CLEPTOCRAZIA
A lecture series + video projections
a cura di Valeria D´Ambrosio
Artext - CLEPTOCRAZIA un festival di confronto tra arte e scienza. Un progetto che mira ad avviare nuove connessioni e conversazioni dinamiche su arte, attivismo e pensiero ecologico che sono cruciali per mobilitare e far sorgere una nuova coscienza al riguardo. Potresti raccontare da dove nasce questo progetto?
Valeria d'Ambrosio - CLEPTOCRAZIA, prima ancora di assumere la sua forma definitiva di festival, è stato concepito circa un anno fa mentre lavoravo alla produzione della mia precedente collaborazione con Villa Romana a Firenze, un progetto espositivo legato al tema della decolonizzazione del concetto di museo dal titolo
MAI. Museo Antropologico Immaginario. A ottobre 2020 era uscito un bando dell’OAC. Osservatorio Arti Contemporanee promosso dalla Fondazione CR Firenze che mirava a supportare la produzione di progetti che fossero presentati congiuntamente da giovani curatori attivi nel territorio fiorentino e istituzioni locali in ambito di arte contemporanea. Così ho proposto ad Angelika Stepken, direttrice di Villa Romana, di provare a ragionare su un format diverso rispetto alla mostra canonica, recuperando alcuni temi legati alla mia più ampia ricerca sul dialogo tra arti e scienze. Da aspirante biologa marina in tenera età, proveniente da una famiglia di soli scienziati e con una formazione pre-universitaria scientifica, ho sempre creduto nelle potenzialità del dialogo tra il mondo della ricerca scientifica e quello della creatività artistica, soprattutto in un’ottica di divulgazione e sensibilizzazione su tematiche urgenti, come appunto quelle legate all’ecologia e alla sostenibilità ambientale. D’altronde, anche nel mondo scientifico, sono sempre più riconosciute alcune pratiche artistiche contemporanee che sfociano in particolari forme di attivismo, di ricerca sul campo o di “world-making” per immaginare e ispirare nuovi mondi offrendo una lente acuta su eventi in continua espansione come le estinzioni di massa, l’annientamento dei saperi indigeni così legati a una sinergia con la natura, la distruzione di habitat naturali e dunque della biodiversità.
Ciò che anima le ricerche degli artisti selezionati per CLEPTOCRAZIA, infatti, non è l’idea di un’ecologia depoliticizzata o le soluzioni delle economie verdi e liberali che si concentrano ciecamente solo sull’Occidente, bensì parliamo di un’ecologia politica, cosciente e intransigente come nei video di Oliver Ressler, di una resistenza al dogma della crescita a tutti i costi come nelle
performance lectures di Oliver Sann e Beate Geissler e di una lotta per la decolonizzazione dei saperi e delle memorie collettive come si evince dai progetti di ricerca di Angela Melitopoulos e Michelle-Marie Letelier.
Oliver Sann & Beate Geissler @CLEPTOCRAZIA Villa Romana, Firenze
A - Le conversazioni del Festival aiutano a comprendere meglio l'intricata relazione tra storie coloniali, conflitti contemporanei e cambiamento climatico. Ma esposto è il lavoro di critica accompagnato dal motivo sempre più urgente di creazione... la mostra all'interno degli spazi di Villa Romana mira a dimostrare come un certo gruppo di artisti può aiutare le persone a connettersi e capire la gravità della crisi senza precedenti e poter rispondere alla portata del disastro?
VD - Direi proprio di sì! Partiamo dal presupposto che CLEPTOCRAZIA nasce come festival divulgativo e di confronto con l’obiettivo di approfondire e diffondere conoscenza sulle radici dell’attuale crisi ambientale che, con tutta evidenza, risiedono in una forma di gestione socio-economica del pianeta tendenzialmente capitalistica, patriarcale e colonialistica. Attraverso un ciclo di 21 proiezioni e 12 lectures da parte di artisti internazionali e scienziati italiani di chiara fama, abbiamo approfondito sei macro-temi afferenti all’Antropocene, da un termine coniato nel 2000 dal chimico olandese premio Nobel Paul Crutzen, ossia l’era geologica attuale caratterizzata da un costante incremento dell’impatto delle attività antropiche sull’ambiente terrestre, con conseguenti alterazioni degli equilibri naturali. I sei temi sono: cambiamento climatico, decrescita, energia nucleare e impatto della radioattività sulla natura, estrattivismo e sovra-sfruttamento delle risorse naturali, inquinamento e sfruttamento degli oceani, epidemie e pandemie. Gli artisti sono stati chiamati a presentare il loro lavoro video o performativo più rappresentativo con riferimento al topic per cui sono stati selezionati, mentre agli scienziati è stato richiesto di raccontare l’arte attraverso il punto di vista della scienza e, più specificatamente, di farsi ispirare dall’opera d’arte per ricondurre il discorso alle loro ricerche applicate al tema preso in esame.
Questa collaborazione tra diverse prospettive sulla sostenibilità è fondamentale, a mio avviso, per ripensare la nostra comprensione delle pratiche ecologiche, poiché l’ecologia si definisce in quanto metodo di intersezionalità che insiste su pensare, essere e agire all’incrocio tra società, politica, cultura ed economia. Pertanto, il programma di video-proiezioni è stato pensato per aggiungere un ulteriore livello di accessibilità ai topic del festival, in quanto le ricerche degli artisti selezionati non si limitano chiaramente solo ai temi specifichi per cui sono stati invitati ma spaziano in maniera più allargata a tutto ciò che riguarda l’impatto antropico sul pianeta. Le tre sale espositive di Villa Romana ospitavano dunque una selezione di opere create dai sei artisti tra video-arte, documentari,
cinematic essays e documentazioni di performance proiettate in loop, corredate da un programma di sala con informazioni e sinossi dei film e accessibili durante gli orari di apertura di Villa Romana per tutta la durata del festival.
Angela Melitopoulos, Foto dal diario dell’antropologo e fotografo Chihiro Minato (2011)
A - Usando sia la fotografia che il cinema ed il testo, si può produrre un'antropologia visiva della politica del cambiamento climatico. È questo il ruolo delle immagini e della rappresentazione in questo panorama politico? Cosa significa osservare processi di cui si è intrinsecamente parte?
VD - Credo che i lavori che abbiamo presentato a Villa Romana, nelle loro specificità linguistiche, tematiche, formali e concettuali, siano tutti in grado di rispondere a queste domande. Dalle immagini evocative e simboliche girate tra Okinawa, Tokyo e Fukushima da Angela Melitopoulos, alla documentazione più asciutta capace però di catapultarti in un’agghiacciante visione poetica del presente di Oliver Ressler, dal legame documentato che Michelle Marie Letelier ha instaurato con un salmone d’allevamento in Norvegia, all’accuratissimo studio sull’immagine fotografica di Armin Linke: tutti questi lavori usano l’immagine, associata alla filosofia, l’etica, l’antropologia, la sociologia, la lotta politica, la scienza, per narrare, divulgare e cercare soluzioni prima di tutto a un principio che analizza l’idea di natura intesa come risorsa, come un qualcosa da studiare, schematizzare, frammentare e alla fine sfruttare.
Se pensiamo ai lavori di Linke, per esempio, viaggiamo dall’Amazzonia al Borneo passando per l’Israele per renderci conto che, in qualsiasi luogo del mondo l’essere umano si sia installato, è diventato artefice più o meno diretto di processi di radicale cambiamento. Nel documentario
Overwritten Ground, per esempio, scopriamo come gli effetti del cambiamento climatico sono più evidenti in quello che viene chiamato il Global South, dove agiscono come amplificatori di crisi già esistenti. Conflitti etnici, desertificazione accelerata, deforestazione estesa e un’agricoltura di sussistenza sempre più povera: sono questi i fattori che stanno contribuendo alle grandi migrazioni forzate degli ultimi anni. Concentrandosi sulle due principali frontiere ambientali (la “Soglia del Deserto” che passa per la regione del Sahara e attraversa le Americhe tra il Messico e gli Stati Uniti e la “Soglia dei Tropici” che corrisponde al margine meridionale del bacino amazzonico e raggiunge l’Africa attraversando Congo e Ruanda), il film documenta continui conflitti e spostamenti di popolazioni native attraverso un vero e proprio studio scientifico sull’immagine che Linke scruta, analizza e disseziona per ottenere le prove del disastro ambientale.
Armin Linke, Nuclear Voyage (2008), 3D-projection @CLEPTOCRAZIA Villa Romana, Firenze
A - Il fascino che l'arcaico della natura esercita su di noi potrebbe essere collegato all'archeologia della nostra mente, laddove risiedono le condizioni originarie dei nostri processi emozionali. La pandemia da Covid 19 è un’esperienza originaria, per molti aspetti inenarrabile nei suoi effetti per le nostre sensazioni. Quali le risposte interdisciplinari prodotte durante il Festival, sui modelli e le mutate condizioni - segregazione, distanziamento, originati dalla pandemia?
VD - L’ambito teorico in cui ho tentato di posizionare CLEPTOCRAZIA guarda con attenzione alle legittime preoccupazioni etiche e materiali sollevate dall’Antropocene, inteso come scomparsa insostenibile e ingiusta della natura a causa del dominio del Global North e orientata verso la sostenibilità di una sistema-mondo capitalistico all’interno di un sistema-Terra sempre più indebolito. Secondo questa linea, il concetto di Antropocene non riguarda solo il destino geologico ed ecologico del nostro pianeta, ma mette in discussione anche la possibilità per noi, per le successive generazioni e per le altre specie, di sopravvivere o più precisamente di sopravvivere in condizioni dignitose. Se l’Occidente del mondo ha trasformato tecnologicamente il pianeta, diventando la prima forza di trasformazione globale, mai l'umanità è apparsa così male equipaggiata, politicamente ed eticamente, per guidare il mondo in questa epoca di cambiamenti incerti e irreversibili.
La posta in gioco, quindi, è proprio la nostra capacità di prendere decisioni su processi che vanno ben oltre ciò che gli umani possono concettualizzare, ossia come governare l’irreversibile. Il concetto stesso di CLEPTOCRAZIA così come declinato in questo festival, ossia di una modalità generalizzata di gestione e potere basata sul furto e perpetrata da ogni singolo individuo ai danni della Terra, si interroga appunto su quali siano le modalità di sopravvivenza del pianeta e di tutto ciò che da esso trae sopravvivenza, dato che abbiamo messo in atto una vera e propria spoliazione sistematica delle risorse terrestri allo scopo di una crescente ma instabile e temporanea prosperità. Mi sembrava pertanto logico concludere il festival parlando di epidemie e pandemie. “Le pandemie non si materializzano in isolamento,” sostiene la storica della scienza Edna Bonhomme, “sono parte integrante del capitalismo e della colonizzazione”. Attraverso il dialogo tra la matematica ed epidemiologa Ilaria Dorigatti e l’artista e ricercatrice olandese Jasmijn Visser, abbiamo deciso di affrontare questi temi partendo dall’applicazione di modelli matematici e statistici al concetto di complessità, in altre parole partendo dai numeri, dalla numerologia e dalla simbologia legata ai numeri. Perché tutto ciò che gira intorno a una pandemia, come abbiamo visto sulla nostra pelle, ha a che fare con i numeri. L’indice RT, ossia l’indice di trasmissibilità o di contagio, indica il calcolo sulla capacità di diffondersi di una malattia infettiva in un certo lasso di tempo. Ma l’RT non è l’unico parametro con cui viene valutato l’andamento di un’epidemia, poiché i numeri dei ricoveri in ospedale, delle terapie intensive, dell’incidenza di nuovi casi e dei morti contribuiscono a definire il ritratto, per quanto variabile, di un’infezione in continua evoluzione. In un mondo impattato dalla pandemia da Covid-19, questi numeri hanno cambiato regole, leggi, modi di vivere e di muoversi dell’umanità.
I numeri servono a semplificare le complessità e ridurre rischi di contagio e tasso di mortalità ma la loro interpretazione più o meno errata può indurre a rischi di altra natura legati a fenomeni di interesse pubblico come conflitti politici,
fake news, opinioni discordanti e comportamenti sbagliati nella popolazione civile.
Jasmijn Visser @CLEPTOCRAZIA Villa Romana, Firenze
A - L'Antropocene, più che una chiamata alle armi e un vessillo di eco-consapevolezza, deve mettere in discussione il fondamento stesso della nostra identità mondana: la nostra presunta "umanità". E in questo porci di fatto di fronte a due radicalismi profondi: quello tra vivibilità e distruttività della specie umana sul pianeta Terra. Il ricorso al doppio confronto tra arte e scienza nei talk serali è quello di mettere in pratica il significato originario di “estetica” come capacità condivisa di sentire e dare un senso ad una crisi comune, attraverso un'analisi visiva degli spazi conflittuali di cambiamento climatico?
VD - È chiaro che il nostro pianeta sta attraversando un enorme cambiamento. Lasciandoci alle spalle migliaia di anni di eccezionale stabilità nell’escursione termica e nei livelli del mare che ha caratterizzato l’Olocene (l’era geologica in cui si è evoluta la civiltà umana e che è considerata l’unico stato della Terra che conosciamo che può supportare la società contemporanea), stiamo ora entrando in una nuova era di incertezza e trasformazioni significative.
L’avvento dell'Antropocene può infatti essere visto come un punto di non ritorno che, per la sua radicale novità, ha una sua rilevanza in quanto si tratta di qualcosa che non è mai accaduto prima. Questo evento ci lascia in qualche modo privi di analoghi rilevanti, equivalenti storici, simboli o narrazioni. Sebbene i geologi non abbiano ufficialmente confermato la fine dell’Olocene, l’Antropocene è ormai ampiamente adottato come nuovo significante dell’epoca geologica attuale in quanto pone sfide significative al modo in cui comprendiamo le relazioni contemporanee tra uomo e natura.
Oliver Ressler, Carbon and Captivity (2020), still dal video
Ponendo l’accento sul potere dell’
Anthropos, il concetto ha generato nuove narrazioni relative al progresso e all’ottimismo tecnologico ma in un’epoca caratterizzata da incertezze ambientali e sociali a livello globale. Proprio in questo momento di creazione di nuovi significati, CLEPTOCRAZIA ha tentato di indagare un aspetto molto specifico. La recente proliferazione di forme di divulgazione scientifica, di reportage ambientalisti, di film documentari e movimenti globali ci spinge a chiederci quale ruolo l’arte può giocare adesso che la consapevolezza e la sensibilità verso certe tematiche sta aumentando attraverso i mass media, l’industria culturale e il giornalismo investigativo, sebbene l’informazione pubblica sia comunque afflitta dall’inerzia governativa, dalle lobby dei combustibili fossili e dal negazionismo climatico. Ed è proprio la proliferazione di informazioni di ogni sorta che rischia di banalizzare la complessità della rappresentazione di questa crisi globale e di appiattire il pensiero critico. Dopotutto la crisi climatica è anche una crisi culturale, e dunque dell’immaginazione.
Il format di questo festival voleva pertanto scongiurare il pericolo di consegnare ai soli comitati tecnico-scientifici e alle autorità governative la responsabilità di determinare la nostra risposta collettiva al cambiamento ambientale, cosa che ci renderebbe vulnerabili a soluzioni forgiate da interessi e giochi di forza legati allo sfruttamento commerciale e al profitto economico. Basti pensare che parte integrante dell’agenda verde capitalistica è fondata sulla retorica della sostenibilità che prioritizza tipicamente i bisogni delle nazioni sviluppate a discapito del Global South, visto che ripulire gli ambienti europei e nordamericani ha significato trasferire le loro industrie inquinanti e le responsabilità ambientali ai paesi meno sviluppati i quali, per forza di cose, sono costretti a confrontarsi con i più grandi impatti del riscaldamento globale pur avendo le minori risorse economiche.
Michelle Marie Letelier @CLEPTOCRAZIA Villa Romana, Firenze
A - È la natura – che di questi temi costituisce parametro di riflessione, corollario, presupposto di discorso – la protagonista del dibattito contemporaneo. Altresì soggetto - in quanto tale titolari di diritti azionabili in giudizio, lo sono come una persona, anche un fiume o una foresta che hanno diritto alla propria integrità e non può, pertanto, essere violato nel suo “habeas corpus”.
L'Oceano, Le Alpi (Beuys già lo dimostra con la "Piantagione Paradise") come spazio di creazione e come apparato che attiva pratiche divergenti di creazione del mondo?
VD - Per rispondere alla tua domanda, non posso che rifarmi al lavoro straordinario di Michelle Marie Letelier e al ritratto terrificante che gli oceani ci offrono della società occidentale contemporanea. Con Letelier e lo zoologo Ferdinando Boero, abbiamo parlato di mari e di oceani e dello sfruttamento delle loro risorse. Abbiamo guardato all’oceano come a un luogo polivalente di conflitti geopolitici, nazionalismi liquidi, test atomici, estrazione mineraria dai fondali, trivellazioni, pesca sfrenata e allevamenti intensivi inseriti in un’evoluzione continua di storie di colonialismo, migrazioni, schiavitù e trasformazioni ambientali. Essendo una componente essenziale della biosfera, la sussistenza di oltre 3 miliardi di persone al mondo dipende dal mare e dalla sua dalla biodiversità. La sostenibilità marina e la società umana sono pertanto intrinsecamente legate in quanto gli oceani sono fondamentali per la sicurezza alimentare, la salute umana, la regolazione del clima e la sopravvivenza di tradizioni e culture indigene. Per questo l’impatto antropico sulle risorse marine viventi, il loro sfruttamento e la speculazione possono avere effetti ambientali, geopolitici e socioculturali a livello globale.
Michelle Marie Letelier, Outline for The Bonding (2019), still dal video
Come qualcuno ha detto, l’oceano è un grande
storyteller, ha tante storie da raccontare e quella che Michelle Marie Letelier ci ha raccontato è di estrema attualità. Appartenenti al più ampio progetto intitolato
Transpose, che esplora le relazioni tra la manipolazione antropocentrica delle risorse marine viventi e la scomparsa delle conoscenze ancestrali, Letelier ha presentato due video che hanno come protagonista un personaggio molto simbolico, il salmone. In
Outline for the Bonding, girato in 16mm e poi riportato in digitale, l’artista documenta un legame di due anni e mezzo tra lei e un salmone d’allevamento presso il Norwegian Institute of Marine Research dove è stata in residenza. Questo progetto indaga il processo di lavoro con i pescatori e gli scienziati dell’Università di Bergen per studiare la storia dell’acquacoltura del salmone e le tecnologie attuali e per analizzare le questioni etiche e politiche associate.
Il secondo video,
The Bone è invece un’esperienza di scoperta e narrazione in realtà virtuale all’interno del cranio di un salmone selvatico. Profondamente ispirate dal libro del Dr. Martin Lee Mueller,
Being Salmon,
Being Human, queste narrazioni affrontano questioni etiche ed ecologiche relative all’allevamento del salmone, all’addomesticamento e alla coesistenza con questa specie, da una prospettiva non antropocentrica, eco-filosofica e indigena. Situato all’interno di un mondo intermedio –tra mare profondo e universo; tra presente, futuro e passato; tra realtà, sogno e utopia– questo teschio è una costruzione scultoreo-architettonica all’interno della quale veniamo trasportati nei flussi di coscienza dei salmoni selvaggi e d’allevamento.
Le paradossali condizioni di vita di questi animali sono vissute in forma poetico-mitica: da un lato un animale vivo segnato da lunghi viaggi e diversi cicli di vita nel fiume e nell’oceano, dall’altro un organismo intrappolato in un impianto di allevamento di massa, geneticamente manipolato e degradato per ottenere biomassa ad alto rendimento. Il film riflette sull’idiosincrasia tra il salmone come specie selvaggia che appartiene naturalmente all’emisfero nord e il suo impatto di devastazione neo-colonialista di un ecosistema naturale come specie geneticamente modificata e introdotta nell’emisfero sud e in particolare in Cile, paese d’origine dell’artista.
@CLEPTOCRAZIA Villa Romana, Firenze
A - Cos'è TAB | Take Away Bibliographies, il prodotto editoriale che raccoglie i materiali preparatori degli incontri?
VD - La collaborazione che CLEPTOCRAZIA ha sviluppato con
TAB. Take Away Bibliographies è un aspetto a cui tengo particolarmente. TAB è un nuovo progetto editoriale co-fondato da Rita Duina, Chiara Vacirca, Azzurra Gasparo e Costanza Mirto e nato dal lavoro congiunto con Linda Cuscito e Giuseppe Di Carlo dello studio tipografico CONCRETIPO.
Insieme abbiamo progettato un piccolo prodotto editoriale cartaceo e digitale, stampato su carta proveniente da foreste controllate e composto da più elementi che sono stati svelati di giorno in giorno e distribuiti gratuitamente. Il prodotto è stato confezionato grazie ai contributi degli artisti e degli scienziati come sempre in un’ottica di multidisciplinarità, intersezionalità e multimedialità. TAB nasce come progetto dedicato alla ricerca bibliografica intesa come terreno comune e spazio di condivisione per la costruzione di un sapere non lineare, corale e lontano dalle costrizioni accademiche.
@CLEPTOCRAZIA, le fanzine realizzate in collaborazione TAB @ Villa Romana, Firenze
Il medium scelto per la circolazione delle fonti è la fanzine che consente una facile distribuzione online e offline. Per CLEPTOCRAZIA abbiamo concepito sei numeri, uno per ogni tema del festival, dando la possibilità al pubblico di assemblarli autonomamente per conservarli insieme in un raccoglitore cartaceo che è stato distribuito l’ultimo giorno. Ogni fanzine riporta due liste di sei fonti bibliografiche multimediali, da libri a saggi, da video a interviste, da
podcast a canzoni e opere d’arte, che sono state scelte dagli esperti per aggiungere un ulteriore livello di accessibilità alle loro ricerche scientifiche, alle pratiche artistiche nonché ai contenuti del festival. Trattandosi di contenuti multimediali, su ogni fanzine cartacea è presente un QR code che permette di accedere al sito di TAB e di scaricare la versione digitale interattiva e dunque cliccabile per accedere alle fonti.
Anche quindi in un’ottica di
legacy di progetto, alcuni dei contenuti prodotti per e durante il festival, potranno continuare ad essere fruibili e condivisibili accedendo alla pagina del sito di TAB dedicata a CLEPTOCRAZIA:
https://takeawaybibliographies.org/CLEPTOCRAZIA