Francesco CaroneL’inconsolabile
a cura di Ilaria Mariotti
Tutta la mostra è un dialogo tra opere che appartengono a periodi diversi della ricerca di
Carone. Sculture, installazioni che hanno la loro origine nel mito come modalità dell’uomo di
raccontare e raccontarsi la sua esistenza nel Mondo, costruiscono delle genealogie attraverso
la Storia dell’Arte, prendono in prestito i materiali dal mondo della Natura e li sovrappongono
o li accostano a oggetti prodotti dall’artificio dell’artista. La contrapposizione del gesto – la
mano “che fa” – insensato perché perdente in partenza nella falsificazione della Natura stessa.
Un gesto sempre operoso e tuttavia l’unico possibile.
L’“inconsolabile” del titolo si riferisce alla lettura che Cesare Pavese fa del mito di Orfeo e chiama in causa la fitta partitura letteraria di cui è intessuta l’opera di Carone.
Orfeo, che unisce in sé l’apollineo e il dionisiaco, è protettore delle arti e capace di un
rapporto magico con il mondo della natura. La sua lira incanta, piega al suo volere e alle sue
necessità l’umano e la Natura tutta, muove e commuove esseri animati e cose, anima
l’inanimato in una vicinanza culturale e emotiva insieme.
Tuttavia neanche Orfeo può sottrarsi alla morte che avviene in modo selvaggio e scomposto:
secondo il mito classico Orfeo muore smembrato dalle Baccanti furiose per la sua fedeltà a
Euridice o per essere state trascurate dai loro uomini ammaliati, anch’essi, da Orfeo.
Per Pavese Orfeo è inconsolabile non tanto per la perdita di Euridice: Orfeo sceglie di voltarsi
sulla soglia degli Inferi contravvenendo al patto fatto con Ade e Proserpina perché sa che
nulla sarebbe tornato come prima, il suo destino è compiuto nel viaggio agli Inferi, Euridice
una stagione della vita che non sarebbe tornata.
Francesco Carone, Acheropita, 2021 Noce nazionale, Noce Daniela, Olmo, Frassino, Amaranto, Doussie Asia, specchio d’oro, 6 pezzi cm 43x31x7 ciascuno, veduta della mostra, courtesy l’artista e SpazioA, Pistoia foto: Ela Bialkowska, OKNOstudio
Sui temi e sul riferimento a Orfeo Carone si sofferma: “Spesso mi ritrovo a trattare temi ed argomenti senza sapere come, quando e perché ci sia arrivato. Questo non significa affatto che tratti argomenti a caso, ma che ignoro il processo (inconscio?) che mi ci ha condotto. Orfeo rappresenta l’ideale conclusione di un ciclo mai dichiarato forse neppure a me stesso e tantomeno progettato con una precisa scadenza, di tre mostre: la prima su Apollo e la seconda su Dioniso, volutamente fusi e confusi con Giano, con Ermes, con Narciso e con mille altre figure suggerite dalle mie letture ma ancora più da ciò che credo ed immagino al di là delle verità mitologiche, storiche e tradizionali. Poco tempo fa mi sono imbattuto nuovamente in una tarsia marmorea rinascimentale attribuita a Francesco di Giorgio, in una cappella laterale della basilica di San Domenico a Siena. La conoscevo bene ma l’avevo dimenticata. Qui Orfeo, seduto in mezzo agli animali, tra il sole e la luna, impugna uno specchio e in quel gesto vi ho rivisto duplicato al contrario l’Orfeo di Cesare Pavese. Da lì in poi è stato come scivolare senza controllo in un cunicolo di rimandi, assonanze, doppi sensi e riletture di ciò che stavo facendo ed avevo già fatto. Ho continuato a scivolare in questo imbuto fangoso ben oltre l’inaugurazione stessa della mostra. Per tutto questo tempo sono sprofondato senza soluzione fino a pochi istanti fa in cui, per un’assurda teoria dei vasi comunicanti, mi ritrovo nuovamente al punto di partenza. Ho dimenticato la tarsia, le motivazioni, i miti, le letture, le fantasie, le assonanze, le mostre precedenti, le opere e anche quello che ho appena scritto…”.
Francesco Carone, Ordine, 2021, (particolare) intervento site specific per la mostra L’inconsolabile, posidonia su parete + posidonia su carta (cornice in legno con vetro) misure ambientali e cm 120x95x4 foto: Ela Bialkowska, OKNOstudio
La stanza di apertura della mostra ospita la
La Serpe (2012): la distesa di palloncini colorati
in cui si annida appunto il serpente. Rinnovamento e rinascita, connesso alla sessualità, alle
energie opposte, alla ciclicità, simbolo delle arti mediche ma fatale anche per Euridice,
generatore dunque di tutta una parte importante del mito di Orfeo. I palloni colorati ci
introducono in un clima di festa ma anche di caducità, secondo Pavese, del tempo di festa di
chi non sa ancora.
Il mito di Orfeo coagula in forma letteraria alcuni dei temi che tornano nella ricerca di
Carone: il tema dominante della morte ineludibile
in primis. L’altro tema importante riguarda
l’inganno che l’uomo costruisce per credere all’illusione di poter dominare e influenzare la
Natura.
Carone osserva l’Universo nella sua dimensione cosmica e particolare insieme rinnovando e
perpetuando lo stupore nel riscontro della continua tensione tra Arte (finzione) e Natura
(verità).
Carone raccoglie dal mare, dalla terra, dai boschi, colleziona reperti organici o manufatti
spesso trasformati dagli agenti atmosferici e che hanno subito un processo di riappropriazione
da parte della natura come, in mostra, in
S.C.B. (Cenacolo), del 2014, una porzione di tronco d’albero scolpito dagli agenti atmosferici e dagli insetti). Osserva l’architettura intima e portante delle specie vegetali e minerali.
Guarda il cielo come firmamento, ne rileva l’organizzazione con uno sguardo non scientifico,
ordinatore e poetico insieme.
Francesco Carone, L’inconsolabile, veduta della mostra, Villa Pacchiani Santa Croce sull’Arno, courtesy l’artista e SpazioA, Pistoia
foto: Ela Bialkowska, OKNOstudio
In mostra opere come
L’astronomo (2020), un giovane sorridente dalle fogge settecentesche,
una fusione in peltro seduto su una sfera di ceramica smaltata. Altre sfere stanno al posto
delle sue braccia, gli orbitano intorno, lo rendono una figura attiva eppure impotente.
Quello dell’artista è il tentativo immancabilmente fallimentare e tuttavia caparbio di domare
la natura attraverso l’osservazione e l’imitazione dei suoi fenomeni.
L’astronomo guarda altrove, sorride e il suo sguardo è lontano. Una sorta di strabismo di attenzione evocato in tutta la mostra anche attraverso la puntuale presenza di opere come
Strabismo (2018) dove due calchi di noccioli di pesca si posizionano alle due estremità di un’asta di ottone posta a terra quasi a segnare una sorta di possibile duplice direzione di attenzione. Più in là
Fantasma (2016) la fotografia del capitello antico in marmo riscolpito, rigenerato (ma anche parzialmente distrutto dall’intervento dell’artista) e inserita in una cornice triangolare sembra indicare le
tre dimensioni/direzioni possibili nell’azione umana e sul cui senso si interroga l’artista:
avanzare, restare o tornare indietro.
Nella stessa stanza de
L’astronomo e di
Strabismo Acheropita (2021) si compone di sei specchi d’oro incorniciati da legni di diversa provenienza (nuovamente una rappresentazione del mondo?) e caratteristica: pronti ad accogliere l’immagine temporanea di chi vi specchia come icone su fondo oro.
Francesco Carone, L’inconsolabile, veduta della mostra, Villa Pacchiani Santa Croce sull’Arno
courtesy l’artista e SpazioA, Pistoia foto: Ela Bialkowska, OKNOstudio
La mostra è costruita attraverso un dialogo tra le opere che oscillano tra universale e
particolare, tra osservazione e immaginazione, tra piccolo e grande. Tra osservazione e
scoperta, tra sorprendente e immaginifico (
Lap dance del 2013 pone su un’asta di ottone un
fungo, l'Amanita caesarea, brillante, di ceramica, il fungo più prezioso e delicato e nonostante
tutto il più spudorato nel rivelarsi), desiderio e delusione.
Il tema del viaggio, dell’esplorazione di un mondo e di un cosmo è suggerito da alcune opere come
Tuttosesto (2014), un pezzo di vela su cui sono applicate stelle dorate di ceramica così come
nella padovana Cappella Scrovegni di Giotto, dove la Natura è intesa come luogo abitato dai
personaggi dipinti, da
Corona australe e
Corona boreale (2014), due disegni punteggiati da luminosi diamanti sintetici: due costellazioni simili ma di due emisferi opposti, attraverso l’incrocio apparentemente casuale di linee tese a rappresentare altre forme. Il bisogno pareidolico dell’uomo di comprendere riducendo a forme note.
Il dialogo tra Natura e Artificio è l’architettura portante di tutte le opere: in
Nocciolo (2012)
un nocciolo di pesco è intagliato nel legno di pesco, uguale nella fisionomia e nel materiale a
un vero nocciolo esso sarà tuttavia immancabilmente non generativo: l’azione di copiare sarà
fallimentare perché artificiale. Così come
Finzione e realtà (
Arte e Natura) del 2018 un calco
in gesso e cristallo di gesso.
Francesco Carone, Nocciolo, 2012 legno di pesco; per l’occasione esposto all’interno di una campana in vetro soffiato del Settecento cm 2,8x1,6x2 scultura, teca cm 70x35x18 veduta della mostra courtesy l’artista e SpazioA, Pistoia foto: Ela Bialkowska, OKNOstudio
Tonsura (2012) mette in dialogo una calotta cranica umana e un guscio di noce di cocco.
Con le posidonie raccolte e essiccate Carone realizza
Ordine, un’opera specifica per lo spazio: un
colonnato e un capitello di acanto che costituiscono un riferimento ai tanti modi in cui l’arte ha preso spunto dalla natura per organizzare lo spazio in cui l’uomo si muove. Le posidonie si
sostituiscono al disegno, conservano la loro fragilità nel costruire l’architettura a cui tuttavia
prestano la partitura. Con questo materiale in mostra anche
( ) [ ] { } (2018).
In
Vestigia (2014) l’artista ricolloca licheni su plinti di cemento disseminati a conclusione del percorso di mostra come antiche rovine su cui la mano dell’uomo ricerca un nuovo ordine e decorazione.
Palinodia (
Ctonio ed Uranio) del 2013 sono le due fotografie che insieme a
Vestigia chiudono la mostra o indicano al contempo un nuovo inizio: due scale che in modo ambiguo sembrano condurci in un luogo oscuro o verso un’uscita luminosa.
Francesco Carone, L’inconsolabile, veduta della mostra, Villa Pacchiani Santa Croce sull’Arno courtesy l’artista e SpazioA, Pistoia
foto: Ela Bialkowska, OKNOstudiostudio
Francesco Carone (Siena, 1975) lavora principalmente con la scultura e la grafica realizzando opere di natura
spiccatamente poetica e visionaria, fondendo esperienze intime personali a colti rimandi alla storia dell'arte e alla
letteratura, in una sorta di esercizio psicanalitico involontario. Le sue opere ruotano attorno a temi ricorrenti
quali le tempeste, le stelle, i miti, gli idoli, l'erotismo, il dettaglio, il dubbio, il subconscio, la caducità umana
riscattata dalla bellezza, solo per citarne alcuni.
Le sue opere sono conservate in alcune delle più prestigiose collezioni italiane ed estere, compresa la Farnesina
del Ministero degli Esteri a Roma.
Alle pratiche più tradizionali, affianca inoltre progetti collaborativi più complessi dove i concetti di opera,
collezione, museo e allestimento convergono in varie forme. Tra questi vale la pena ricordare Tempo Zulu,
progetto con cui da anni vengono invitati artisti e operatori culturali italiani ed internazionali a lasciare un
contributo permanente inciso sulla pavimentazione delle vie del centro storico di Siena e TITOLO l'edito inedito,
opera/mostra/biblioteca itinerante, suddivisa in dieci 'capitoli'.
Infine è ideatore e fondatore, insieme ad Eugenia Vanni, del Museo d'Inverno (www.museodinverno.com), uno
spazio a programmazione stagionale in cui vengono invitati artisti nazionali ed internazionali di varie
generazioni a presentare una selezione di opere altrui ma provenienti dalle loro collezioni private.
Dal 2006 la sua galleria di riferimento è SpazioA di Pistoia (www.spazioa.it).
Francesco Carone. L’inconsolabile