La Biennale di Venezia
Claire Fontaine
Foreigners Everywhere
«Lontano, lontano ha luogo la storia del mondo, la storia del mondo della tua anima.
Franz Kafka
Si comincia sempre col chiedersi chi sono quelli che non desideiamo poi iscriverli sulla lista degli indesiderabili. Si chiede loro di dre il nome a chiare lettere perché si tratta sempre di nomi stranieri sconosciuti. Si chiede loro di mettersi in fila, di restar calmi di non fare domande, in ogni caso non ci sono interpreti. Si scheda, si fanno lunghe liste, le si conserva nella memoria elettronica, le si lascia nel ventre dei computer, poi un bel giorno le si sveglia: è lui, è loro che non vogliamo più, grazie.
Quest'uomo, questi bambini e qusti altri non li vogliamo più, grazie. È successo in passato, succede ancora con lo stesso protocollo, le stesse sensazioni dal lato degli esecuti e dei deportati. Perché non possiamo "avere un paese ridotto ad uno scolapasta" (Dominique de Villepin, 12 maggio 2005) invece che avere un paese fortezza, un paese con codice d'accesso, un paese sordo, un paese boia in doppiopetto, un paese cortesemente xenofobo, un paese campo. Un paese che espelle, estrada (ma discretamente); il paese degli abusi polizieschi e del comune mal digerito, che ha annegato nella Senna degli stranier che ha imprigionato i sostenitori dell'indipendenza algerina, nascosto sotto la sua bandiera-sottana gli harkis e i pieds-nois solo per la vergogna di essere nati. Questo paese continueremo e per altro ci stiamo lavorando. Spenderemo cento millioni di euro per allontanare gli indesiderabili l'anno prossimo. Che è un prezzo equo da pagare. D'altronde perché sono venute qui queste persone allontanandosi dalla loro famiglia, dalla loro lingua, dal loro luogo di appartenenza e non gli si chiede loro né quale sia la loro lingua, né come sia la che posto vorrebbero per sé.
Dove vanno gli indesiderabi quando spariscono dalla nostra vista? La terminologia impiegata dichiara che sono "trattenuti" in campi, subiscono un ""espulsione", terminologia che non inganna; non solo il Capitalismo non ha risolto il problema dei suoi rifiuti, ma sempre più rapidamente lo statuto di rifiuto si appiglia a ciò cui fino a ieri non s'addiceva, questo vale sia per le cose che per le persone. Uno degli aspetti dello stato d'eccezione che è per noi la regola è che la nostra compatibilità col sistema è un oggetto di negoziazione permanente cui dobbiamo senza sosta lavorare, che la nostra utilità sul mercato del lavoro è una nozione a orologeria. Si dice "tornatevene a casa" a gente che ha perduto ogni appartenenza al punto che accetta di venire a cercarne di nuove in capo al mondo. Si dice "non abbiamo più bisogno di voi" a delle persone bisognose di un lavoro che le rifiuta. Straniero non è chi viene da altrove, chi appartiene a un'altra "razza". La razza degli indesiderabili è semplicemente quella degli sfruttati, di chi è relegato allo spazio del bisogno e confonde le frontiere dei desideri con quelle dei miraggi pubblicitari. Si pretende che questi esseri spariranno in quanto tali, che sono il risultato di una contingenza sfavorevole, di una democrazia incompiuta, che sono i sintomi di una malattia infantile del capitalismo globale. Ma non è vero. Sono loro il motore della nostra economia, i portatori sani di ricchezza.
In ogni caso - vi dite - in ogni caso questa storia è triste e nota, ma queste cose succedono agli Altri, non a noi, agli Altri; questi Altri di cui non sappiamo domandarci chi siano o dove vivano. Il nostro esilio interiore li mette nella prima cella, chiusa a chiave tutti i giorni alla stessa ora dalla mancanza generale di tempo e di curiosità. Eppure sono qui gli altri, hanno lavato questa mattina la vetrina della macelleria qui di fronte, erano seduti su questo sedile del metrò prima di noi, vivevano nel nostro appartamento prima di essere sfrattati. La loro sofferenza impesta l'aria che respiriamo, la loro forza lavoro pagata quattro soldi mantiene bassi i nostri salari, la loro solitudine impedisce loro di organizzarsi, la loro reclusione materializza silenziosamente intorno a noi un'aura di prigione. Il ripiego identitario occidentale, la paura di prossimità (2), il comunitarismo europeo e le opinioni prese in affitto dai giornali e dal piccolo schermo, li pagheremo molto cari. Conosceremo una povertà che risveglierà i peggiori ricordi, una povertà che non è legata alla crisi economica e che è ben più distruttrice, una povertà del possibile che erode già ogni bordo della politica.
Lo stato delle strade influisce sullo stato dei nostri interni. Da quando i nostri appartamenti sono diventati dei rifugi in cui non si deve poter osare ospitare gli esseri dimenticati dalla memoria poliziesca, alla nostra proprietà privata è stata strappata la maschera dell'apparente innocenza e si è rivelata infine come un atto di guerra. Non si vedono rifugiati qui perché i veri rifugiati siamo noi, colonizzati dal nostro stesso paese che è per noi una terra di prima accoglienza: un territorio sorvegliato dal capitale globale di cui dobbiamo accettare le leggi ostili o andarcene nei non-luoghi delle prigioni. Ci chiedono da qualche anno di avere paura varie volte al giorno e talvolta di essere terrorizzati, ed osano parlare di sicurezza. Ma la sicurezza non è mai stata un affare di milizie, la sicurezza si misura attraverso la possibilità di essere protetti quando se ne ha bisogno, è il potenziale di amicizia che si nasconde in ogni essere umano. Da quando questo è stato distrutto, ogni spazio è a rischio. Gli stranieri sono ovunque, è vero, ma noi stessi siamo stranieri per le strade e nei corridoi del metrò attraversati dagli uomini in uniforme. Queste leggi che respingono gli sconosciuti venuti da altrove gettano una nuova luce sulla Parigi terreno di gioco del Capitale, sulla "pulizia" dei quartieri popolari e l'organizzazione del turismo interno allo spazio urbano. Vedrete cosa vogliono dire quando installano uno "spazio civilizzato" o scrivono su un cartello "il vostro quartiere si trasforma"3. Vogliono dire che il colonialismo è la guerra e che i colonizzati siamo noi tutti, noialtri.
... questo testo deve finire, potrebbe continuare ma è inutile. Lo sappiamo. Per esistere usa la libertà più povera che ci rimane, la libertà d'espressione, che è un'ironia. Il linguaggio è già un naviglio che affonda sotto il peso della sua inoffensività. Non ci offre riparo, è sempre lo straniero di qualcuno. Appena possibile dobbiamo partire per un altro viaggio che ci metta dal lato degli indesiderabili, che metta in discussione le nostre frontiere personali, che ci sbarazzi della paura.
"Noi [...] la gente di qui con le nostre tristi esperienze e i nostri continui timori, la paura ci trova senza resistenza; ci spaventiamo al minimo scricchiolio del legno, e quando uno di noi ha paura immediatamente anche l'altro si spaventa, senza neppure sapere esattamente perché."
- Franz Kafka, Il castello
Claire Fontaine, Foreigners Everywhere 2004-24 Ph by Marco Zorzanello
* Nota
1 - Harkis il nome arabo dato ai mercenari algerini assunti senza statuto militare dall'esercito francese tra il 1952 e il 1962. Dopo l'indipendenza algerina furono di torture e vilipendio da parte della popolazione. François Holland nel 2016 ha riconosciuto, dopo una prima timida ammissione di reponsabilità del governo fatta da Sarkozy nel 2012, "le responsabilità del governo francese nell'abbandono degli harkis, i massacri di coloro i quali rimaseero in Algeria e le condizioni inumane di quelli che furono trasferiti in Francia" Pieds-noirs è il nome familiare usato per definire i francesi che vissero in Algeria fino all'ottenimento dell'indipendenza.
2 - L'espressione parafrasa la "polizia di prossimità" creata dal governo Jospin nel 1998 e soppressa da Sarkozy nel 2002 con l'argomento che la polizia aveva assunto un ruolo di assistente sociale. Il progetto era stato quello di trasformare l'immagine della polizia attraverso una sua diffusione capillare nei quartieri delle città e favorirne i rapporti con la popolazione.
3 - Cartelli che apparvero nei quartieri di Parigi durante le opere di rinnovo urbano dell'epoca.
Foreigners Everywhere/Stranieri Ovunque, 2024
Claire Fontaine
Artista collettiva femminista concettuale fondata da James
Thornhill e Fulvia Carnevale nel 2004 a Parigi Claire Fontaine dal 2017 vive e lavora a Palermo. Il
suo nome è ispirato all'iconico ready-made di Duchamp, l'orinatoio intitolato
Fontaine, e a una famosa marca di quaderni francesi (Clairefontaine); questo nome
definisce uno contesto in cui le biografie degli artisti non sono direttamente collegate
alle loro opere consentendo alla loro ricerca di diventare uno spazio di libertà e
desoggettivazione. L'uso dell'appropriazione e del détournement nel suo lavoro nasce
dalla stessa intenzione: non evidenziare l'eccellenza della singolarità unica dell'artista,
ma attivare le forme e le forze attive all'interno della nostra cultura visiva e
sottolinearne il contenuto politico. Claire Fontaine utilizza video, scultura, pittura e
scrittura. Ha pubblicato un'antologia completa dei suoi scritti con Derive Approdi nel
2017 intitolata Lo sciopero umano e l’arte di creare la libertà –ora disponibile anche
in francese e in inglese, i libri d'artista Some instructions for the sharing of private
property con One Star Press nel 2011 e Vivre, vaincre con Dilecta nel 2009. Due
monografie sull'artista sono state pubblicate da Koenig's Books: Newsfloor nel 2020,
con testi di Anita Chari e Jaleh Mansoor e Foreigners Everywhere nel 2011, con testi
di Letizia Ragaglia, Bernard Blistène, Nicolas Liucci-Goutnikov, John Kelsey e Hal
Foster.
Recenti mostre personali includono: Siamo con voi nella notte, Museo del
900, Firenze, 2020; I- WE-YES, Studio Concreto, Lecce, 2020; Your Money
and Your Life, Galerias Municipais, Lisbona, 2019; La Borsa e la vita, Palazzo
Ducale, Genova, 2019; Les printemps seront silencieux, Le Confort Moderne,
Poitiers, 2019; #displaced, Städtische Galerie Norhdorn, Nordhorn, 2019
; Fortezzuola, Museo Pietro Canonica, Villa Medici, Roma, 2016; Tears,
Jewish Museum, New York 2013; 1493, Espacio 1414, San Juan, Puerto Rico
2013; Sell Your Debt, Queen’s Nails, San Francisco 2013; Redemptions, CCA
Wattis, San Francisco, 2013; Carelessness causes fire, Audian Gallery,
Vancouver 2012; Breakfast starts at midnight, Index, The Swedish
Contemporary Art Foundation Stockholm 2012; M-A-C-C-H-I-N-A-Z-IO-N-I,
Museion, Bolzano, 2012; P.I.G.S., MUSAC, Castilla y León 2011; Economies,
Museum of Contemporary Art, North Miami 2010.
Catalogo 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia