Quando mi è stato proposto di curare una mostra per il white cube presso BBS-pro di Prato, ho subito pensato di attingere a un’esperienza precedente lungimirante e purtroppo inusuale per il mondo artistico contemporaneo, mi riferisco al progetto “TU35” realizzato dal Centro Pecci nel 2015 e 2016. Lo scopo è stato di mappare i giovani artisti e i giovani curatori under35 delle province toscane per organizzare esposizioni che raccogliessero una testimonianza diretta del territorio, il tutto tramite la preziosa guida di curatori/critici della regione più esperti. Ciò mi ha permesso di entrare in rete con una serie di professionalità a cui mi sono legato nel tempo e che sono stati ispiratori della mostra Identità17 #digitalartprato. Ho incontrato molti artisti in Toscana, ognuno con delle proprie specifiche tecniche e di approccio, originali nel loro linguaggio. La mia ricerca, volta soprattutto alla sperimentazione, mi ha portato ad approdare su uno dei terreni maggiormente discussi del nostro settore, la digital art. Sono rimasto affascinato dalla attualità del mezzo e dalle ampie possibilità espressive a cui si presta l’elaborazione digitale; mi ha colpito molto la capacità di manipolazione, e quindi di distorsione, delle immagini, concetti molto attuali che vengono spesso associati ai progressi tecnologici. La fase di studio è stata una fase per fortuna obbligata dal momento che non si trovano facilmente critici o curatori esperti nella corrente che ho deciso di esplorare (la New Media Art). Domenico Quaranta e Fabio Paris, due stimati professionisti, mi hanno offerto il loro aiuto almeno per quanto concerne un’introduzione generica all’ambiente in cui mi stavo inoltrando. Paris è direttore del Link Art Center di Brescia, punto di riferimento del movimento italiano
www.linkartcenter.eu e Domenico in quanto esperto critico di New Media Art e autore di un libro fondamentale “Media, new media e postmedia”.
La New Media Art è una forma espressiva che esplora l’utilizzo delle tecnologie con finalità artistiche, dall’avvento delle tecnologie di tipo ingegneristico-informatico ha subito una accelerazione costante e ha toccato diversi linguaggi, la video arte è stato quello più contaminato. Dagli anni cinquanta del Novecento in poi ha subito vicissitudini alterne che l’hanno a volte premiata e a volte ne hanno messo in discussione la propria appartenenza al settore artistico. Molti tentativi si sono succeduti, ma molto spesso hanno sbattuto contro una critica poco avvezza ad accettare qualcosa che non aveva molti riferimenti con la tradizionalità dell’arte, sia essa intesa come antica o moderna o contemporanea; contro una non idonea preparazione di persone incaricate di seguire concettualmente il movimento; contro una mancanza di lungimiranza della visione di istituzioni museali internazionali, anche se sporadicamente illuminata; contro una male attribuita concezione di facilità di uso dei materiali e delle tecniche tecnologiche al cospetto di forme analogiche (la macchina contro il pennello). Ha trovato terreno fertile negli stati industrializzati e ad alto livello di integrazione informatica (USA, Austria, Germania, Giappone su tutti), in altri invece ha trovato ostacoli difficilmente sormontabili. L’Italia è una fucina importante di talenti artistici digitali che però non hanno trovato grandi possibilità di esporre e di farsi notare al grande pubblico nostrano, molti di loro infatti lavorano o risiedono all’estero.
Da queste considerazioni la necessità curatoriale di creare un collegamento con l’esperienza tradizionale artistica per Identità17. Non si tratta di un compromesso, bensì di una ponderata e non sofferta scelta di esporre un linguaggio inusuale in una forma e supporto comprensibile, famigliare, l’arcaica ma sempre ben comprensibile forma quadro. Con gli artisti abbiamo lavorato sul tema dell’identità applicata alle tecnologie informatiche (software, social network) e alle problematiche a essa relative (furto d’identità, di informazioni, fake news, etc..). Importante è stato il lavoro per la scelta della tipologia di supporto su cui presentare le opere, una criticità non da poco in una situazione di questo tipo: per le stampe digitali sono possibili molte varianti riguardo alla tipologia di stampa, inchiostro, carta da utilizzare. Per ognuno abbiamo individuato una specifica tecnica che ne ha risaltato gli aspetti peculiari delle opere come i colori e in alcuni casi creando un gioco di effetti ottici tridimensionali o in rilievo. Molto stimolante è stato lavorare con autori diversi per esperienza e linguaggio - Guido Segni è un grande sperimentatore della NetArt (corrente legata allo sviluppo di processi artistici fruibili in rete e che indaga le contraddizioni del mezzo di comunicazione più diffuso a livello globale), Valerio Pellegrini che è un infografico (elabora dati e statistiche al fine di produrne un grafico che rispecchi i criteri di leggibilità ed estetica) e Asimodt che si esprime con lo smartphone (e quindi le molteplici applicazioni connesse) - soprattutto per la riflessione su come esporli insieme in uno spazio aperto, dove ognuno vive in comunione con l’altro. Asimodt e Segni hanno indagato principalmente il tema del furto e della manipolazione delle identità: partendo da immagini certe e definite ne hanno modificato la loro percezione astraendole attraverso l’utilizzo di dispositivi informatici. Nel primo artista il movimento è l’elemento chiave - inteso nella sua accezione futurista di conseguenza dello sviluppo tecnologico e quindi di cambiamento della società civile - tradotto in linee e forme che simulano la nascita e la precoce obsolescenza di progressi scientifici. L’identità torna nei tre lavori di Segni della serie anonymous, creata e successivamente censurata dal pixel, strumento unità di misura delle immagini digitali. L’indagine sulle contraddizioni del mezzo continua nel sito internet
A quiet desert failure e nelle due tavole estratte: attraverso un algoritmo il sito ha avviato un processo di mappatura del deserto del Sahara attraverso l’utilizzo delle immagini di Google Maps, una missione impossibile visto che le dune sono in continuo naturale mutamento che puntualmente ne modificano il profilo: internet dunque fallisce nella sua missione di archiviazione. Pellegrini presenta l’installazione Zero composta da 7 grafici in cui confluiscono informazioni instabili: ci presenta e ci guida in un percorso nel quale non sono definiti gli scopi, nè forniti modelli di decifrazione, ma di cui apprezziamo la narrazione attraverso simboli e segni precisi. Come nel Situazionismo italiano di Simonetti e Baruchello la conclusione è lasciata allo spettatore. L’allestimento ha giocato un ruolo chiave per la comprensione della mostra: ogni artista ha avuto a disposizione una o più pareti e hanno quindi potuto godere di un ampio respiro per leggere bene i contenuti dei quadri.
Leonardo Pecchioli ( @_asimodt_ ) Riavvolgimenti e avanzamenti veloci simultanei series. (Bbs pro gallery)