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Francesco Giomi
Musica imprevedibile

 
Francesco Giomi Francesco Giomi, 2022 by Laura Farneti


Francesco Giomi
Musica imprevedibile.
Storia, metodi e training per l'improvvisazione collettiva.

Artext - La musica non scritta - Improvvisazione libera e collettiva una pratica diffusa ma poco frequentata dagli studi testuali.

Francesco Giomi – Certo, le pratiche non scritte collettive sono meno frequentate da un punto di vista musicologico e teorico, ma molto frequentata da un punto di vista pratico: ormai l'improvvisazione è diventata una pratica diffusissima, a maggior ragione ed in particolare con le tecnologie e i set elettronici. Quindi c'è questa discrepanza tra un campo di studi poco frequentato e un campo di espressività estremamente frequentato, questa cosa ha destato molto interesse da parte mia, non dico certamente per colmare questo gap in maniera esaustiva, ma per dare un contributo che potesse essere di utilità ai musicisti, ad orientarsi, e di questo c'è bisogno. Quando si affronta un argomento con consapevolezza, per orientarsi e acquisire consapevolezza storica sulle esperienze e sui metodi. Questo aspetto è fondamentale, dopodiché l'idea è quella di lavorare sulle espresioni collettive invece che sul campo dell’improvvisazione solistica..

Certamente l'improvvisazione si colloca in una dimensione opposta a quella della tradizionale musica scritta, ma l'improvvisazione libera, con le tecnologie elettroniche o no, si è nutrita negli ultimi sessant’anni anche di esperienze ibride, di leader, di conductor, di improvvisatori che a volte hanno utilizzato la scrittura per formalizzare degli appunti, dei frammenti, dei contenuti, per inventare degli schemi. E su questo ci sono casi molto interessanti, dai pionieri fino ad oggi.
L'improvvisazione è oggi un campo veramente molto vasto che racchiude tante espressività diverse, una moltitudine. E' un campo plurale che si diffonderà ancora molto, molto più della musica scritta.

Francesco GiomiFrancesco Giomi, Conduction LFO in space, TRF 2020, foto Simone Petracchi


AT - In questo libro fai una rassegna delle esperienze più significative - problemi e i temi più interessanti e peculiari di questa pratica - e le possibili strade da seguire - l'improvvisazione elettronica, elettroacustica. Si arriva a concludere che la musica elettronica dal vivo coincide con l'improvvisazione.
Puoi dire dunque dell'importanza di questa pratica e come lega con le tecnologie?

FR - Intanto quando dico che coincide con l'improvvisazione è evidentemente un paradosso, ma gli strumenti di oggi (analogici o digitali) offrono immediatamente la possibilità di improvvisare, è una attitudine del tutto naturale.
C'è quindi questa idea che il musicista crede, attraverso l’elettronica di potersi liberare da una espressività molto formale ed espressiva, e quindi utilizza le tecnologie per fare questo, e devo dire che questi strumenti sono lì quasi per questo: consentono libertà, trasformazione del suono, novità in ogni istante, sorpresa, e cosi via.
In più questa l’idea stessa di strumento musicale non è più confinata alla tradizione: addirittura ciascuno può costruire il proprio strumento, assemblando vari dispositivi esistenti, commerciali oppure auto-costruiti. Il performer assembla questo set, questi strumenti in una maniera a lui congeniale, che è diversa da ogni altra. Quindi viene meno questa idea di strumento musicale fissato e sempre uguale nel corso del tempo.

Se hai uno strumento particolare, qualunque esso sia, devi esplorarlo, devi fare training strumentale e questo fa si che si aprano una serie di possibilità, e nella maggioranza degli strumenti, questo accade grazie alla loro flessibilità.
Quindi si capisce come la possibilità di poter usare questi strumenti diventa molto libera, distante dall’essere vincolati a un testo; di conseguenza questo fa si che questo sperimentare sugli strumenti richiede inevitabilmente una pratica esplorativa, ecco perché arrivo a dire che oggi questi due aspetti quasi coincidono.

E' difficile trovare musicisti elettronici dal vivo che non hanno un minimo di libertà espressiva dedicata all'improvvisazione, dipende da cosa si interpreta, cosa si fa... molti sono contemporaneamente esecutori e compositori, altri eseguono le proprie partiture, altri interpretano i lavori di altri. Le partiture di John Cage, dove ci sono elementi di libertà e di indeterminazione o la musica intuitiva di Stockhausen, o altre partiture e schemi concepiti da grandi musicisti prevedono un importante ruolo creativo dell'interprete, sollecitando tutte quelle idee di libertà espressiva di cui dicevo prima.
Nel campo dell’elettronica per l’improvvisazione, tanto i dispositivi e le tecnologie attuali quanto già quelle del mondo analogico, ci sono state esperienze significative sin dalla seconda metà del Novecento: mi riferisco alla musica elettronica dal vivo prodotta a Roma da GINC o MEV, alle esperienze inglesi di Hugh Davis e dei Gentle Fire, alle numerose esperienze americane e così via.

Francesco GiomiScratch Party/Schema di improvvisazione audio-visiva, RoBOT 13, Accademia delle Belle Arti Bologna, 2022, foto Roberto Deva


AT - Eseguire l’inatteso. Da dove inizia nell’arte lo spirito dell’improvvisazione?
Arti dell’improvvisazione - quale il concetto-base ? Esse vengono distinte secondo una loro più o meno stretta adesione al concetto di performance o a quello di «prodotto», cioè un artefatto ‘risultante’ da precedenti pratiche..

FR – Certo l'improvvisazione è praticata già dall'epoca epoca barocca, anzi è connaturata alla musica fin da quando esiste. Basti pensare alle improvvisazioni idiomatiche come quelle legate ai contesti geografici (i suonatori di tabla dell’India, per esempio) o a quelle del jazz. Dal canto mio mi occupo di improvvisazione libera, con tutti i significati che questa parola può avere, per esempio libera dall'idioma, come dice a più riprese Derek Bailey uno dei grandi padri dell'improvvisazione europea.
Non mi interessava andare oltre, ho iniziato ad indagare l'improvvisazione libera dal punto di vista storico in relazione al periodo degli anni Cinquanta-Sessanta-Settanta del secolo scorso, quando sono emerse alcune esperienze fondamentali, come Fluxus, lo straordinario movimento di persone e di idee che in maniera del tutto originale ha espresso molto dal punto di vista della libertà dell'improvvisazione e del rapporto con l’opera d’arte.

Molto interessante per me è stato il discorso sul rapporto tra performance e prodotto, e non a caso ho utilizzato, come da tradizione, la parola processo, perché quando si improvvisa la realizzazione collettiva è quasi sempre legata all'idea di processo, di qualcosa che accade, si trasforma in continuazione, si evolve in qualcos’altro, anche attraverso la trasmissione ad un ascoltatore, ma senza questa ossessione del prodotto finito, dell’opera fissata, che è invece tipica di una certa arte legata alla scrittura.

Molti improvvisatori rifiutano l’idea di un prodotto e sono in qualche modo restii alla fissazione di una performance, ovvero alla registrazione dell'improvvisazione. Ma è pur vero che l'improvvisazione è talmente forte e potente che spesso è stata usata come processo creativo all'interno di costrutti espressi come prodotto. Così per fare una certa composizione, un autore reallizza e registra sessioni di improvvisazione, prendendone poi solo alcune parti, le migliori e fissandole su un supporto o con la scrittura.
Questa è una pratica del tutto lecita, comune a molti compositori, anche dell'avanguardia storica.
Quindi si vede come l'improvvisazione sia uno strumento che attua e mette in moto dei processi che possono essere interessanti sotto molti punti di vista, definibili con più lenti di ingrandimento o con più approcci differenti.

I processi si attivano durante una performance, che rappresenta uno dei vertici del tipico triangolo generativo dell'improvvisazione: training-performance-analisi. Evidentemente l'improvvisazione funziona con un training, non c'è il concetto di prova tipico della musica tradizionale: i musicisti si trovano insieme e sperimentano, provano delle tracce, delle idee, dei punti di riferimento delle reogle, degli schemi e crescono insieme. Poi viene la performance vera e propria, come output indispensabile e imprescindibile di questo training, e di conseguenza prevede anche un pubblico, un’interazione con l'ascoltatore. L'ultimo estremo del triangolo è l'analisi, l’ascolto, la decodifica e la discussion di quello che si è fatto, per poi tornare nuovamente al training, modificandolo, in una sorta di triangolo virtuoso basato sulla retroazione. Questa tipologia di modello mette bene in evidenza i vari gradi di libertà creativa e i tanti livelli di lettura dell’improvvisazione.

Francesco GiomiScratch Party/Schema di improvvisazione audio-visiva, RoBOT 13, Accademia delle Belle Arti Bologna, 2022, foto Roberto Deva


AT- Quali i meccanismi di attivazione e di regolazione nelle pratiche improvvisative?

FR – Nel mio libro non parlo dei maccanismi cognitivi o di attivazione dell'improvvisazione da parte di un performer, ma su questo c'è un'ampia letteratura in proposito. Personalmente ho condotto questa “azione musicologica” perché mi interessava indagare il campo poco esplorato dell’improvvisazione collettiva, ma non ho avuto una pretesta esaustiva.
Posso solo dire che è comune a tutti quelli che ho incontrato, grazie ai loro scritti o alla loro testimonianza (ma questo è comune anche agli studenti con cui lavoro), che improvvisare usando il modello triangolare training-performance-analisi di cui dicevo prima, fa “stare bene”, è fonte di divertimento e di piacere. Questo lo ritengo un fatto fondamentale. Più si ha soddisfazione più il processo si raffina, più migliora l'atto improvvisativo più crea godimento e qualità, si genera una empatia corporea, grazie al suonare dal vivo e alla sua gestualità.

AT - Improvvisazione - Non è un fenomeno ‘minore’ della creatività artistica; «l’improvvisazione offre il modello della dinamica trasformativa dell'arte»

FR - Minore, no assolutamente, anzi. Ci sono oggi numerosi studi che propongono di applicare con successo i modelli improvvisativi dell'arte e della musica, anche ad altri ambiti come il mondo del lavoro. Quindi ritengo che l'improvvisazione sia una delle discipline che in grado di influenzare tutto il resto per i prossimi decenni.

AT - Si può improvvisare solo quando si dispone di una serie di strutture e di contenuti.
L’improvvisazione, quindi, punta l’obiettivo sul processo. Un po’ come assistere alla creazione di un’opera d’arte.

FR - Quando si instaura un processo improvvisativo si porta con sé il proprio vissuto, il background, l’esperienza, il training precedente. Sia che si tratti di un training molto orientato linguisticamente sia che si tratti di un training esperienziale più libero, se non altro da un punto di vista della tecnica strumentale.

AT - Alcune strutture complesse del passato, gli Intermezzi della fine del 500 del Buontalenti, (La Pellegrina) con le allegorie de L'armonia delle sfere che con Rinuccini e Bardi ha condotto alla nascita del melodramma, oppure la formazione classica del compositore che incontra la modernità, come Maderna o Sciarrino - in quel caso si crea una medianità che conduce ad un formato inconsueto come la Trascrizione...

FR - Si tratta a mio parere di un processo di assimilazione ed è chiaro che quando un musicista si vuole esprimere ad un certo livello deve incorporare una consapevolezza storica e una sensibilità analitica. Comsapevolezza duplice: da un lato quella sulla musica classica in senso ampio, dall'altro la conoscenza delle avanguardie storiche del secondo Dopoguerra, dagli anni Cinquanta del secolo scorso in poi. Bisogna comprendere come, per esempio, tra gli anni Sessanta e Settanta sono state condotte moltissime esperienze innovative, è stato fatto quasi tutto. E questo tutto bisogna conoscerlo per poterlo ripercorrere, anche con strade ulteriormente nuove, assimilarlo, rielaborarlo, trasformarlo e farlo diventare qualcos’altro. Quindi per me è fondamentale questo doppio registro per l’improvvisatore di oggi: la consapevolezza storica, lo studio personale, unito alla pratica del training; questo sono elementi che permettono una crescita costante. E inoltre, nell'improvvisazione c'è un altro aspetto significativo, ovvero il fatto che il gesto non mente... il gesto corporeo rende trasparente e credibile l’intenzione a chi guarda e ascolta.

Francesco GiomiIvana Busu e Francesco Giomi, Kevlar+, Oristano 2021 foto Andrea Loche


AT - Puoi dire di quella relazionalità dell’improvvisazione per cui ogni input diventa un output, e viceversa?

FR - Sì esatto, l’idea è quella, ma non si tratta di un loop, bensì piuttosto di un processo a spirale, all’interno del quale si va sempre a finire da un'altra parte, si reimmettono nella spirale energie e che danno origine ad altre prospettive imprevedibili a priori. E' un processo infinito di creatività straordinaria che se praticato seriamente porta a una crescita continua, sia come persona che come musicista. E questo soprattutto grazie allo “stare insieme”, piuttosto che all'improvvisazione in solo. Da che mondo è mondo, lo stare insieme ad altri ci nutre, si accordano istanze, si fanno proposte, si dialoga si cresce insieme. Io credo molto nel lavoro di team e nella creazione collettiva.

AT - Si può sostenere che l'improvvisazione comporta innanzitutto la decostruzione del mito dell’onnipotenza autoriale?

FR - Questo è uno dei temi centrali dell'improvvisazione. E' difficile parlarne in poche righe, molti compositori hanno aperto all'improvvisazione ma lasciando un'impronta autoriale molto forte, Stockhausen o lo stesso Cage. Altri invece si sono aperti a una forma diversa di autorialità, a quella che possiamo definire come una “creatività distribuita”. Questo è un concetto moderno e interessante, non siamo più nella sfera delle singolarità, ma ciascuno porta il proprio contributo: si distribuisce la creatività per realizzare qualcosa di comune e più importante e soddisfacende delle singolarità.

AT - Quali qualità e sensibilità del performer improvvisatore?

FR - Chi si occupa di improvvisazione libera deve essere molto aperto verso un rapporto stretto e importante con il proprio strumento e, soprattutto negli strumenti elettronici, la forte capacità di controllarlo. Questa è una delle caratteristiche principali dei musicisti elettronici, capaci di costruire una capacità totale di emissione e controllo del proprio strumento grazie alla costruzione di specifiche interfacce. Lo strumento elettroacustico è capace rispetto ad altri strumenti di avere un lessico molto più vasto, ma tutto questo va, secondo me, regolato con delle modalità gestuali o addirittura nuove, che permettano non solo di suonare lo strumento come farebbe un musicista tradizionale, ma anche oltre.

AT - Intersoggettivo e continuamente negoziabile dunque, ad evocare la «company», la ‘brigata’ l'ensemble che mette insieme gli artisti ( ). Inevitabile dunque il formarsi di «comunità di gusto», cioè soggetti raggruppati intorno a preferenze, attribuzioni di valore ecc.; pertanto anche le ‘nicchie’ in cui si frantuma l’esperienza dell’arte del mondo contemporaneo.

FR - Il dialogo musicale continuo (ma anche verbale nella fase di preparazione e analisi) con gli altri membri di una formazione collettiva è molto importante. E' molto interessante mettere insieme e coordinare dei gruppi, mi accade, per esempio, nella didattica, dove mi capita di avere numerosi studenti che sono disposti a lavorare con me con grande motivazione: si crea quindi una sorta di “comunità” attiva già dopo pochi incontri. E’ chiaro che il “creatore di comunità” deve avere alcune caratteristiche, essere un “facilitatore“, in grado di aiutare il processo di inserimento e di espressione delle varie sensibilità. Su questo punto ci sono casi storici come quello di Cornelius Cardew ma anche recenti come Elio Martusciello e la sua orchestra elettroacustica dove l’idea del fare comunità può venire ancora prima del risultato musicale.

Francesco GiomiFrancesco Giomi, 2023, foto Simone Petracchi


AT - Il tuo testo - Musica imprevedibile - narra di alcuni luoghi che hanno accolto le prime sperimentazioni - Roma Londra New York Amsterdam. A questi luoghi sono legati personaggi e figure chiave della seconda metà del 900. Puoi raccontare e riassumere di queste esperienze fondamentali?

FR - Sono due secondo me i personaggi storici più “influenti” nel campo dell’improvvisazione sebbene, paradossalmente, l’abbiano a più riprese inserita ed esclusa nel loro percorso. Si tratta di John Cage e Karlheinz Stockhausen. Questi due nomi ricorrono spesso nel mio libro perché in tanto dopo di loro si sono ispirati al loro pensiero e alle loro opere. Basti pensare al lavoro di Cage sul concetto di “indeterminazione” oppure a Stockhausen e alla sua “musica intuitiva”; entrambi richiedono che il musicista-performer si liberi dai propri clichés e dalle modalità dei linguaggi che frequenta maggiormente, tendendo verso direzioni completamente prive di qualsiasi riferimento, come se il suono partisse da zero, dal vuoto e costruisse i suoi percorsi improvvisativi senza tener conto di quello che è esistito precedentemente.
Un musicista fondamentale per l’improvvisazione euroamericana, fortemente influenzato da entrambi, è stato Cornelius Cardew, vero pioniere e un grandissimo facilitatore di gruppi. Come non citare la fondazione della sua Scratch Orchestra, che partecipa attivamente non solo alla vita musicale del tempo ma anche a quella politica. Un uomo di cultura a tutto tondo.

AT - Ha elaborato delle partiture grafiche molto interessanti .. Treatise, ad esempio

FR – Nel libro mi sono occupato di molti musicisti e delle loro partiture grafiche. Treatise di Cardew è un grande esempio di partitura grafica aperta, un'opera emblematica, sia perché è uno dei primi casi strutturati di partitura grafica per improvvisare sia, perché pone una serie di belle problematiche, tra cui quella dell'oggetto partitura: è una partitura libera? un oggetto grafico? un oggetto musicale?

AT - Raro esempio di adesione sociale e politica ai tempi ed alla comunità.

FR - Se ci pensiamo è una declinazione relazionale dell'idea di “compositore che compone una comunità”, un aspetto molto interessante e nuovo: plasmare e costruire una comunità come azione creativa che si declina poi in una miriade di singole esperienze. Negli anni Sessanta e Settanta la componente politica in tutte queste esperienze è fondamentale, come del resto nella musica improvvisata di matrice afroamericana di quel periodo. Le lotte politiche di quegli anni influenzano i musicisti con un pensiero che si oppone all'establishment, alla composizione tradizionale, alle istituzioni.

Francesco GiomiTREE + Cristina Rizzo, Fabroni Sound Garden 2022, Pistoia, foto Simone Petracchi


AT - Puoi raccontare delle Sperimentazioni degli anni 50/60 con la musica elettronica, e di gruppi d’improvvisazione nel contesto della musica d’avanguardia degli anni Sessanta? Nel 1964 si costituisce a Roma il gruppo Nuova Consonanza intorno a Franco Evangelisti.

FR – Prendeiamo ad esempio l'Italia: dalla metà degli anni Cinquanta inizia l'esperienza molto nota dello Studio di Fonologia della RAI di Milano, al quale si aggiungono poi le esperienze successive a Firenze, Padova, Torino. Siamo in presenza di un ambito che possiamo vedere come tangente rispetto a quello che era l'establishment della musica scritta e della musica contemporanea d’avanguardia. Per trovare esperienze diverse si deve andare a Roma dove negli stessi anni accadono cose assai significative proprio sulla relazione tra composizione e improvvisazione, quasi “nascoste” fino a poco tempo fa o comunque molto poco considerate dalla musicologia ufficiale ma di grandissimo rilievo invece.
In questa dicotomia Milano-Roma (con quest’ultima ampiamente sottostimata) emergono fortemente le esperienze di Franco Evangelisti e di tutti i musicisti americani e italiani presenti a Roma che ruotano intorno alle nuove strade dell’improvvisazione. Tutto questo è quindi un importante percorso parallelo rispetto a quello con cui siamo culturalmente cresciuti, che ci raccontava una storia palesemente a senso unico, quella dei grandi studi di musica elettronica e del loro rapporto con la musica scritta. Ma questa storia parallela ha un grande valore: per esempio, la caratteristica fondamentale di Evangelisti è quella di aver coagulato un gruppo di compositori che sentono l'esigenza di uscire dal sistema della musica scritta che, secondo loro, ha terminato la spinta propulsiva; quindi da compositori diventano improvvisatori, ciascuno con il proprio strumento e la propria sensibilità. Si tratta di un pionieristico approccio all'improvvisazione fatto da musicisti con un’idea molto strutturata e delle regole precise: i concetti di “schema”, di “azione/reazione” e così via, abbandonano l'idea di scrittura musicale per la pratica improvvisativa.

AT - Cosa succede nella scena elettronica italiana recente?

FR - E' un campo molto praticato, c'è grande espressività e i giovani desiderano imparare. I corsi di musica elettronica in conservatorio sono presi d'assalto, soprattuto quelli che esprimono in ambito accademico idee di apertura e accoglienza. C'è voglia di praticare, suonare, imparare, si sta quindi formando una comunità giovane, ricca, vivace, che naturalmente andrà distillata, selezionata e in qualche maniera guidata. Come forse avrebbe detto il pioniere della computer music Pietro Grossi, i computer e gli strumenti elettronici aiutano a migliorare l'espressività, aumentano la democrazia per chi vuole esprimersi; la scuola serve allora a indirizzare, a dare le basi di consapevolezza e sensibilità, così che poi il fatto di suonare insieme fa maturare i giovani in quella costruzione di comunità di cui si diceva prima.Trovo che in questo momento, in Italia, ci sia un grande fermento su questi temi, molto più che altrove, e io sono ben contento di farne parte.

AT - Quali sono le nuove strade della ricerca nella musica elettronica?

FR - Molto difficile dirlo. Bisogna considerare che nelle avanguardie è stato fatto molto, per cui non è tanto importante il “nuovo” ma quanto le idee vengono rilette in una luce nuova. Una di questeo nuove prospettive è secondo me la strada della “compresenza”, il fatto che più elementi, musicisti diversi, idee diverse, espressività diverse convivano insieme e, in tal senso, l’improvvisazione elettroacustica è un terreno di contatto molto fertile e scatta spesso la scintilla per risultati vitali di grande interesse.
Poi ci sono musicisti che più di altri hanno idea del futuro. Penso, per esempio, alla chitarra elettrica e a questo musicista francese, Julien Desprez che è assolutamente innovativo, portatore di un modo nuovo di esprimersi con questo strumento – cosa che sembrava impossibile dopo le esperienze storiche di Robert Fripp o Marc Ducret… c'è sempre qualcuno che ricerca e percorre un nuovo sentiero.
Anche nella ricerca tecnologica oggi ci sono strade interessanti, ma ancora da esplorare a fondo, come le tecniche per la cattura il gesto o il rapporto con l'intelligenza artificiale, che potrebbero portare a qualcosa di diverso. Forse ancora devono maturare ed essere digerite prima di poter esprimere qualcosa di significativo.

Francesco GiomiWanna Play?/improvvisazioni aperte, Fluminimaggiore 2022, foto Laura Farneti


AT - L'intensa attività di Tempo Reale fondato da Luciano Berio e di cui sei direttore - sovente ti trova come regista del suono di opere fissate su supporto…

FR - Questa è una figura ormai storica. Il regista del suono, al pari di un regista cinematografico, ricombina i materiali e li proietta nello spazio. Prima di tutto progetta il sistema elettroacustica in cui tutto questo avverrà, poi combina i materiali e attraverso l'ambiente esecutivo, il suo strumento di lavoro, propone questi materiali all'ascolto; e lo fa soprattutto in un ambiente che oggi possiamo chiamare “immersivo”, a 360 gradi. E' una figura con cui ho fatto i conti e per cui mi sono formato fin da giovane: mi è sempre piaciuta questa idea di interpretare la musica nello spazio, sia musica dal vivo che musica acusmatica, rimodulando il proprio pensiero in base ai luoghi, alle architetture, alle varie e diverse condizioni performative. Ma tutto questo risente anche del momento attuale, per cui, per certi versi come regista del suono mi nutro anche di meccanismi improvvisativi, riapplicandoli in maniera diversa da una occasione all'altra.

AT - Quale la percezione dello spazio per un musicista, nella tua esperienza.

FR - L'argomento è enorme. Lo spazio è un parametro fondamentale, una delle nuove strade che possono portare al futuro della musica. Esplorare lo spazio: aperto/chiuso, grande/piccolo, geometrico/casuale, ecc. ecc. Sono dicotomie di grande significato e ampiezza dal punto di vista del suono, come esso si comporta in una stanza, in un teatro o in un giardino, come lo si può gestire oppure come si possono ricostruire artificialmente queste prospettive d’ascolto: sono derive verso cui nutro grande interesse ed è affascinante riprogrammare il proprio pensiero e la propria azione in base allo spazio, il riconfigurarsi completamente, adattando il pensiero musicale alla dimensione e alla forma dei luoghi. Far vivere ed abitare il suono in uno spazio differente è quello che accade molto spesso nel mio lavoro.

AT - Che relazione tra durata e spazio, tra percezione del tempo e spazio?

FR - Posso dirti che negli ultimissimi anni, nei miei schemi improvvisativi sto lavorando molto sull'idea di lunga durata. Schemi che prevedono una continua variabilità, di musicisti, di idee e di materiale, con delle regole in grado di fornire modalità aperte e accoglienti sia per chi suona che per chi fruisce. Mi è capitato di fare esperienze di questo tipo utilizzando un ciclo di schemi improvvisativi che io chiamo “party” (Scratch Party, Gllitch Party, ecc) e in cui anche la proposta sonora e la fruizione sono totalmente libere proprio come ad una festa. Quindi si può entrare, muoversi, uscire, rientrare e così via, tanto sul piano dei performer che del pubblico, sebbene per i primi c’è la necessità di seguire alcune regole di base. Lo scorso ottobre (2022) all'Accademia di Belle Arti di Bologna, mi è capitato di ideare e realizzare per il Robot Festival un progetto di performance cangiante e sempre in movimento con dodici musicisti e una serie di artisti visivi: il numerosissimo pubblico poteva venire o tornare, alcuni restavano seduti, altri rilassati si stendevano a terra; insomma non c’era mai lo stesso contesto percettivo, è stato molto soddisfacente. In una cosa di questo tipo, dove si scandisce il tempo senza vincoli all'ascolto grazie all’improvvisazione, puoi stare cinque minuti e cogliere l'istante, oppure trattenerti un’ora perchè ti piace il flusso che ascolti. Massima libertà sia per il performer che per lo spettatore.

 

Francesco Giomi
Musica imprevedibile. Storia, metodi e training per l'improvvisazione collettiva.
Arcana Editore 2022
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