato del significato di possibili
relazioni, riflessioni e significati. In tempi in cui il tema dell’incontro è quanto mai attuale, l’artista ci
propone un luogo di pausa, una sosta che diviene appuntamento. Esortazione poetica e politica: un invito a
prendere coscienza dell’impatto dei nostri gesti e a considerare l’inevitabilità di altre scelte nonché della potenza
della semplicità. Un’ode alle soluzioni antiche e frugali.
Altri Venti – Ostro, 2020, Magazzino Italian Art in Cold Spring, NY. Photo by Marco Anelli. Dialogo
Dino Incardi / Bruna Esposito
Giugno 2022
Dino Incardi - Puoi raccontare della genesi di questo tuo lavoro,
Altri venti – Ostro presentato al Centro Pecci di Prato.
Quali tecnologie e pratiche hai reso disponibili per questo lavoro?
E quali nuove comprensioni possono insegnarci sul cambiamento climatico, sulla
sostenibilità e sulla transizione verso una nuova forma di esistenza?
Bruna Esposito - L’opera nasce all’inizio del 2020, nel cuore della pandemia, a casa rinchiusi tutti tra
inquietudini se non angosce; la genesi quindi è nel momento del massimo allarme globale.
Ciò nonostante (ci tengo a raccontarlo) insieme all’equipe dello Studio Stefania Miscetti
abbiamo lavorato con determinazione ferrea o direi con fiducia cieca...
Abbiamo inaugurato a Settembre, con le dovute misure precauzionali, poi abbiamo
partecipato e vinto un premio Italian Council, che prevedeva un tour internazionale: negli
Usa al Magazzino Italian Art, in Argentina al Museo Fernando Blanco a cura di Bienal Sur
e Benedetta Casini, e a Lisbona una conferenza a cura dell’Istituto di Cultura Italiana,
infine a Prato al museo Pecci dove rimane nella collezione.
Mi chiedi cosa possa insegnarci quest’opera e ti rispondo che, a mio avviso, le opere non
sono in grado di insegnare piuttosto, nel migliore dei casi, esortano all’attenzione a tutto
tondo. In questo lavoro, al centro del soffitto del gazebo di bambù c’è acceso un
grande ventilatore a 12 volt alimentato soltanto da un piccolissimo pannello fotovoltaico e
ciò, mi auspico, funga da ‘monito’.
Bruna Esposito, Two Public Bio Toilets (1987-88)
DI - La ricerca formale sull'Opera ti ha condotto nel tempo a pratiche spaziali esplorative e relazionali - certa dell'urgenza di rendere il pubblico partecipe dell'opera di cui è parte.
Ritieni la tua Arte, "Arte Pubblica" - uno spazio in cui si creano alternative di vita possibili?
BE -
Altri Venti - Ostro è la seconda opera ‘abitabile' che ho realizzato; infatti nel 1987-88,
a Berlino Ovest, progettai
Due gabinetti pubblici a compost (ossia senza l’acqua per lo
scarico) grazie a due borse di studio dell’ IBA Berlin; poi nel 2003 in occasione della
Biennale di Istanbul, curata da Dan Cameron, furono costruiti. Queste opere tangono
l’architettura ma io ne ravviso la simbiosi con diverse mie opere più vicine alla
musica, alla poesia, alla danza... e non soltanto perché ho collaborato spesso con autori
di queste arti. In poche parole, io seguo l’urgenza di aprirmi e di tentare opere aperte...
A mio avviso, tutte le arti dall’attimo in cui si presentano in pubblico entrano in dialogo
intimo con il singolo osservatore. Essere viste, ascoltate, lette è una necessità per l’opera
quanto per la persona del pubblico e anche per l’autore stesso.
Forse è un bisogno
biologico? Forse è un’iniziazione reciproca? Forse è rito?
Non saprei dirti cos’é...
Bruna Esposito, e così sia..., (2000). Collezione MAXXI. Foto Luis do Rosario, Courtesy Fondazione MAXXI
DI - L’installazione
e così sia..., (2000) realizzata con legumi e cereali propone un
mandala, una svastica sinistroversa, con al centro un fornello e una ciotola di vetro
contenente acqua e alloro.
Puoi raccontare di come hai inteso questo Spazio/Tempo dal forte valore simbolico e il
senso della sua realizzazione dal vivo?
BE - Grazie per aver specificato ‘sinistroversa’ come difatti la svastica è rappresentata in India
ove, benché simbolo antichissimo, tuttora è ritualmente celebrata per i suoi significati
positivi, sole ed energia... perfino è indossata come amuleto. Al contrario, in Europa la
svastica è carica di nefasti significati, purtroppo lividi fino ai giorni nostri con
recrudescenze che si reiterano, ad esempio anche nel 2000 quando ho
concepito il lavoro; ero molto angosciata e, confesso, lo ero anche per le innovative
sperimentazioni agro-genetiche e già al mercato compravamo frutta senza semi...
A proposito del senso della realizzazione dal vivo, cerco di rispondere alla tua domanda
dicendoti che difatti io la definisco “posa in opera e disfacimento” e la considero un
mosaico (senza collanti) perché riterrei presuntuoso considerarla un mandala; tuttavia ne
assume le modalità operative: davanti al pubblico, posare a terra, più persone con
minuziosa precisione, senza fretta, prevalentemente in silenzio, l’intero giorno per tanti
mesi; l’epilogo, ossia il disfacimento finale, in pochi minuti.
A proposito del senso di ‘dal vivo’, di spazio e di tempo, consegue anche il senso della
morte. Mi domandai: c’è la possibilità di eventuali rifacimenti senza l’autore nel lontano
futuro? Chi e come rifaranno questo simbolo? Come tramandare delle regole? Come
lasciare indicazioni attendibili e durature? A ben vedere si trattava di lasciare un
testamento e oggi il museo Maxxi conserva le mie disposizioni riferite agli aspetti sia
materiali sia immateriali. Considerando che i monaci, grazie alla fede, si affidano e
ripetono una determinata iconografia, era invece doveroso discernere da laici e al
contempo considerare i rischi di interpretazioni distorte di questo simbolo; era pertanto
indispensabile che io mi prendessi non i diritti d’autore, bensì le responsabilità d’autore,
sia dal vivo sia
post mortem.
Perla a piombo (Plumb Pearl; 2003). Courtesy Federico Luger, Milano e Museo Laboratorio, Città Sant’Angelo (PE). Foto Emanuela Barbi.
DI - Quali frequentazioni, incontri e persone hanno segnato la tua esperienza, modificato nell'agire e vivere la tua Arte?
Hai affinato un metodo per così interrogarsi nei rapporti con l'opera e la vita?
BE - La dea fortuna è bendata ed è artefice degli incontri. I legami poi si rafforzano grazie a
tacite e invisibili affinità che ravviso come ‘verità’ in ogni gesto ed ogni parola. La fortuna è
stata molto generosa con me. La mia maestra è, tuttora, la pittrice Carmengloria Morales
con la quale studiai al liceo a Roma. Batya Zamir, non soltanto maestra di danza aerea ed
anche maestro considero suo marito lo scultore Richard van Buren che conobbi a New
York. Anche Lucio Pozzi e Michael Smith sono stati pilastri. Sono stati compagni di strada,
colleghi e amici, più o meno coetanei, a cui voglio molto bene e con alcuni ho anche
collaborato; ti trascrivo qui in ordine rigorosamente alfabetico alcuni di loro: Cinzia Abbate,
Paola d’Agnese, Emanuela Barbi, Gregorio Botta, Paolo Canevari, Cristina Falasca,
Franco Fiorillo, Andrea Fogli, Federico Fusi, David Hammons, Kristin Jones, Lorenz
Kloska, Enzo De Leonibus, Stefano Maria Longobardi, Kristine Lovejoy, Federico Luger,
Annalisa Maggiani, Loredana Monaco, Mario Morleo, Agostino Osio, Annie Ratti, Marta
Roberti, Lorenzo Romito, Andries van Rossem, Barbel Rothaar, Sergio Sarra, Carlo
Vigevano, Penelope Wehrli e tanti altri... potrei riempire tutta la pagina...
Bruna Esposito, Aquarell, 1988 -1999. Collezione Castello di Rivoli.
DI - Hai sviluppato nelle tue opere una qualità 'naturale' per i materiali e le idee,
consapevole che lo spazio da esplorare sia la relazione, cose e persone in funzione
rigenerativa mentre ne usi il codice stesso come oggetto del messaggio.
“
Aquarel” dell’88, una panchina fatta di assi di specchi collocata in un cespuglio di ortiche
(tema ripreso nella Biennale di Venezia dove hai portato una panchina galleggiante)
pone forse la questione del vedersi e immaginarsi contemporaneamente?
Lo slittamento del senso identitario è insieme cura e fondamento per catturare un’immagine?
BE - A volte l’autore può rovinare le opere parlandone... Io credo che un’opera, se ha la fortuna
di riuscire, esprima molto più di quanto l’autore stesso potesse immaginare ideandola e
realizzandola. ‘Aquarel’ è una opera riuscita, sia posta nel mezzo di un cespuglio di ortiche
sia su una zattera galleggiante. La lascerei li’ nel suo quieto e riflessivo silenzio.
Nella tue domande, mi colpisce che spesso usi la parola ‘consapevole’. Ebbene, ti dico
sinceramente, io non sono consapevole bensì lavorando mi inchino nel raccogliere un
frutto maturo caduto dall’albero del ‘mistero’.
DI - Quale Tempo è dedicato alla tua Arte, mentre sfugge a qualsiasi categoria o formula, all’aspetto convenzionale e al linguaggio che crea il pensiero
attraverso e dopo le parole?
BE - Sospeso, in bilico tra durevoli dubbi e intuizioni fulminee.
Bruna Esposito, foto Maurizio Cantore, Ospedale civico di Carrara, 2006.
Bruna Esposito è nata a Roma nel 1960, dove vive e lavora.
Diploma nel 1979, IV° Liceo Artistico di Roma, Ha frequentato un anno la facoltà di Architettura presso l’Università La Sapienza di Roma. Si trasferisce dal 1980 a New York dove studia danza aerea e vince la borsa di studio ISP Whitney Museum. Dal1986 al ‘88 vive a Berlino Ovest e vince due le borse di studio di IBA Berlin. Attualmente è docente di tecniche della scultura all’Accademia di Belle Arti di Roma, previamente a L’Aquila, Brera, Temple e Cabot University, Rhode Island school of Design a Roma.
Mostre rilevanti nazionali e internazionali: Quadriennale di Roma (1996 – 2008 - 2021), Documenta X Kassel, Germania (1997), La Biennale di Venezia (1999 - 2005), Sonsbeek 9, Arhnem, Olanda (2001); Istanbul Biennial, Turchia (2003), Gwanjiu Biennial, Korea del Sud (2004), New Orleans Biennial, Usa (2008), Cuenca Biennial, Ecuador (2016), Biennial de La Habana (2019).
Premi:
9a Edizione Premio Italian Council, MIC, Roma (2021);
62a Edizione Premio Termoli, MACTE, Termoli (2021);
Selezione al Premio della Camera dei Deputati per il 150° dell’Unità d’Italia, Palazzo Montecitorio, Roma (2011);
Premio Nazionale per la Giovane Arte Italiana, MAXXI, Roma / Castel Sant’Elmo, Napoli (2001);
P.S.1 Italian Program, New York, U.S.A. (1999),
Leone d’Oro 48ª Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, padiglione di gruppo italiano, Venezia (1999).
Bruna Esposito
Altri venti – Ostro
a cura di Stefano Collicelli Cagol
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