D. - Lavori abitualmente in studio o la progettazione ha luoghi ed attrattive differenti per le idee da realizzare?
Francesco Carone - L'idea di studio mi ha sempre affascinato e per anni vi ho speso gran parte del mio tempo, ma per svariati motivi, da un po' mi sono dovuto (e voluto) abituare a lavorare anche in luoghi diversi da questo. Per quanto riguarda l'ideazione invece, ogni luogo, ogni momento, ogni condizione è sempre stata valida.
L'attesa (scultura/sirena)2014 terraglia, scatola di cartone courtesy SpazioA, Pistoia
D. - In questi nuovi lavori esposti alla galleria di SpazioA sembri interessarti alla disponibilità al piacere della forma e della materia, pur ammettendo che queste qualità sono in parte indotte da un livello inconscio. Puoi dirmi dell’idea fondante di questa esposizione?
F.C. - Sento dire spesso banalità circa l'età giovanile e su quanto questa sia legata alla freschezza ed all'immediatezza del pensiero; piuttosto direi invece ad un insicuro bisogno di affrancarsi continuamente 'dimostrando'. Un'urgenza di dimostrare le proprie capacità, la propria cultura, la propria intelligenza, dimostrare di essere appropriati, di essere tragicamente 'pronti'... Fino a poco tempo fa avevo un enorme bisogno che ogni cosa del mio lavoro fosse logica, spiegabile, coerente, in un certo qual modo razionale. Mi sforzavo che non facesse acqua da nessuna parte e potesse 'dimostrare'. Col tempo si impara a scrollarsi di dosso certi gioghi comprendendo meglio le proprie esigenze, le proprie passioni, le urgenze e i desideri. Si accetta il fatto che le cose accadono e che non è necessario trovare ogni volta una spiegazione logica a tutto; non tanto come contrapposizione ma come altra parte di noi stessi.
Ho sentito il bisogno di sfidare un'idea di eterno. Eterno è il canone, la statuaria classica, il marmo di cui è fatta...ma se mi permetti il paradosso, ancor più eterna è la montagna da cui quel marmo fu cavato. Ho accettato di fare entrare nel mio lavoro la parte più inconscia, istintiva, quella meno razionale, legata al gusto della materia e della forma e quindi forse anche più diretta. Ho progettato 'ambienti' lasciandovi angoli in ombra; addirittura intere stanze non illuminate e senza finestre...perfino senza porte. Luoghi dove poterci nascondere qualsiasi cosa e dove qualsiasi cosa potesse esser scoperta da me, prima che da chiunque altro. Cose di cui stupirmi o di cui rimanere per sempre all'oscuro. La considero una modalità animale, dionisiaca...estremamente erotica. Ecco, il tema fondante della mostra è proprio l'erotismo.
Boudoir visione parziale della mostra, SpazioA, Pistoia foto: Serge Domingie
D. - Costante nel tuo lavoro è l’interesse ai temi della trasformazione e della circolarità dei processi creativi.
F.C. - Il mio interesse per la circolarità non si è stemperata, ma ha preso forme differenti. In Boudoir, ogni opera rimanda alla successiva e completa la precedente; alcune opere derivano fisicamente da altre, anch'esse esposte. In altre le didascalie ci possono aiutare a capire cos'erano prima, a capire il loro percorso e la storia che le ha portate ad essere ciò che sono adesso; un gioco continuo di rimandi per mantenere viva la curiosità e il desiderio di arrivare in fondo, una dopo l'altra, come ad un cesto di ciliegie.
Ho deciso di spargere in galleria, in maniera apparentemente casuale, delle ciliegie di ceramica, non tanto con la funzione di ulteriore opera in mostra ma come equilibrio e bilanciamento formale dell'allestimento. Una vera e propria punteggiatura rossa per scandire i tempi di sospensione e rafforzare i legami di continuità e conseguenza tra una scultura e l'altra.
D. - Da sempre l'arte e ognuno di noi è coinvolto in un gioco complicato con lo sguardo dell'altro. E questo gioco che è paradigmatico del nostro tempo, ha una lunga storia, ed ha a che fare anche con l'aura come surplus visivo. Come ti confronti con questa sostanza che nell’arte religiosa si dava come aureola e segno di santità?
F.C. - Dirò una cosa controversa: penso che in tutta la storia dell'arte vi siano in realtà pochissime vere opere...veri capolavori, come si suole chiamarli comunemente. Molti meno di quelli che l'interesse di mercato, la voglia di fenomeno, il bisogno di genio e la storia stessa, ci vogliono far credere. Adesso poi la cosa è ancor più palese; ci sono sicuramente troppi artisti, troppe opere ed è sempre più difficile districare lo sguardo.
Gli artisti producono pochi pezzi degni di nota; pochissimi capolavori. Talvolta uno solo in tutta una vita. La maggior parte, nessuno. Gli artisti senza capolavori, servono da contorno culturale, da humus, da lisciatori di pista per chi scivolerà finalmente a produrre il suddetto, agognato capolavoro. Sono pulviscolo, necessario ma comunque sia, solo pulviscolo...forse può sembrare che stia uscendo fuori tema perdendo di vista la domanda. Mi hai chiesto dell'aura: ecco perché ho esordito con il discorso dei 'pochi capolavori'; l'aura è l'unico modo che abbiamo per discernere quando ne abbiamo uno di fronte.
Quella che tu chiami aura, io la chiamo spazio di rispetto. É l'opera stessa a suggerirtelo inspiegabilmente. Scoviamo in quella forma (o immagine) un motivo di distrazione eterno e insieme qualcosa per cui mantenere eternamente la concentrazione. Ci impone una fascinazione attrattiva ma allo stesso tempo (seppur in un diverso piano temporale), ci costringe distanti. Un forte desiderio di avvicinamento e di possesso ma allo stesso tempo un timore, una sorta di magnetica riverenza. Un insormontabile, incorruttibile spazio di rispetto. Non c'entra nulla il livello culturale dell'osservatore, l'istruzione o l'abitudine a frequentare mostre...da queste mere variabili dipendono solo le opere normali. Ma quello a cui mi sto riferendo io è qualcosa di più grande. Questa è quella che tu chiami aura e solo a questo un artista dovrebbe tendere.
Lap Dance (part.) 2013 ottone, ceramica, legno courtesy SpazioA, Pistoia foto: Serge Domingie
D. - Appartieni ad una generazione di artisti, ad un movimento specifico del contemporaneo?
F.C. - Appartengo sicuramente ad una generazione, perlomeno dal punto di vista anagrafico.
La visione, il progetto, il valore, l'aspirazione: in queste non mi sento però di appartenere a nessuna generazione specifica.
Mi sento diverso dai miei coetanei e anche da coloro con i quali nonostante tutto condivido esperienze, mostre e progetti. Esiste un movimento diagonale al tempo. Una generazione che procede trasversalmente scavalcando la fisica e le weltanschauung e riuscendo a mettere in relazione casi affini, situati stocasticamente nella storia...
D. - Ti capita di fare considerazioni sulla politica dell'arte, come ti relazioni con i contesti sociali?
F.C. - Oltre alla pratica più tradizionale che utilizza come strumento di indagine, prevalentemente la scultura, c’è un'altra parte del mio lavoro fatta di progetti e iniziative con i quali negli anni ho coinvolto persone, istituzioni ed altri artisti...
Penso a progetti come Titolo, come Tempozulu o USBGallery o come l'ultimo dal punto di vista temporale che è il Museo d'Inverno.
Museo D'inverno Sede (Fonte Nuova) Via Pian d'Ovile, 29 -Siena-
D. - Che cos’è il Museo d’inverno? Un luogo dove avvicinare al linguaggio dell’arte contemporanea gli abitanti e i visitatori di Siena?
F.C. - Museo d'inverno è un progetto creato insieme ad Eugenia Vanni...
E' un vero e proprio museo all'interno di un piccolissimo spazio con originali caratteristiche architettoniche e ottenuto grazie alla lungimiranza (primo esempio unico nel suo genere) della Contrada della Lupa, uno dei 17 rioni in cui è suddivisa Siena.
Vi invitiamo artisti italiani ed esteri a presentare qui le proprie collezioni d'arte personali. Opere che questi hanno acquisito negli anni attraverso scambi, regali o collaborazioni. L'intento è quello di presentare (e scrivere) con modalità museale, una storia dell'arte parallela, spesso sconosciuta ai più, fatta di incontri, di amicizie e di frequentazioni che ogni artista ha durante la propria carriera. Il primo invito lo abbiamo rivolto a Maurizio Nannucci che ha deciso di proporre alcuni pezzi regalategli dall'artista texano James Lee Byars con cui è stato legato da una grande amicizia per quasi trent'anni. Il prossimo, a fine maggio, sarà Miltos Manetas che proporrà la sua collezione di opere web.
Tempozulu intervento di Alfredo Pirri, pietra posata nel 2005 Via dei Servi -Siena-
D. - Una riflessione sull’arte pubblica ti ha condotto alla realizzazione del progetto artistico Usb Gallery, una galleria come porta seriale per considerazioni su l’arte e l’universo Elettronico, i comportamenti e le fruizione che ne derivano e sei ideatore e curatore del progetto Tempozulu, con cui da anni inviti artisti e operatori culturali italiani ed internazionali a lasciare un contributo permanente sulle pietre della pavimentazione delle vie di Siena..
F.C. - Questi due progetti, al di là del loro valore e delle differenze formali, sono nati entrambi, con piglio vagamente polemico e sovversivo, per delle precise esigenze di spazio. Spazio fisico e mentale che purtroppo la mia città non vuole (e non sa), ormai da troppi anni, offrire.
USB Gallery era un progetto che realizzai nel 2007 con Chritian Posani. Una vera e propria galleria ma pensata in termini di byte e non di metratura. Fisicamente si trattava semplicemente di una porta Usb collocata in un'interstizio del muro esterno dell'enorme compleso museale del Santa Maria della Scala a Siena. Una sorta di luogo abusivo in cui i visitatori potevano accedere attraverso l'inserimento di un qualsiasi dispositivo Usb. In un'era in cui la rete ha abbattuto le distanze spazio-temporali rendendo possibile lo scambio di dati in tempo reale, il nostro tentativo era quello di proporre mostre fatte di codici binari ma ricontestualizzate in uno spazio fisico preciso, per spingere così i visitatori a recuperare la dimensione dello spostamento e stimolare una riflessione sul concetto di spazio.
Tempozulu invece è un progetto tutt'ora attivo ed in progress iniziato nel 2004 insieme a Gregorio Galli, Bernardo Giorgi e Christian Posani con i quali invitiamo, senza precisa cadenza temporale, personalità dell'arte, della musica, della filosofia e in genere di tutti gli ambiti culturali a regalarci una frase o un segno che poi facciamo incidere su una delle bozze in pietra serena di cui è costituita la pavimentazione stradale di Siena. Interventi quindi offerti alla distrazione dei passanti, tesi a riassorbirsi con il tempo e la naturale consunzione della pietra esposta agli agenti atmosferici ed al calpestio. E' un progetto che con la sua 'orizzontalità', assenza di ingombro e diffusione, induce riflessioni sul concetto di monumentalità, di arte pubblica e sui metodi di fruizione di questa.
D. - Il progetto espositivo itinerante Titolo l’edito inedito nasce dalla tua passione d’artista per i libri e per l’editoria. Si tratta di una mostra, di una collezione e, nello stesso tempo, di una biblioteca..
F.C. - TITOLO l'edito inedito è un progetto piuttosto difficile da spiegare brevemente nella complessità delle sue fasi... Concentrando più possibile, posso dire che nasce dalla mia passione per i libri e dall'aspirazione infantile di diventare uno scrittore.
Si tratta di un'opera/mostra/collezione/biblioteca in 10 puntate itineranti (che chiamo capitoli), dove convivono pezzi di molti artisti italiani ed esteri, allestiti assieme e accomunati da una stessa indagine. Una raccolta in progress di opere in cui sia in evidenza almeno un prodotto editoriale realmente esistente; lavori quindi realizzati modificando, raffigurando, stravolgendo, fotografando, collezionando libri, giornali o riviste esistenti al di là dell'opera che li contiene.
Alla fine dei dieci capitoli, i pezzi torneranno ai legittimi proprietari e saranno sostituiti con delle copie dei libri citati e usati dagli artisti. Con queste pubblicazioni vorrei realizzare una piccola biblioteca. Contemporaneamente darò alle stampe una raccolta di dieci racconti (uno per capitolo) scritti da me, per esser poi anch'essa inserita all'interno della suddetta biblioteca.
Titolo -l'edito inedito- 2014 visione del Cap.II 'Il giardino d'inverno' visibili opere di: (a parete da sx) Emanuele Becheri, Francesco Bernardi, Marco Neri (a terra) Francesco Carone Casabianca, Zola Predosa, Bologna
D. - Come definire questi progetti?
F.C. - Non credo che abbiano bisogno di particolari definizioni. Sono una parte fondamentale del mio lavoro e vanno ad unirsi, seppur apparentemente differenti, alla scultura, all'istallazione e alla grafica. Non li percepisco come in antitesi ad altre modalità espressive che utilizzo, ma come estensione l'una dell'altra. Appendici e completamenti.
Non è problema dell'artista dover definire ciò che fa. Egli segue ciò che percepisce come urgente e che contemporaneamente lo diverte e lo esalta. E' compito degli altri, se interessati, trovare connessioni e cronologie; dare ordine e definire.
D. - Come ti immagini il futuro? Come ti pensi dal futuro immaginato?
F.C. - Tendo a non immaginarmi nessun futuro in particolare...pur desiderandone infiniti.