Alcune parole di Flavio Favelli
Pietro Gaglianò
“Le parole hanno
o non hanno potere d’illusione.
Hanno valore in se stesse”.
Antonin Artaud
Gli artisti visivi, soprattutto di recente generazione, hanno sempre maggiore familiarità con la scrittura, vuoi per l’incidenza continua di bandi di qualsiasi tipo ai quali concorrere vuoi perché l’abilità nell’argomentare testualmente la propria ricerca sembra ormai indispensabile alla tenuta della ricerca stessa.
Molto più raro è che questa scrittura si trasformi in una lingua letteraria con uno stile personale, una maturità della composizione e una specificità del lessico che rendano la scrittura riconoscibile come parte dello stesso orizzonte estetico in cui si muove l’artista. È questo il caso di Flavio Favelli, un artista che potrebbe essere anche uno scrittore.
Oppure un artista che nella sua complessità include la parola scritta e la narrazione verbale come forma propria e non ausiliaria, una forma parallela alle opere e strettamente legata a esse ma anche autonoma, godibile senza il bisogno di trovarla descrittiva né funzionale.
In questo breve glossario rizomatico Favelli sceglie alcune parole associate alle opere realizzate per la mostra ma l’oro, il mobile, il cartone e l’insegna luminosa sono solo il punto di spicco per una riflessione che corre parallela alla parte visibile del lavoro. La scrittura rivela l’artista al centro dell’architettura di riferimenti e nostalgie, di condizionamenti, ossessioni e predilezioni che percorrono tutta la sua opera.
Flavio Favelli, Profondo Oro, 2020. Veduta dell’allestimento. Arte in Fabbrica. Foto Serge Domingie
Leggere quello che Flavio scrive a proposito della lucentezza dei materiali o della bellezza “composta e gentile” dei cartoni non porta a una spiegazione delle sue scelte poetiche; apre semmai un ulteriore spazio di riflessione, più accessibile nel suo essere discorsivo ma non didascalico. Le parole di Favelli sono come gli oggetti, le carte e le parti di mobili assemblate nelle sue opere: ognuna può essere connessa al lettore (o all’osservatore) e può illuminarlo improvvisamente in quella condizione d’eccezione che è l’esperienza dell’arte, quando la realtà che si ritiene solida e impassibile viene deragliata da un’accelerazione dei sensi, dell’immaginazione e dell’intelletto.
Ma sappiamo già che la comprensione derivata da questo incontro non somiglia a un prontuario di istruzioni.
Ecco perché a leggere i lemmi che seguono invano ci si potrebbe aspettare una mappa del labirinto, una leggenda per decodificarlo e uscirne intatti. Non è all’artista che bisogna chiedere il capo del filo di Arianna. Antonin Artaud lo scriveva a proposito del teatro, dichiarando che l’importante, in definitiva è questo: "la formazione di una realtà, l’irruzione inedita di un mondo”; il teatro, e ogni espressione artistica non finzionale, non propagandistica, non tesa all’intrattenimento, “deve darci questo mondo effimero ma vero, questo mondo tangente al reale”1.
In questo mondo, che non imita il vero e non intende giustificarlo, la mappa possiamo comporla solo noi che leggiamo, noi che guardiamo.
1. Antonin Artaud, Il teatro Alfred Jarry, 1926.
Flavio Favelli, National Office, 2020, assemblaggio di insegna trovata, misure ambiente. Foto Serge Domingie
Glossario
Flavio Favelli
Insegna luminosa
Kaloderma, Splügen, Riello, Pura Lana Vergine, Cora, Cinzano. Si distinguono queste insegne al neon sui palazzi nello sfondo di una foto al Wrappel Monument a Vittorio Emanuele di Christo, in Piazza del Duomo a Milano nel 1975. Le insegne neon sono come delle iscrizioni, delle epigrafi, come le tavole della legge, coi suoi ordini - Bevete Coca Cola! Mi sono immaginato spesso di stare ai piedi di una grande insegna col rumore moderno dei trasformatori e sotto il cono di luce artificiale e sguaiata dei neon. in una città vuota.
Flavio Favelli, Eldorado, 2020, assemblaggio di mobili e specchi, smalto, (dettaglio). Foto Serge Domingie
Superfici dorate, lucide, riflettenti, specchianti
Il mondo si divide in lucido e opaco, per anni sono stato per l’opaco, ma un giorno, non ricordo quando, il lucido mi si è presentato in modo differente.
L’opaco di norma starebbe in un ambito più riflessivo lunare, avveduto, contrariamente al lucido, più sfacciato e frivolo.
Anche se la nuova moda delle auto sembra ribaltare la cosa, da sempre lucide e oggi, nei modelli più audaci, opache, che prima era esclusività delle auto di servizio dei militari, delle Uno verde oliva dell’Esercito Italiano.
Ma le superfici del retro, i loro interni, non sono superfici anonime, hanno uno status di supporto, di specchi o scatole di dolciumi o cartelli di latta metallici che inscenano una serie di immagini proprio perché sono oggetti non anonimi, proprio perché hanno un rapporto eterno con la loro parte “nobile”, quella “giusta”, che appartiene a territori ambigui, di vanità e di cose rese pubbliche, da rendere pubbliche per acquistare notorietà.
Questa loro doratura, lucentezza, il loro riflettere e specchiare ha una intensità e una composizione che trovo in sintonia con la mia psicologia, ha un "significato estetico" importante.
Flavio Favelli, Made In Italy, 2020, acrilico su muro cm 950x1200. Foto Serge Domingie
Muro dipinto
Il muro della strada dipinto è forse l’operazione più difficile da affrontare oggi in arte.
L'opera resta e raccoglie lo sguardo dei cittadini nel quotidiano, senza preamboli e cornici. L’immagine nuova è generalmente accettata se si inserisce in una serie, in una linea creativa che la Street Art ha fatto sua.
Un po’ come quando c’è la Biennale di Venezia, i locali la tollerano, ci può essere qualsiasi cosa che si rassicurano: “è una cosa della Biennale”, cioè è inquadrata in una precisa situazione a scadenza, ricorrente, come viene se ne andrà. Più difficile invece se sui muri c'è qualcosa di diverso, di non codificabile e inquadrabile sia perché la società legge sempre in modo letterale (un po’ come gli integralisti leggono il Corano), sia perché è abituata a vedere la pubblicità sui muri, sia perché cerca sempre un significato chiaro e, in fondo, perché non sa che “l’arte è arte”. Ma è fuori dubbio il potere di queste immagini che escono dal museo, ma che per sopravvivere devono anche sempre scendere a compromessi, perché generalmente vengono calmierate, sono sofisticate, nel senso di alterazione
.
I murali (sono chiamati sempre murales con la s finale, per via di quella idea che si portano dietro di sociale, a tinte socialista, da America Latina e anche un po’ Sardegna), che preferisco chiamare muri dipinti, hanno varie caratteristiche, perfette per misurare la temperatura attuale.
Poco adatti alla commercializzazione, con una natura pubblica, con l’anima della pittura, l’Arte/Lavoro per eccellenza, sembrerebbe che incarnino proprio una definizione del ruolo delle opere d’arte che ha dato Arthur Danto: “hanno esteriorizzato un modo di vedere il mondo, esprimere l’interiorità di un periodo culturale e offrire se stesse come uno specchio per cogliere la coscienza dei nostri re”.
Flavio Favelli, Profondo Oro, 2020. Veduta dell’allestimento. Arte in Fabbrica. Foto Serge Domingie
Mobile impiallacciato e torri
La questione dell’arredo è sempre stata una cosa seria in famiglia, ma non perché fosse un vezzo, una passione, ma perché nella casa borghese era un compito, un incarico increato, una responsabilità sociale. Del mio passato ricordo sempre i mobili delle stanze, vere e proprie bussole capaci di dare misure, proporzioni agli ambienti, mettere a fuoco i momenti, dare veridicità alle situazioni.
Più dei pavimenti e dei lampadari, i mobili sono le anime scure che mi parlavano, sono dei riferimenti sentimentali.
C’è sempre stato un avvicendamento di mobili nella mia vita che hanno seguito più i turbamenti spirituali che le idee. Gli ultimi che ho a casa non funzionano tanto, le porte non chiudono completamente, tanto sono stati rimaneggiati, riadattati e con qualche tentativo di forzato arrangiamento a soddisfare certe idee e immagini trascurando il loro compito.
Sono sempre mobili trovati come quelli che tento di presentare come opere d’arte (perché solo l’arte può includere questo tentativo di rappresentazione). Mostro parti smembrate, pezzi che ne presuppongono altri, accostamenti, nuovi intarsi spontanei, che incarnano un’idea di spirito, cercano di esprimere una lingua visiva che tenta di stare in equilibrio fra lo sbrogliarsi dalla matassa psicologica della famiglia e da quello che rappresenta e un rigetto composto. Una matassa, un corpus fatto di forme, ombre, abitudini e oggetti, idee e sguardi, orazioni e posture, cartoline e documenti fiscali.
Questi mobili/Contenitori devono essere prima “trattati”, aperti e scassati, disossati nelle ferramenta e mondati, quasi scuoiati così che ci si possa addentrare anche nel retroscena del lavoro artigianale, un gran organismo, per poi procedere alla loro investitura.
Flavio Favelli, Profondo Oro, 2020. Veduta dell’allestimento. Arte in Fabbrica. Foto Serge Domingie
Cartoni
Le scatole di cartone che contengono prodotti diventano subito scarti nonostante ci sia uno studio e un gran lavoro attorno a questi progetti.
Sono involucri seriali marroni con la marca-logo-scritta monocolore, raramente a due colori. Si trovano nella spazzatura che oggi è sempre più interdetta, le discariche sono off-limits, i bidoni della carta sigillati; bisogna chiedere in anticipo al Responsabile del Gran Supermercato di potere scegliere le carcasse di cartone e meglio dire che servono per il trasloco, anche i Responsabili potrebbero avere certi sospetti.
La scatole “smontate”, appiattite diventano superfici lisce coi segni delle pieghe, delle scritte, delle abrasioni regolari del nastro adesivo scollato. Sono segni lineari, regolari, ritmici e formalmente rassicuranti. In alcuni, oltre al nome-logo, c’è anche lo slogan, una sentenza che non vuole mai dire nulla, ma per questo misterica, profetica. Nonostante siano marchiati, danno un senso di quasi anonimato; è l’unico prodotto di qualità che si può possedere senza spendere soldi.
Trovo composti e gentili questi disegni sequenziali, che su fondo “marron” diventano scarichi,
sommessi, emarginati. Agenti dell’abbondanza, i cartoni, nonostante l’apparenza, sono eterni.
Flavio Favelli, Profondo Oro, 2020. Veduta dell’allestimento. Arte in Fabbrica Foto Dino Incardi
Flavio Favelli. Profondo Oro