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La fine del mondo
A cura di Fabio Cavallucci

 
Qui ZhijieQui Zhijie. Installation view of The Map of the Third World, photo: Ksenia Kolesnikova



Aprire un luogo espositivo è un'impresa già di per sè complessa, ma qui a Prato abbiamo voluto strafare. Abbiamo voluto inaugurare il nuovo edificio del Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci con una grande mostra internazionale, affrontando un tema - la fine del mondo - che appare di per sè una sfida, puntando nel contempo a far incontrare le arti visive con la musica, il teatro, la danza, il cinema e le altre arti, e provando a rinnovare in qualche grado il sistema espositivo tradizionale, ossia reinventando il concetto di mostra. Troppe sfide in una? Forse. Ma siamo convinti che è un museo che apre, o meglio come questo, che riapre dopo consistenti lavori di ampliamento, dovrebbe rappresentare e fin dall'inizio le intenzioni della sua ricerca.

Partiamo dalla mostra: la fine del fine del mondo-

In tempi di cambiamenti climatici globali, di quelle difese che hanno fatto dire al papà che siamo di fronte alla terza guerra mondiale anche se combattuta pezzetti, viso di emigrazione irrefrenabili, irrefrenabile di brexit che se non di tutto il globo segna per lo meno la fine dell'Europa, non eccessivo parla di fine del mondo; uno sguardo catastrofico sembrerebbe consentito ed è, diciamolo, avallato dagli eventi. Ma non questo tema che la vuole affrontare.

Thomas HirschhornThomas Hirschhorn. Break-through (one) - 2013 - photo: Luciano Romano, courtesy of Galleria Alfonso Artiaco


Negli annunci iniziali sulle modalità di gestione del Centro Pecci ho spesso ribadito che avrei voluto portare avanti un'idea di arte più vicina alla società, che tocchi i problemi della gente. Ora è chiaro che La fine del mondo, nonostante tutto, non è una questione che ci accompagna nel quotidiano, non è il primo pensiero che ci coglie al risveglio ogni mattina, a meno che non facciamo parte di una setta millenarista. Ma quando ci riferiamo agli aspetti in cui l'arte può toccare gli interessi della società, intendiamo gli interessi alti, le domande più importanti e universali. La fine del mondo rappresenta qui il tentativo di dare un nome a un sintomo molto diffuso: lo stato di incertezza, la condizione di sospensione, l'incapacità di comprendere i grandi cambiamenti presenti, che ci fa pensare che una situazione che abbiamo conosciuto finora sia ormai giunta al termine. Fino a qualche decennio fa possedevano ideologie e semplici abitudini mentali che anche di fronte a cambiamenti epocali non andremo mai messo in discussione: l'idea di progresso, il capitalismo o il comunismo (che per quanto opposti, i manifestano un'identica tensione al miglioramento), per non parlare delle strutture di base di interpretazione della realtà: il principio di causa ed effetto la successione temporale. Ora, non sono tanto la fisica e la filosofia ad avere messo in crisi tutte queste certezze (il che è stato da ormai più di cento anni senza che questo abbia realmente minato la nostra vita quotidiana), ma una percezione diffusa di in attualità che pervade molte delle nostre azioni. Agiamo in questo mondo, ci sembra di essere capace ancora di gestirlo, vi aspettiamo i nostri vecchi criteri, così come siamo abituati, ma il mondo ormai non risponde più come un'automobile che procede su una strada ghiacciata, con sterzo e freni che reagiscono ai comandi solo con un ampio margine di imponderabilità. Ecco allora questa fine del mondo. Non una fine catastrofica, apocalittica. Certo, c'è anche questo rischio, che una ristrutturazione di rapporti politici e sociali come risultato dei cambiamenti già avvenuti implichi fatti eclatanti. Anzi, purtroppo è ciò che storicamente avvenuto nella maggioranza dei casi. Ma è più un senso di distacco dal presente e ci coglie: il mondo appare davanti a noi come prima, sembra ancora un meccanismo completo e funzionante, e invece un reperto fossile. Perché la fine del mondo, in fondo, è già avvenuta. Non la fine del pianeta, ovviamente, che se anche l'uomo dovesse continuare a impostarlo per migliaia di anni o se una pioggia di asteroidi dovresti colpirlo avrebbe ancora vita lunghissima. E’ la fine del ‘nostro’ mondo, dei processi percettivi e cognitivi che dall'antica Grecia a oggi hanno costituito le basi del tema del pensiero occidentale, che poi è quello oggi globale.

E come ogni epoca che volge al termine, anche questa ci spinge a guardare indietro, a ripensare al passato, ai tempi del pianeta che sono incommensurabilmente più lunghi di quelli umani. Ci sovviene la dimensione della tata degli spazi cosmici, gli anni luce che ci separano dalle stelle più vicine, i moti inesorabili delle galassie, delle stelle, dei pianeti. In questi spazi enormi e in questi tempi sempiterni la nostra esistenza umana si riduce a una dimensione infinitesimale.

È un po' come se entrassimo dentro il nuovo edificio di Maurice Nio, una specie di navicella spaziale arrivata da chissà quale pianeta o pronta a partire per chissà quale luogo del cosmo, e ci trovassimo istantaneamente proiettati a qualche migliaio di anni luce di distanza dalla Terra. Da lì, i fatti umani perdono valore. Possiamo vederli con distacco, attuando un esercizio della distanza. Possiamo riconoscere, nelle vicende umane, più le leggi della fisica e della chimica che l'impulso della volontà. Possiamo vedere le conseguenze di necessità meccaniche, dove con sguardo ravvicinato avremmo riconosciuto volontà individuali a guidare le vicende della storia. In fondo le guerre, i tentativi di supremazia di una civiltà su di un'altra di un popolo se non altro non sono altro che biologici meccanismi di espansione continuità resistenza propri di tutte le specie cosa sono le brevissime vicende umane se paragonate alle vicissitudini delle stomatoliti, esseri unicellulari che hanno attraversato milioni anni di mutazioni per arrivare salve fino a noi, arroccate in qualche ansa del continente australiano dove l'acqua è troppo salata per consentire ad altre specie di crescere e di farle soccombere. Cosa è la distanza sulla terra e in confronto alle distanze enormi coperte dalle sonde che hanno visitato Plutone e che si stanno spingendo oltre i limiti del sistema solare? Cosa sono le comunicazioni terrestri in relazione alle onde che due buchi neri lontanissimi, arrivando sulla terra dopo milioni di anni, hanno fatto registrare in background cosmico.

Un sentimento diviso tra vanità delle nostre azioni, nostalgia per ciò che è stato (che da umani abbiamo amato) e non è più, e - forse qualche bagliore di futuro, come sempre non ancora riconoscibile nel momento in cui avviene, di queste atmosfere è fatta la mostra.

Robert Kuśmirowski Robert Kuśmirowski  STRONGHOLD, 2013, Lyon Biennale.

 

La fine del mondo
A cura di Fabio Cavallucci
Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci
@ 2016 Artext

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