Coabitare l'Isola
Spazio pubblico e cura dei luoghi
Dialogo
Artext - Coabitare l'Isola, Spazio pubblico e cura dei luoghi a cura di Giorgio Azzoni, Pasquale Campanella, Mimesis 2022.
Potete raccontare del progetto da cui nasce il volume?
Wurmkos (Simona Bordone, Pasquale Campanella): Il progetto, che riguarda la ridefinizione degli spazi de Il Melograno, Centro per l’età evolutiva a Malegno in Val Camonica, ha preso l’avvio nel 2018 su invito di Giorgio Azzoni nell’ambito di aperto_art_on_the_border. Il progetto di aperto_ coinvolge, sin dai suoi esordi nel 2010, le comunità montane della valle e vede il coinvolgimento delle persone e delle istituzioni che ne fanno parte.
Coabitare l’isola è stato realizzato con i ragazzi che frequentano l’allora Centro diurno di Malegno, Pia Fondazione che lo gestisce, l’amministrazione comunale, e un certo numero di artigiani del paese. Il tutto si condensa in un edificio su cui Wurmkos viene chiamato a intervenire dopo una ristrutturazione. Il progetto è inciampato nei lockdown del covid-19 che ne hanno rallentato la conclusione. Fin qui attori e tempi.
In termini di processo, la base del lavoro è il workshop settimanale con i ragazzi che per un anno e mezzo insieme agli artisti di Wurmkos hanno lavorato alla produzione di disegni nel clima sereno e aperto che caratterizza i workshop del gruppo, dove ciascuno è libero di fare secondo capacità e desiderio, e tutto ha senso e valore.
Una parte del lavoro è poi tornato a Sesto San Giovanni, sede del laboratorio del gruppo, dove ulteriori riflessioni ma anche realizzazioni si sono compiute, per tornare nella sede del Melograno che va considerata nel suo insieme come opera d’arte.
Wurmkos, workshop "Mutuo appoggio", festival "Scripta. L'arte a parole" 2023, SMS Peretola, Firenze. Foto Patrizio Raso
Artext - Quali sono per voi i riferimenti storici e attuali di un pensiero della Cura?
Wurmkos (Simona Bordone, Pasquale Campanella): Curare i luoghi di cura (James Hillmann e Riccardo Mondo tra gli altri) è stata l’idea portante di Wurmkos per diversi anni a partire da una serie di osservazioni sullo stato an-estetico in cui versano i luoghi dedicati alla cura, in particolare legati alle malattie mentali ma non solo, poi tradotti anche in progetti e opere. Riflessioni e pratiche che si condensano con chiarezza nella casa-opera di Wurmkos Abitare, la trasformazione di una comunità psichiatrica del 2004, un progetto realizzato con diversi artisti e con le persone che abitavano quella specifica comunità.
Nel caso di Wurmkos la distanza voluta dalle persone e le pratiche legate alla cura della malattia psichiatrica, anche quelle della cosiddetta Arte terapia, ha prodotto un modo di lavorare che ha lasciato aperte tutte le possibilità legate al fare artistico e ai suoi risultati, con lo sguardo ben rivolto all’arte contemporanea.
Wurmkos, workshop "Mutuo appoggio", festival "Scripta. L'arte a parole" 2023, SMS Peretola, Firenze. Foto Patrizio Raso Artext: Qual è il vostro punto di vista, il paradigma contemporaneo da voi selezionato sul concetto di arte come cura e di cura dello spazio? Quale la dimensione immaginale del processo terapeutico?
Wurmkos (Simona Bordone, Pasquale Campanella): L’idea della Cura, un concetto che occupa un ampio spazio nel dibattito attuale dell’arte, si è fatta largo negli ultimi anni a partire molte azioni dal basso di artisti ma anche di architetti e designer, spesso con altre discipline. Negli spazi abbandonati dalla collettività ma anche in quelli per qualche motivo aperti o in fase di trasformazione si sono create le condizioni per ragionamenti e azioni che immaginano un diverso modo di affrontare la cosa pubblica. Questo ha permesso che si creassero nuovi mondi immaginativi e nuovi modi di pensare l’arte pubblica, pubblica non in quanto realizzata nello spazio pubblico ma in quanto condivisa con un gruppo di persone.
Va detto chiaramente che per Wurmkos l’arte non cura nessuno: nel lavoro con persone disagiate mentalmente e/o fisicamente e socialmente, pensare che l’arte curi non solo è un’illusione ma è anche molto pericoloso. L’arte apre spazi relazionali inediti e diversi da quelli previsti dalle cure, qui sta la sua forza; apre alla possibilità di trasformare gli spazi nei quali le relazioni accadono ed è in questo che avviene la cura dello spazio, agito come nuovo in quanto denso delle relazioni e dei corpi che lo abitano, oggetto di trasformazioni che svelano il progetto artistico a cui il gruppo sta lavorando.
Wurmkos, workshop "Mutuo appoggio", festival "Scripta. L'arte a parole" 2023, SMS Peretola, Firenze. Foto Patrizio Raso
Artext - Chi è Wurmkos?
Wurmkos (Simona Bordone, Pasquale Campanella): Wurmkos, nome collettivo del gruppo fondato da Pasquale Campanella nel 1987, è un insieme di persone a geometria variabile, cioè che cambia sui diversi progetti. È composto da molte persone, nel corso del tempo quasi un centinaio, con e senza disagio psichico, ma anche da migranti, artisti, studenti, vicini di casa (del laboratorio), critici d’arte, antropologi, architetti, designer, famiglie. Insomma un gruppo, uno spazio e un modo di essere molto aperto. Attraverso questo gruppo dinamico si creano le possibilità per ripensare la collettività come luogo di tutti e fare memoria dei luoghi, dove la memoria va intesa come processo dinamico che apre ad altre visioni contemporanee.
Si tratta di creare le condizioni per cui l’espressione individuale è tutelata nella messa in comune. Del resto è ormai acclarato dalle neuroscienze che esiste un’intelligenza collettiva, cioè una condivisione di pensieri, e nella sua migliore interpretazione questo vale anche per l’espressione artistica, nessun plagio ma appunto una condivisione e uno scambio.
Wurmkos, workshop "Mutuo appoggio", festival "Scripta. L'arte a parole" 2023, SMS Peretola, Firenze. Foto Patrizio Raso
Artext - Cosa avviene nella cura dello spazio quando arte e design seppur contigui non sono la stessa cosa?
Wurmkos (Simona Bordone, Pasquale Campanella): Nella storia di Wurmkos la scultura si è spesso trasformata in oggetti d’uso, alle volte dalle sole fattezze d’uso ma di fatto inutilizzabili come il mobile della cucina della casa di Antonio Valente del 1995, presentato a Care/of o il divano di Susanna Abate in Wurmkos design presentato in Viafarini nel 1992, altre volte invece sono veri oggetti d’uso, come sedie, poltrone e tavoli, inclusi quelli realizzati per Malegno.
Sono oggetti di design nel senso che hanno una funzione ma sono contemporaneamente opere d’arte in quanto nate nel contesto dell’arte e realizzate come pezzi unici che si misurano con la fattibilità dell’oggetto. Per comprenderli è necessario sapere che nascono dalle esigenze di chi abita un determinato spazio, che vuole vedersi rappresentato per averlo immaginato e disegnato in quel modo e perché lo vive e lo vivrà usando quegli oggetti, anche fino alla loro consunzione.
Wurmkos, workshop "Mutuo appoggio", festival "Scripta. L'arte a parole" 2023, SMS Peretola, Firenze. Foto Patrizio Raso
WURMKOS
Mutuo appoggio, 2023. Workshop
Casa del Popolo SMS Peretola, Firenze
Testo di Simona Bordone, Pasquale Campanella
Il workshop
Mutuo appoggio del gruppo Wurmkos (1) a cura di Pietro Gaglianò – appena concluso a Firenze alla Società di Mutuo Soccorso di Peretola, come parte del programma di Scripta, L’arte a parole – ha creato la condizione per continuare una riflessione sulla ricerca che il gruppo sta portando avanti in questi ultimi anni. Una questione già in latenza dall’epidemia di covid-19, i giorni della “distanza”, la distanza di un metro o due, il divieto di toccarsi, di baciarsi, di abbracciarsi. Nel 2021, a quella distanza volevamo dare una forma, volevamo abitarla per creare uno spazio di attenzione verso l’altro che non fosse il distanziamento sociale. Mettere in atto un processo che creasse un luogo dove potesse avvenire un incontro e uno scambio, pur sapendo che la prossimità si realizza, come dice il filosofo Zigmut Bauman, nella distanza perché bisogna lasciare spazio affinché
l’altro possa esprimersi e non essere fagocitato. L’essere vicini non si riferisce alla contiguità o alla fusione delle identità, ma tutto avviene nell’attesa e nella capacità di ascolto. L’individualità va preservata per non assoggettarsi a un unico pensiero, così da evitare il binario dell’omologazione. Insomma, bisogna ritrovare un modo in grado di restituire una sensibilità inalienata e capace di creare un dialogo aperto anche tra vite diverse.
Il ritorno in laboratorio dopo un anno, ci ha riconnessi allo spazio, ma questa volta percependolo non come una stanza ma come un suolo che viveva sotto i nostri piedi e a cui ognuno di noi ha restituito un modo diverso di viverlo. I disparati scenari che si sono susseguiti nel tempo, ci hanno portato a pensare allo spazio come un essere vivente, come una foresta pluviale o tropicale o un organismo interdipendente. Un ecosistema composto da una gigantesca varietà di elementi e da una miriade di relazioni che governano i sistemi naturali, in cui dappertutto emerge il “mutuo appoggio”. Il riferimento fondamentale di questa pratica è stato teorizzato dal pensatore militante Pëtr A. Kropotkin: spinta primaria al centro di ogni forma di vita biologica e sociale, il mutuo appoggio si configura come un principio guida dell’evoluzione della vita sulla Terra. Nella società è la mutualità solidaristica che può aiutare a riformulare un buon lessico politico e portare l’individuo a considerare i diritti di ciascuno uguali ai propri. Questo avveniva in modo più evidente tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando le idee di cooperazione, di solidarietà e di mutualismo erano al centro del movimento operaio. Oggi sono state in gran parte scalzate dalle parole d’ordine di competitività, merito, interesse nazionale, identità, successo e profitto.
Nell’esperienza di Peretola si sono intrecciati tracce, segni e sensazioni personali, per la definizione di una forma del
luogo del mutuo appoggio da vivere insieme, capace di accogliere e far scaturire dinamiche, come dice Richard Sennett di “collaborazione che rende più agevole il portare a compimento le cose e la condivisione e che può sopperire a eventuali carenze individuali. La tendenza alla collaborazione è inscritta nei nostri geni, ma non deve rimanere confinata a comportamenti di routine; ha bisogno di essere sviluppata e approfondita” (2). Bisogna quindi rafforzare e re-imparare questa pratica, perché viviamo in una situazione in cui essa è stata repressa.
Nel workshop si sono performati liberamente i luoghi del mutuo appoggio alla ricerca di una dimensione corale. Un processo che ha coinvolto sensazioni, emozioni e pensieri in modo da far “sbocciare” bisogni e azioni reali nella dinamica di gruppo. Guardare all’organizzazione delle piante può costituire un processo di crescita importante per prendere parte alla vita sociale, e su questo Mancuso, in
La Nazione delle piante, ci fa riflettere sulla differenza tra le gerarchie animali che sono fondate su centri di comando e le democrazie vegetali, invece, diffuse e decentralizzate. Nel mondo delle piante emerge un principio di solidarietà e cooperazione, così come nei
luoghi del mutuo appoggio durante il workshop, dove abbiamo imparato a sostenerci reciprocamente, alla ricerca di un benessere collettivo e individuale. Questa propensione ha creato una
geografia di dialogo, sviluppando non solo segni visivi, ma soprattutto parole pensate e scritte che hanno preso posto là dove potessero germogliare o dare avvio a dialoghi e concetti che avessero la capacità di accompagnare i movimenti individuali o corali. Si sono create propaggini o prolungamenti visivi che hanno dato forma alla distanza e alla connessione tra i soggetti con l’ausilio di rami e canne di bambù. Il collegamento è una possibilità di coabitazione comune dello spazio, nel perseguire la definizione di una forma visiva unitaria delle relazioni. Quello che emerge è un’energia, una tensione che vede gli individui come una traiettoria sempre in movimento, lungo percorsi che portano a intrecci e nuovi incontri che modificano e possono andare in altre direzioni.
Gli elementi naturali, i rami e le canne di bambù, linee che partendo dai corpi hanno creato un ponte verso l’altro, intrecciandosi fra di loro, in una tensione che anziché separare ha unito più saldamente. Si è passati da un movimento all’altro creando mappe mentali, come quelle ispirate ai mattang polinesiani, non mappe geografiche bensì mappe di esperienza.
Wurmkos, workshop "Mutuo appoggio", festival "Scripta. L'arte a parole" 2023, SMS Peretola, Firenze. Foto Patrizio Raso
note
1 - Wurmkos è un gruppo di artisti con e senza disagio psichico e persone diverse, fondato nel 1987 a Sesto San Giovanni (MI). Ispirandosi a Franco Basaglia, lo psichiatra che alla fine degli anni Settanta operò per la chiusura degli ospedali psichiatrici in Italia, Wurmkos lavora come gruppo di artisti attraverso collaborazioni, mettendo a fuoco la concezione della condivisione, dei beni comuni, dell’abitare, della coabitazione, dello spazio pubblico, della cura, dell’impegno sociale e civico. I progetti di Wurmkos si basano sempre sulla cooperazione, chiamando all’azione diverse persone e discipline. Da oltre 30 anni, il gruppo partecipa a numerose mostre in Italia e all’estero e gestisce lo spazio no-profit Farmacia Wurmkos a Sesto San Giovanni, alla periferia di Milano.
2 - Richard Sennett, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, Milano 2012. (p. 9).