Eccentrica. Le collezioni del Centro Pecci
a cura di Stefano Collicelli Cagol
Una conversazione con Artext
Artext -
Eccentrica. Le collezioni del Centro Pecci.
Quale la necessità e l'urgenza di questa "Mostra permanente"?
Stefano Collicelli Cagol - Si tratta di rimettere al Centro la Collezione scegliendo l'area nuova forse la più idonea per una mostra permanente. Uno spazio non facile perché curvo con un'area ampia, la metà del nuovo edificio.
Lo chiamo allestimento permanente perché ‘mostra’ è legata a qualcosa di temporaneo, mentre l'allestimento permanente di
Eccentrica vuole avere questa necessità, creare degli spazi fisici di pensiero con modalità di ritorno.
Per questo ho invitato Forma Fantasma a pensare al display che mi assicurasse grande inventiva e sperimentazione nel linguaggio del dispositivo.
Non c'è Museo Italiano che oggi non abbia posto l'accento per il riallestimento delle proprie collezioni sull'exhibition design. Questa è la cifra di racconto o come la chiamava Franco Albini altro grande architetto italiano che si è occupato dell'exhibition design dell'arte… ‘
del porgere le opere o gli oggetti’.
Volevo qualcuno che con il design avesse un grado alto di sperimentazione ma nello stesso tempo potesse ambientare i corpi di chi entra in modo da invogliarli a rimanere.
Perché poi una delle grandi sfide quando si pone una collezione in modo permanente è di come puoi mantenerla viva, all'attenzione di chi la visita una volta e che magari vive nel territorio e ha piacere di tornare.
Abbiamo utilizzato l'ala nuova perché era un mandato della sua esistenza, quando è stata creata da Maurice Nio che del Centro Pecci ha raddoppiato di fatto lo spazio espositivo e dotato il Centro di uno spazio per la collezione.
Eccentrica, collection view, Centro Luigi Pecci di Prato, 2023. Photo Marco Cappelletti Courtesy Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci
AT - Una collezione a testimonianza delle scelte dei diversi direttori del Centro Pecci?
SCC - Questa è una collezione che si è venuta costruendo negli anni, dalla fine degli anni ottanta quando il Centro Pecci ha aperto, testimoniando di percorsi espositivi e le scelte che venivano fatte dai diversi direttori del Centro, che non ha mai voluto riconoscere in una linea ben specifica una missione nella collezione. Questo è anche il motivo per cui l'ho intitolata
Eccentrica.
AT - C'è un'attenzione specifica nella direzione espositiva, quasi una "
mise en espace" dove al posto di una partitura significativa con rimandi e citazioni tra le opere ci sono i materiali: la luce, i tessuti, gli elementi mobili.
SCC - La luce è sicuramente un elemento fondamentale all'interno della messa in scena della collezione. Tanto è vero che abbiamo rifatto totalmente l'illuminazione quando ci siamo resi conto che con questo sistema di tessuti l'illuminazione esistente non consentiva di avere una percezione ad hoc delle opere. Per noi è stata fondamentale questa collaborazione con Flos che ci ha aiutati con una attenzione ed una cura nei dettagli munifica a dare la giusta dimensione di visibilità alle opere in mostra.
Di sicuro c’è un effetto teatrale e mi rendo conto che l’entrata è quasi un boccascena. C'è questo elemento della moquette che viene a sfalsare i piani di percezione. Una moquette di un interno italiano degli anni 70 - 80, gli anni in cui il Centro è stato pensato, progettato e costruito.
E’ una situazione in cui ci si ambienta e dove la luce di sicuro gioca un ruolo fondamentale per poter rendere fruibile in maniera ancora più positiva questa esperienza delle opere del Centro Pecci.
Andrea Trimarchi e Simone Farresin Courtesy Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci
AT - Quali le scelte nel mostrare la collezione o nel decidere gli artisti per le differenti sezioni?
SCC - Fondamentale rispetto all'apporto di Forma Fantasma è realizzare una partitura dell'esperienza che non si sovraccarica per chi percepisce l'allestimento ma lascia liberi di creare i propri percorsi e le connessioni nella scelta delle opere d'arte. Attraverso le quattro sezioni il Museo racconta l'arte ma racconta e genera una possibilità di narrazione che è molteplice.
L’intento è di restituire questo peso specifico che ha avuto il Centro Pecci in 35 anni di attività con le opere di Anish Kapoor, Julian Schnabel, Jannis Kounellis. Allo stesso tempo grazie al lascito di Mirella Bentivoglio abbiamo potuto esporre molte comunicazioni d'artista, una ricerca che è stata fatta in Toscana da artiste femministe sulla parola e sui codici del visivo che trova proprio in questa regione un germoglio.
Fondamentale la parte dedicata all’
Architettura Radicale, un'altra delle grandi tematiche che nasce proprio in Toscana ma che ha avuto influenza globale sul discorso dell'architettura e della sua percezione.
AT - Puoi raccontare sul titolo della conversazione con Forma Fantasma, "
Il ritorno del display" che.. 'nonostante tutto non è mai scomparso dall'orizzonte sia degli storici dell'architettura che dell'arte contemporanea'.
SCC - Il tema del display torna nelle mie ricerche perché è un tema fondamentale che ho sviluppato molto attraverso il dottorato, iniziato con una domanda sulla figura del curatore e di come è emersa. Per poi analizzarla quasi come un passaggio di consegne tra l'architetto e quello che oggi noi chiamiamo curatore. Una dimensione che ho guardato molto tra gli anni trenta e gli anni cinquanta, quando c'è stata una vera e propria generazione di persone particolarmente illuminate, Lina Bo Bardi, BBPR, Carlo Scarpa, Franco Albini tra gli altri, che hanno articolato una riflessione su cosa significhi l'atto di esporre e soprattutto in un momento che la storia ridiventava protagonista del modo in cui una società si doveva ripensare.
Parlo del secondo dopoguerra. Quindi articolare un patrimonio, metterlo a disposizione di una collettività come fecero queste quattro persone particolarmente illuminate nel lavoro della museografia, per me è stata una sfida anche civica.
Eccentrica, collection view, Centro Luigi Pecci di Prato, 2023. Photo Marco Cappelletti Courtesy Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci
AT - Aaccenni in particolare a Carlo Scarpa, puoi raccontare di come ti sei confrontato con la sua sperimentazione dei materiali e gli spazi esistenti e nuovi.
SCC - Carlo Scarpa era un architetto che ha lavorato molto con il tessuto, cosi come Franco Albini, come elemento per far vibrare la luce in maniera differente, per ambientare un racconto o per noi come quello del legame della città di Prato con l'industria tessile.
Per me era fondamentale far capire a chi entra che l'esperienza del Centro Pecci non solo dura da trentacinque anni ma è un invito speciale all'interno di un contesto imprenditoriale sempre molto vivace ed attento al collezionismo del contemporaneo.
Carlo Scarpa è stato per me importante perché con il dottorato ho studiato la storia di Palazzo Grassi dagli 50 agli anni 60. E' un momento storico del palazzo che non è molto conosciuto e che non era mai stato studiato da nessuno prima di me e che invece è incredibilmente ricco perché si connette con la storia italiana e la storia delle mostre degli anni trenta.
In particolare perché Palazzo Grassi viene comprato negli anni 50 dalla Snia Viscosa, un’azienda specializzata tra l'altro sulle fibre artificiali e che per tutti gli anni trenta gode del supporto del fascismo per la promozione del proprio prodotto, un prodotto che in Italia è innovativo ma stenta a crescere perché ovviamente predominante era la fibra naturale, lana e cotone con molta più presa sull'immaginario collettivo. Un prodotto, la Viscosa che sottolinea molto la capacità italiana nella ricerca scientifica e sui nuovi modelli d'igiene.
Erano elementi molto importanti nella propaganda dell’epoca.
Con la caduta del fascismo si doveva ripensare e raccontare queste vicissitudini della Snia Viscosa. Palazzo Grassi diventa il Centro Internazionale delle Arti del Costume dove si promuove la ricerca ma in una maniera illuminatissima, visto che aprono una biblioteca, la più specializzata al mondo sul discorso del tessuto nelle relazioni con le varie discipline.
Carlo Scarpa ha il compito nel 59 di allestire la mostra "
Vitalità nell'Arte" attraverso i tessuti di Snia Viscosa, con attenzione al dettaglio, la cura del taglio ed anche del portare nel presente qualcosa del passato.
Eccentrica, collection view, Centro Luigi Pecci di Prato, 2023. Photo Marco Cappelletti Courtesy Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci
AT - A volte Carlo Scarpa deve confrontarsi con ambienti storici nelle esposizioni tematiche di arte. Sorge quindi spontanea una riflessione sull'idea ed Il desiderio che muove intorno la collezione a partire dalle “camere delle meraviglie” nel Rinascimento a cui segue la modernità che segna il passaggio democratico di una collezione da privata a pubblica.
SCC - C'è una tradizione che è lunga secoli nella scelta di come porre le opere in un allestimento di una collezione pubblica. Storicamente cambia lo sguardo e cambiano i valori e quindi la scelta dei lavori. I criteri per l'acquisizione delle opere che entrano in una collezione nel tempo sono cambiate. Ora c'è una maggiore attenzione per quella che è definita canonicamente Non-Arte, quando dal settecento in poi il discorso intorno la scultura o la pittura è stato dettato da canoni specifici.
Adesso in un periodo
postmediale, definito cosi da Rosalind Krauss, a livello di scelte è evidente un cambio di paradigma. Ed il cambio di paradigma che ancora sta arricchendo queste scelte è certo l'interdisciplinarietà. Questo è stato un grande tema per i protagonisti del Centro Pecci, iniziando a portare all'interno della storia delle esposizioni personalità eccentriche, come per la Quadriennale d'Arte di Roma che nel 2020 ho curato: Nanda Vigo, Sylvano Bussotti, Cinzia Ruggeri.
AT - Sopravvivono nella scelta delle opere da collezzionare qualità differenti, etiche, morali?
SCC - Questo interessa la modalità con cui si decide cosa è arte o meno.
Ma c'è un tema, quello per cui le grandi mostre sono state appannaggio degli artisti maschi e dei grandi movimenti come la Transavanguardia e l'Arte Povera.
L'elemento di riconoscibilità e di quello che è la fattura di chi fa arte è molto legata alla percezione che si ha della società per se stessa e di chi gestisce il racconto dei valori. Per me di sicuro è un'area sottoposta a tensioni, da interrogare e porre sempre come tema fondamentale.
Eccentrica, collection view, Centro Luigi Pecci di Prato, 2023. Photo Marco Cappelletti Courtesy Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci
AT - Quale l'esperienza che il Museo oggi propone? Il Museo come un luogo in cui è possibile osservare con attenzione e stare di fronte alla materia degli oggetti estetici? E' ancora possibile guardare all’opera d’arte come un oggetto ‘magico’ capace di innescare una serie di energie che lo fanno essere sempre parte del presente?
SCC - Per me questa è la disposizione del display, e mi rendo conto che quando si ambienta un’ opera d'arte non è semplicemente una questione di portarla fuori dai depositi e farla diventare un documento e quindi porla all'attenzione pubblica o vederla in maniera differente e su altri livelli.
Per me l'
arte del porgere significa creare una esperienza unica.
Devo dire che dall'allestimento di Forma Fantasma quello che emerge con forza è anche la potenza delle opere che non sarebbe la stessa se avesse un allestimento meno curato. E non penso perché l'allestimento crei una messa in scena tale per cui poi l'opulenza visiva restituisce e dà valore o supporta un oggetto d'arte debole - ma penso che sia perché a volte il rumore di fondo che esiste anche all'interno di uno spazio pensato come può essere quello di un museo, interferisca - questo rumore di fondo visivo, con la percezione che abbiamo di un'opera e la declini in maniera più negativa.
La scelta di avere questa sorta di tessuti che vanno a smorzare la presenza del soffitto era per me importante perché il soffitto è molto schiacciante nella percezione dello spazio dell'Ala Nio. E' un soffitto estremamente funzionale per gli elementi più performativi, mentre per quanto riguarda la contemplazione forse crea un disturbo al focalizzarsi della presenza come elemento dell’ attenzione.
Questo permette di scoprire a poco a poco l'architettura, lo spazio, dando la possibilità di dare risalto all'opera. Per me fondamentale è ancora sottolineare con forza - ed è il motivo per cui io mi sono avvicinato al discorso del display - è che sono molto scettico sulla visione del
White Cube come teorizzato da Brian O'Doherty, che fondamentalmente lo definisce e ne sottolinea bene come sia un elemento estremamente visivo e basta.
Il
White Cube è estremamente silenzioso, sconnesso dal resto della realtà dove non hai più una percezione del tempo, dove non è più importante la relazione del corpo ma è importante la relazione dell'occhio. Infatti tutti i grandi displayer hanno sempre questa idea dell'occhio che si sostituisce alla testa o al corpo. Ed invece per me l'elemento importante e tutti i grandi architetti Italiani che ho citato lo hanno sempre portato come punto di riferimento, è l'ambientamento di un corpo, che si muove, ha cellule pensanti ma anche cellule reattive che reagiscono agli stimoli.
Ma è anche un ambiente performativo, riconoscendo in questo spazio postmediale come l'opera d'arte ma anche le performance o un pezzo di musica, un pezzo di danza possano coesistere.
C’è quindi questa apertura del Centro pronto ad accogliere all'interno della propria collezione elementi ed opere certo più effimere dal punto di vista della presenza ma tali da generare anche uno spazio che diventa modo di incontro per performance, discussioni, talks, riflessioni.
Eccentrica, collection view, Centro Luigi Pecci di Prato, 2023. Photo Marco Cappelletti Courtesy Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci
AT - Che posto lasciare al termine contemporaneità, nel senso di “presente” all'interno di una Collezione? L’idea dell’istante del “qui e ora” può rendere possibile una definizione da dare all'Arte o alla sua esperienza.
SCC - Arte è una di quelle parole che sfugge ad una definizione perché ci sono tantissime relazioni e significati dati.
Per me è un campo di sperimentazione che attiva tutti i sensi, anche quando pensiamo alla relazione con il contemporaneo. Poi bisogna definire cos’è la contemporaneità, un altro grande tema di dibattito teorizzato già da Agamben che sosteneva come non si è mai in sincrono con il presente.
Per me Arte è proprio un campo di sperimentazione formale dove è comunque fondamentale da un lato la messa in crisi di una serie di elementi che riceviamo dal passato nella definizione di arte e dall'altro la capacità di farci vedere cosa di questi elementi possono esserci ancora utili, possono essere passati nel futuro.
Penso sia importante tenere aperta questa dimensione della definizione.
Ovvio che poi hai la responsabilità di selezionare e di creare anche un percorso intellegibile per chi entra all'interno del Centro Pecci, in un confronto con le proposte realizzate dal punto di vista delle narrazioni. Per questo è importante mantenere un forte legame con il passato per far capire come quello che si mostra al Centro proviene da un lungo percorso in cui i linguaggi ed i codici visivi e formali sono stati messi in discussione, sono stati messi sotto pressione.
Sono stati sperimentati da una congerie di persone che da tutto il mondo hanno avuto la possibilità di passare dalle sale del Centro Pecci e di articolare un loro pensiero su cosa sia Arte.
Eccentrica, collection view, Centro Luigi Pecci di Prato, 2023. Photo Marco Cappelletti Courtesy Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci
AT - Si può rendere possibile un bilancio attraverso questa esposizione, una riflessione sull’azione dei musei e del dispositivo mostra, complice le emergenze di questi anni?
SCC - Posso fare un bilancio sul dispositivo mostra. Non è un trend di adesso quello della collezione.
Tradition Radicaly Museology già nel 2013 ne ha trattato.
C'è un tema che è quello di come gestire la crisi, come quella del 2008 quando c'è stato un collasso della situazione finanziaria che era alla base non solo di tanti musei ma anche di collezionisti e gallerie. Poi è sopraggiunta la pandemia.
Però quello che è stato chiaro all'indomani del 2008 era che un elemento come la collezione di cui ciascun museo poteva contare, era diventato un patrimonio inestimabile.
Reina Sofía è stato forse uno dei grandi musei che ha ricostituito con l'arrivo di Manuel Borja-Villel un'idea di collezione per articolare uno spazio come bene pubblico.
Prima c'era stato il Centro Pompidou, poi il Moma. Si è capito di come la collezione che era la Cenerentola nell'economia di un museo diventasse elemento centrale nella promozione di un racconto. Certo se hai un Guernica nella collezione sei più facilitato.
Allo stesso tempo quello che per me è sempre stato importante è percepire come una collezione possa essere esposta.
Ogni Museo ha la propria storia, raccontata dalla collezione diventa un patrimonio inestimabile, per se stesso e anche per il modo di raccontarla; presentarsi a chi non lo conosce, connettersi con le emotività per chi l’ha visitata.
Ovviamente il Centro Pecci ha fatto delle mostre dedicate alla collezione ma per me era importante riattivare un segno fisico della sua presenza.
La mostra è un dispositivo costoso che continua ad avere una grande allure nelle persone, basti vedere le esperienze qui in Italia di Palazzo Strozzi, Palazzo Grassi, Hangar Bicocca. Sono dimensioni espositive che regalano sempre grandi emozioni.
Eccentrica, collection view, Centro Luigi Pecci di Prato, 2023. Photo Marco Cappelletti Courtesy Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci
AT - Un aspetto ulteriore legato al Museo può essere il rapporto che esso instaura con il contesto sociale e geografico che occupa, un legame specifico ed esclusivo con un luogo, una precisa comunità.
SCC - Si assolutamente. Questa è la sfida di qualsiasi Museo oggi.
Perché dovremmo andare a Prato, a Rivoli o a Roma a visitare il Maxxi o il Macro?
O perché possiamo andarci apposta in queste città a visitare questi luoghi...
Ed è impensabile che questi luoghi siano sconnessi dalla comunità che li può vivere quotidianamente. Perché è la comunità che se ne deve prendere cura anche dal punto di vista dell'investimento economico, nel caso del Centro Pecci la presenza pubblica del comune di Prato e la regione Toscana è fondamenta nel bilancio.
E' un imperativo della struttura farsi conoscere e far conoscere le numerose possibilità che vengono date a chi abita un territorio.
AT - Il Museo sta mostrando la sua capacità di adattarsi mettendo in discussione il proprio ruolo e la propria produzione culturale e il pubblico in qualche modo si sta rigenerando, si sta ampliando.
SCC - Soprattutto dopo la pandemia, fondamentale è cercare di capire quali sono le voci nuove che abitano il Centro Pecci. Ma questo era inscritto nella sua architettura.
Io mi sono trovato un Museo che ha un'area esterna ampia ed è ovvio che fai DJ set dopo che hai vissuto un lungo periodo di restrizioni e dunque far ballare e usare i corpi in maniera differente.
Allo stesso tempo è un Museo che ha un cinema, un ristorante, un bistrot, una biblioteca, un Urban Center, due spazi per i laboratori della didattica. Quindi è il Museo stesso che richiede di funzionare, non di relegare le sue funzioni o affidare all'area espositiva il ruolo principale.
Questo è l’ambito di un immaginario collettivo che ho sempre percepito da utente esterno… andando a vedere una mostra che spesso muove solo forme di intelligenza.
Il Pecci è un luogo dove vieni e conoscere Prato, una realtà della Toscana poco nota che ha una cultura enogastronomica, un centro della città fantastico. Il Museo del Tessuto e Palazzo Pretorio sono due posti tra i più eleganti in Italia, curatissimi ed il Duomo che ha questi capolavori di un rinascimento meno conosciuto rispetto ai grandi nomi.
Per me si tratta di sollecitare questa conoscenza in un momento condizionato dal turismo - viverci nella quotidianità, far capire che c'è un luogo come il Centro Pecci che ha lo spazio fisico, mentale e funzioni che devono essere sollecitate e rese altrettante protagoniste come quelle dello spazio espositivo.
Stefano Collicelli Cagol Courtesy Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci
AT - Dalla scrittura d'arte alla curatela, alla direzione del Museo. Quali sono i suoi riferimenti ispirazionali nell’Arte?
SCC - Io ho sempre cercato di portare avanti entrambe le aree. Ho iniziato nel 2004 con Francesco Bonami come assistente curatore della raccolta alla Villa Manin. Nel frattempo avevo vinto una borsa per la ricerca post-laurea sulla Biennale di Venezia. Quindi l'elemento accademico ma anche la dedizione ad una pratica.
In realtà il primo internship che ho fatto nel 2003 è con Carolyn Christov-Bakargiev, appena arrivata al Castello di Rivoli. L'imprimatur per scoprire un modo che vivendo a Venezia mi era completamente sconosciuto, quello dei musei di arte contemporanea e di questa figura che articola un pensiero anche attraverso le opere, com'è quella del curatore, cosi da sviluppare un elemento discorsivo nella dimensione immediata del corpo e di tutti i sensi, come accennavo prima sul display.
Per quanto mi riguarda devo dire che il punto non è il curatore o il critico. Sono molto sospettoso quando qualcuno si specializza su determinate aree. Per queste attività in realtà devi essere aperto, capire cosa ti sta accadendo intorno. Poi è ovvio che ti specializzi in un discorso anche teorico, ma non è quello che devo fare io né come direttore né come curatore, perché limitante.
La dimensione per chi fa scrittura e per come è organizzata l'Accademia credo che richieda un altro tipo di percorso. Mi riconosco in questa necessità di avere la mente ed i sensi aperti a 360 gradi e capire dove sta andando il mondo.
Il digitale è il motivo per cui ho voluto chiudere l'allestimento di
Eccentrica con l'Architettura Radicale che poi sarà la prossima sfida per la collezione. Trovo che molti artisti hanno difficoltà nell'abbracciare totalmente il digitale perché si rendono conto che ancora non ne governano né controllano tutti i meccanismi, che in molta parte sono organizzati da soggetti terzi.
C'è una certa allerta e su questa allerta a me piace stare.
Artext - C'è un progetto che la rappresenta di più,.. puoi raccontare la sua genesi?
SCC - Di sicuro la Quadriennale. Per una sorta di imprinting all'inglese si sono uniti il mio percorso accademico, avevo studiato il Palazzo delle Esposizioni con il mio dottorato e la mostra era al Palazzo delle Esposizioni. Avevo guardato all'arte italiana giovane attraverso una residenza per giovani curatori della Fondazione Patrizia Sandretto Re Rebaudengo dal 2010 al 2014, mi ero poi confrontato con il mio Dottorato sulla
Storia delle Esposizioni in Italia.
Quindi gestire un progetto complesso di ricerca come con la Quadriennale di Roma mi ha permesso di raccogliere quello che avevo seminato per anni nei miei studi curatoriali delle mostre e di viaggi per l’Italia, nell'incontrare tanti artisti giovani e nel connetterli con una genealogia specifica italiana, aprendo e mettendo sotto pressione questa narrazione canonica dell'arte che sembrava monolitica.
Durante i miei anni di studi esclusiva era l'Arte Povera e la Transavanguardia come se oltre a questi movimenti non ci fosse stato nulla. C'è stata invece una stagione fervidissima, effervescente di relazioni nei diversi ambiti come abbiamo dimostrato in Quadriennale e come oggi molti artisti giovani e meno giovani stanno esperimentato.
Performance live di Gea Brown per “L’ora felice in La maggiore”
AT - Quando incontra gli artisti o va nei loro studi quale dinamica si innesca?
SCC - Cerco sempre di disinnescare la dinamica del potere che si instaura tra artista e curatore.
Non sono io che vado nello studio o l'artista che viene nell'ufficio ma ci si trova in un luogo dove si è alla pari e si può articolare un primo momento di conoscenza e di scambio. Dove io racconto quello che piace a me, ma si parla anche d’altro. Sono dunque delle conversazioni iniziali che danno un poco la temperatura emotiva di come la relazione possa avvenire.
Non credo nel racconto dello Studio Visit da parte di curatori e critici perché penso sia un esercizio di potere inutile. E’ una relazione talmente personale lo studio visit, di due persone che hanno la possibilità di articolarsi al di fuori e al di là anche dei propri ruoli.
Per me è una condizione di irraggiamento condiviso, che può evolvere o no.
Poi davanti alle opere è ancora meglio. Una volta passato questo primo step del trovarsi in un luogo altro, mi piace molto andare a confrontarmi direttamente con le opere, vederle ed articolare una serie di questioni con chi le ha fatte. Di sicuro è una dimensione che mi piace vivere ma riconosco che ci sono delle dinamiche che devono essere disinnescate a priori.
Hear Feel Dance, Ascolto fisico con Marco Mazzoni, laboratorio
AT - La progettazione e la programmazione implicano in qualche modo dover immaginare il futuro al Centro Pecci. Quali le idee per lei che guideranno i prossimi anni?
In un’epoca definita della post-verità e dagli sviluppi di un'intelligenza artificiale ha ancora importanza e forza il concetto di sacralità?
SCC - Bisogna resistere a questa idea, questa tendenza che di sicuro i social tendono a sviluppare, che spesso agitano producendo sovraeccitazione.
La collezione vuole questo, vuole rallentare nella direzione della contemplazione. Dal punto di vista della programmazione poter scegliere e chiarire quali sono gli intenti che devono essere perseguiti. Da un lato penso che sia fondamentale il costituirsi di comunità - anche comunità giovani, dall'altro dare la possibilità a chi è stato toccato dall'incontro con il Centro di continuare a vedersi riconosciuto da un luogo, il Centro Pecci che sta crescendo e si sta trasformando.
Quindi assicurare che questo edificio diventi una casa per tutte le persone è fondamentale, ma lo si può fare grazie a delle progettualità che intersechino gli spazi espositivi che non siano necessariamente legati solo a questo, stabilendone dei ritmi.
Mirella Bentivoglio, “Il consumatore consumato (uomo à la coque)”, 1974
AT - L’arte può essere cura: di un archivio, una biblioteca, una patologia...
SCC - E' scientificamente dimostrato che dare impulso alla propria creatività, che tu sia artista o meno è fonte di benessere. L'incontro con l'arte è fonte di benessere. Abbiamo un progetto di riferimento quello della Fondazione Fresco che abbiamo creato come atto di beneficienza. E' andata molto bene perché ci ha permesso di raccogliere 70 mila euro che sono stati devoluti per le attività dedicate al Parkinson.
In tutta la provincia di Prato non esisteva una istituzione culturale dove potersi confrontare.
Ci sono studi scientifici che dimostrano come il cervello migliori molto le sue capacità nel confrontarsi con gli oggetti sensibili dell'arte.
L'arte è una cura ed è fondamentale che ci sia chi se ne prenda cura.
Un’arte però che renda molto tangibile questa cura e quindi predisponga delle attività e disponga per le comunità che possano avere degli incredibili benefici nell'incontro con l'arte.
In tal senso abbiamo ottenuto un importante finanziamento per l'abbattimento delle barriere architettoniche dotandoci di sistemi sensoriali adeguati. Ciò renderà sempre più accessibile non solo fisicamente ma anche dal punto di vista dei contenuti quello che è il patrimonio e l'attività del Centro Pecci.
Eccentrica, Centro Luigi Pecci di Prato, 2023.
AT - La cura della terra, il rapporto con la natura, la responsabilità ambientale sono tematiche di riferimento nella recente qualificazione del territorio circostante al Pecci: Area Pecci “Il sogno della foresta” con 53 alberi e 37 arbusti. Pensato come un posto conviviale a servizio del Museo ma anche di scambio, di sosta e di lettura. Luogo di apprendimento sulla biodiversità, sui cambiamenti stagionali e soprattutto luogo di sapere.
SCC - Infatti è una delle dimensioni più interessanti che vorrei diventasse una fonte di ricerca forte anche perché molte sfide ce lo richiedono. Inoltre abbiamo anche questo patrimonio dell'Architettura Radicale che si è venuto a costituire dalla fine degli anni sessanta dopo l'alluvione della città di Firenze. Questo per dire quanto sia cruciale che l'arte e l'architettura indaghino gli elementi e le materie legate all'ecologia e alla scienza.
Quindi si tratta di un ambito che trova all'interno del Centro Pecci una cassa di risonanza che porterà a conclusioni certe. Sono molto felice di avere questo bosco che richiama anche l'importanza che qui ha avuto la natura, basta osservare la quinta arborea dell'anfiteatro che è stata creata fin dagli inizi a testimonianza anche di come l'elemento ed il dibattito sul verde sia un elemento centrale che fa eco a tutti i progetti.
Sono state fatte delle presentazioni all'Urban Center per mantenere sempre attivo il dibattito e l'attenzione verso questi temi. Adesso stiamo ospitando il Padiglione Italia per la Biennale di architettura di Venezia con un bellissimo intervento sul paesaggio in Toscana e la sua diversità.
AT - La recente esposizione del 2022,
Il giardino dell'arte. Opere, collezioni la prima mostra da lei curata è un percorso che si è snodato nelle dieci sale dell’ala storica del Museo tra opere realizzate da artisti italiani e internazionali di generazioni diverse.
SCC - Si, è una mostra che ho curato e realizzato in tempi brevi.
Quello che mi interessava era poter sottolineare come all'interno di una esperienza artistica si possono vedere tante dimensioni - la mia era quella di un giardino realizzato nell'ala storica costruita da Gamberini ed ambientarvi dei capolavori di emozioni.
Questo per me era una dimensione della cura e del collezionare, del raccogliere e tenere le opere.
Molte di queste provenivano da collezioni private e quindi trattengono già qualcosa di bello che si vuol tenere per sé, ma allo stesso tempo c'è anche una dimensione del prendersi cura.
Il riferimento alle opere e alla cura del giardino viene dal poema di Victoria Mary Sackville-West che nel corso della guerra mondiale mise in atto, anche con piccoli gesti una strategia di attenzione alla natura e alle sue declinazioni.
Confrontarsi con cosa effettivamente si può fare nel piccolo questa era l'importanza della mostra, ma non è tanto piccolo il Centro Pecci.
Eccentrica, collection view, Centro Luigi Pecci di Prato, 2023. Photo Marco Cappelletti Courtesy Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci
Eccentrica. Le collezioni del Centro Pecci