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Carlo Infante
performing media storytelling

 
Carlo Infante Walkabout "Tracce Maestre", Lucania Film Festival 2014, Pisticci.


Le esplorazioni di Urban Experience nella Cina più vicina, a Prato

Per due giorni a Prato, nell’ambito del Capodanno Cinese, abbiamo condotto – per il progetto La Via della poesia Cinese curato da Consuelo Ciatti – tre intense esplorazioni nella chinatown al MacroLotto Zero. Siamo entrati in un mondo: 43 ettari ad alta concentrazione industriale che dagli anni Sessanta ha rappresentato uno dei motori produttivi del distretto industriale tessile di Prato. Con gli anni Novanta si delinea la crisi, si creano i primi vuoti che vengono progressivamente riempiti dal flusso migratorio cinese che nell’arco di neanche un decennio si espande. Oggi la comunità cinese raggiunge quasi il 20% del totale della popolazione pratese, una penetrazione tra le più forti in Europa. Interrogandoci sulle peculiarità della manifattura tessile, durante i walkabout cogliamo dai tanti partecipanti (più di 120 nelle tre azioni, gli spettatori sono tutti gli altri: quelli che incrociamo per strada…) le definizioni che venivano date agli antichi mestieri che nei secoli hanno connotato quel distretto toscano. Nella radionomade dei nostri walkabout, guidati da Vittoria Ciolini e Andrea Abati di DryPhoto insieme a Paolo Brachi e Carlo Palli, sono diverse le voci che ci parlano del “folatore” che lavorava alla “gualchiera”, la macchina per il processo di infeltrimento del tessuto per garantirne l’impermeabilità, del “carbonizzatore” che si occupava di trattare gli stracci con acido cloridrico per sottrarre fibre vegetali da quelle di tutta lana, dell “allupino” che operava alla “lupa” per la preparazione del “mescolo” sfilacciando il manto della lana per rendendola soffice. Mestieri perduti, duri e pericolosi, che solo in parte vengono oggi trasferiti alla nuova manovalanza cinese arrivata in massa dalla provincia cinese del Zhejiang. Una parola c’incuriosisce: mescolo. E pensiamo a quanto in questi decenni questo mescolo non abbia funzionato, non c’è integrazione ma mondi paralleli. In quel quartiere mai pensato come tale bensì come area industriale, troviamo atmosfere da “Blade Runner”, distopiche. Scenari d’abbandono, vetrine dipinte di nero per non rivelare cosa si fa all’interno, pareti graffitate con numeri di telefono di affittacamere e prostitute…Grazie ad una giovane cinese che fa parte del nostro sciame decodifichiamo gli ideogrammi che connotano quei messaggi e riflettiamo su come gran parte di questa comunità cinese pratese consumi solo (suolo e materie prime) senza creare nessun contesto e tantomeno “bene comune”. Per questo è in atto un’operazione strategica di rigenerazione urbana che prevede di realizzare il Macrolotto Creative District con investimenti per oltre 8 milioni di euro. Ce ne parlano gli amici del Circolo Arci “Curiel” che per decenni ha svolto la funzione di “Casa del Popolo”, creando iniziative di “DopoScuola”, azioni che hanno anticipato la nascita di un “Punto Luce” di Save the Children dove approdiamo con un walkabout in cui Consuelo Ciatti legge una delle poesie cinesi del repertorio selezionato da Sergio Basso, lampi di un lirismo che arricchisce le esplorazioni di una proiezione poetica che lascia un’impronta di senso ulteriore. Quel MacroLottoZero perchè si possa rivelare come un caso emblematico d’innovazione urbana ha bisogno di azioni creative, come quelle che in questi anni hanno progettato DryPhoto e China (un gruppo di architetti e designer che andiamo a trovare nel loro studio-hangar) per dissodare un territorio che tra un anno verrà rigenerato con la realizzazione di playground, medialibrary, coworking, campo di calcetto e mercato metropolitano coperto, per recuperare il terreno perduto in questi decenni. Per far accadere quel mescolo di cui parlavamo. Un contesto in cui far incontrare quei mondi paralleli.
La domenica entriamo nel cuore del mondo cinese: arriviamo con il terzo walkabout (il primo aveva coinvolto i ragazzi del Liceo del Convitto “Cicognini”) fin dentro il Tempio Buddista dove tutta la comunità cinese è impegnata per il “capodanno lunare” che quest’anno corrisponde al segno del Maiale. Vi arriviamo con un percorso che dal Palazzo Pretorio attraversa il centro storico, cogliendo le molteplici stratificazioni della memoria pratese. Mettiamo a fuoco la figura cardine di Francesco Datini, da sotto la sua statua che domina Piazza del Comune, che a metà del 1300 inaugurò la vocazione tessile della città coniugandola con una strategia finanziaria che fece scuola. Passiamo poi davanti alla pietra d’inciampo dedicata all’orologiaio ebreo Mario Belgrado vittima della Shaoh (ne ascoltiamo la storia su Loquis, l’app di realtà aumentata orale) e ci interroghiamo poi sulla densità di monasteri a Prato (la risposta risiede nelle preziose elargizioni del Tadini che lasciò la sua immensa eredità ai religiosi secoli fa . Costeggiando le mura ricordiamo Curzio Malaparte, quel “maledetto pratese” che s’innamorò della Cina, spiazzando ancora una volta tutti.
Il nostro walkabout preso in una conversazione congeniale radio-nomade intensa, ludica e partecipata, approda infine in quel Tempio, tutto in legno, costruito su un ex-opificio tessile. E’ un coloratissimo pantheon di Buddha diversi, Bodhisattva e Ahrat, uno scenario talmente curioso (con installazioni di bottigliette d’acqua in plastica che incorniciano le statue) da sollecitare alcuni dei giovani scout del nostro sciame a cercare risposte a domande incalzanti. Finalmente le troviamo: troviamo dei cinesi con cui conversare, sono dei monaci buddisti, cordiali e accoglienti. I mondi paralleli si incontrano.
La serata al Teatro Fabbricone con lo spettacolo Ti ho sentito cantare, come in sogno di cui è protagonista un’ispirata Consuelo Ciatti, attrice che ha attraversato più poetiche teatrali, da Leo De Berardinis ad Anatolij Vassiliev, con cui un anno fa avevamo già realizzato un walkabout a Piazza Vittorio, la zona a più alta densità cinese di Roma, conclude in bellezza il progetto La Via della poesia Cinese. Un’opera-oratorio che ci introduce nel mondo della poesia cinese, con le lucide interpolazioni del sinologo (nonchè regista e autore) Sergio Basso che delinea un arco poetico attraverso due millenni, fino all’era maoista in cui s’è infranta la poesia. Consuelo Ciatti ci offre degli spaccati mirabili di questi repertori, in uno spettacolo che si fa anche concerto con il suono struggente dello guzheng, una cetra di 21 corde pizzicate ad arte da Zhaoyang Pu.
Il performingmedia storytelling di Urban Experience rivela la Cina più vicina, quella che a Prato ha creato un suo mondo parallelo.

Carlo Infanteperforming media storytelling, La Via della poesia Cinese, MacroLotto Zero Prato Capodanno Cinese 2019


Il format del walkabout

L’innovazione di cui si sta trattando riguarda nuove forme di comunicazione tese ad esprimere il senso originario del comunicare, privilegiando il “comunicare con” piuttosto che il “comunicare a”.
E’ proprio nel valore fondante della conversazione che si basa questa attività di performing media, senza nessun timore ad usare neologismi che attingono anche dal lessico anglofono. Uno di questi termini è proprio walkabout che definisce nel modo migliore ciò che si sta attuando, coniugando il globale (quello del web e dell’imperante lingua anglosassone…ma se ci pensiamo bene con il latino s’è imposta lingua globale per più di un millennio…) con il locale dei “piedi per terra” nei territori. Coniugando il futuro dei nuovi format di comunicazione con il passato ancestrale delle culture aborigene che “cantavano” i cammini.
Walkabout significa “cammina in giro e a tema”: è un format di performing media in cui conversazioni peripatetiche si combinano con trasmissioni radiofoniche nomadi, per un’esplorazione partecipata.
Una suggestione di fondo è in quella parola inglese che rimanda al viaggio rituale che gli australiani aborigeni intraprendono attraversando a piedi le distese dell’outback, le aree interne più remote che si estendono in quelle semi-desertiche del bush. Il termine fu coniato dai proprietari terrieri bianchi australiani per riferirsi agli Aborigeni che sparivano dalle loro proprietà, e dei quali si diceva “gone walkabout” (andato in walkabout). Quando fu rilanciato da Bruce Chatwin in “La via dei canti” quella parola impattò in modo straordinario, innestandosi sulla sensibilità psicogeografica situazionista già messa in campo, nel Movimento del 1977 a Roma, con gli indiani metropolitani.
Urban Experience gioca con questa definizione associandola a “talkabout” (parlare di…), rilanciando così le esplorazioni urbane che coniugano cose semplici come passeggiate e conversazioni con le complessità inedite del performing media-storytelling in cui la narrazione partecipata è inscritta nell’azione “aumentata” dall’uso dei media radio e web. Queste conversazioni nomadi caratterizzate dall’ausilio di smartphone e cuffie collegate ad una radioricevente (whisper radio) permettono di ascoltare le voci dei walking-talking heads e repertori audio predisposti, in un flusso radiofonico che viene, spesso, trasmesso in streaming via webradio e georeferenziato.
Si tratta di un format di performing media, concepito come una “palestra di cittadinanza attiva” in cui si conversa “di fianco” mentre ci si guarda intorno, “apprendendo dappertutto” per attivare dei laboratori dello sguardo partecipato (in particolari contesti pedagogici rivolti a tutte le fasce scolari) ed esplorazioni psicogeografiche. Esercizi poetici e politici di resilienza urbana, attraverso i performing media di whisper-radio e smartphone per tracciare mappe esperienziali, con i piedi per terra e la testa nel cloud.
Protagonisti dell’azione ludico-partecipativa sono gli spettatori-cittadini attivi che si mettono in gioco attraversando uno spazio urbano o qualsiasi altro territorio da esplorare passeggiando ma anche in contesti espositivi, superando la didatticità delle visite guidate. Una strategia dei walkabout è quella di attivare “palestre dello sguardo partecipato”, per cogliere i dettagli dell’ambiente che si attraversa e interpretarli, per input di pensiero laterale, lungo la conversazione peripatetica.
Un approccio che trova un background nello sguardo poetico del flaneur, nella psicogeografia situazionista, nei blitz erranti degli indiani metropolitani, in alcune performance degli anni Ottanta (come quelle prodotte per Audiobox-RadioRAI e quelle della Koinè , in particolare a Narni dove con Silvio Panini si progettò, nel 1988, un happening radio) che si misurano con l’idea ancora insorgente di performing media, nelle smartmob teorizzate da Rheingold, mentre oggi si emancipa dalle intuizioni dell’avanguardia per esprimere format resilienti d’innovazione sociale.
Il principio d’efficacia è nella rivelazione del conversare “ di fianco” rispetto al solito parlare “di fronte” dove ci si rappresenta, sfidando lo sguardo degli altri. Si condivide un cammino e il parlare trova un suo andamento, sollecitando partecipazione e sottraendo rappresentazione.
Il walkabout è un format funzionale sia in ambito educativo (per il principio della “porosità pedagogica” e dell’”apprendimento dappertutto”, con un particolare focus per l’educazione ambientale), sia urbanistico (per qualificare e dinamizzare la partecipazione degli stakeholder nei cantieri di rigenerazione urbana) nel promuovere cittadinanza attiva, secondo la metafora dello sciame intelligente, sia culturale e sociale (per il brainstorming nomade inscritto sia in contesti territoriali sia in quelli espositivi), nonché in contesti formativi d’impresa come format dinamizzante di coaching e fondamentalmente in azioni di arthinking (l'arte del pensiero dell'arte) dove il brainstorming connettivo e radio-nomade esplicita le potenzialità della folksonomy: la tassonomia partecipativa.
Complesso? Sì, ma molto più semplice e coinvolgente di quanto si possa immaginare.

Carlo-Infante

Carlo InfanteHappening Nomadi con Carlo Infante


Carlo InfanteWalkabout lungo l'acquedotto Felice, 2017. Roma

 

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