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Galleria ME Vannucci
Giovanni Termini
Consuete Attenzioni

 
Giovanni TerminiGiovanni Termini, La misura di un intervallo, 2022, Installazione, dimensioni variabili Galleria ME Vannucci, Pistoia, Foto Michele Alberto Sereni


Giovanni Termini
Consuete Attenzioni

La mostra Consuete attenzioni di Giovanni Termini presenta le ultime opere realizzate dall’artista siciliano, tra le quali una grande installazione che occupa la sala principale della galleria ME Vannucci di Pistoia. Accompagna la mostra un testo di Alessandro Rabottini.

Dopo la personale nelle sale di Palazzo Fabroni del 2021, Giovanni Termini torna a Pistoia per presentare la sua recentissima produzione e a stravolgere, come suo consueto, lo spazio, accogliendo/respingendo lo spettatore con l’installazione “La misura di un intervallo” (2022), che divide realmente in due parti la galleria, creando una grande gabbia di reti metalliche fermate da barriere Jersey in cemento.
Gli elementi che vediamo provengono dal cantiere, un luogo al quale spesso l’artista si ispira, attingendo elementi che hanno la capacità di mutare la dimensione umana, e urbana, e quindi l’esistenza. Le gabbie, in una logica cantieristica, delimitano una zona, ma in una galleria rendono inaccessibile una parte dello spazio che di solito può essere fruito dal pubblico. L’opera sottrae spazio, lo rende impraticabile, “uno spazio scenico di inazione” come lo definisce Rabottini nel suo testo.
Torna qui l’idea di ostacolo e di inciampo che si ritrova anche in altri lavori di Termini: è quell’oggetto che limita e che diventa dissuasore ad affascinare l’artista.
All’interno di questo spazio inaccessibile, alcuni palloni da basket evocano un senso di sospensione, di intervallo.
Il gioco per Giovanni Termini è un modo per affrontare l’esistenza: fare canestro, pensandoci, è segnare un punto e nella nostra esistenza ciascuno di noi segna o non segna dei punti, centra o meno un obiettivo. Ma anche il fallimento è considerato una risorsa.
È uno “spazio dell’attenzione umana e della tensione quotidiana”, scrive Rabottini, facendoci riflettere sulla diversa capacità degli elementi di essere superati o rimossi: se la gabbia in metallo è potenzialmente smontabile con il solo sforzo umano, il Jersey in calcestruzzo necessita di un mezzo meccanico per essere rimosso, siamo perciò in “uno spazio che lascia i più esausti”.
Gli altri lavori presenti in mostra sono stati pensati ed elaborati nello stesso momento, sono tutti del 2022 e insistono sulle stesse tematiche.
“Alcuni hanno definito il mio un lavoro politico” – dice Giovanni Termini – “ma non faccio lavori ideologici, per me la cosa interessante è l’uomo nelle sue molteplici sfaccettature”.

Paesaggi personaliGiovanni Termini, La misura di un intervallo, 2022, Installazione, dimensioni variabili Galleria ME Vannucci, Pistoia, Foto Michele Alberto Sereni


Giovanni Termini
"consuete attenzioni"
testo di Alessandro Rabottini

Il dialogo che ho avuto con Giovanni in occasione di questo testo è stato un dialogo estivo, frammentato come sempre più spesso accade. Le annotazioni e gli spunti si allungano come le giornate e con esse si interrompono, secondo un ritmo incalzante e discontinuo quanto la tecnologia che lo scandisce. E spesso bisogna tornare indietro, risalire a ritroso la cronologia degli scambi e dei messaggi, come a voler setacciare qualcosa che abbia un peso specifico diverso rispetto a ciò che ci scorre tra le dita e sugli schermi, quasi avessimo le mani immerse nel letto secco di un fiume esausto.
Nel corso di questo flusso che, di tanto in tanto, rivendica momenti da isolare, ricevo una frase di Marcel Proust che, mi dice Giovanni, l’ha accompagnato nel periodo di realizzazione di questa mostra e che mi ispira pur senza sorprendermi, perché conferma un tratto essenziale di tutto il lavoro di Giovanni e della sua riflessione spaziale sull’immobilità:

Forse l’immobilità delle cose intorno a noi è loro imposta dalla nostra certezza che sono esse e non altre, dall’immobilità del nostro pensiero nei loro confronti.(1)

1 - Marcel Proust, La strada di Swann, trad. di N.Ginzburg, Einaudi, 1963

Paesaggi personaliGiovanni Termini, La misura di un intervallo, 2022, Installazione, dimensioni variabili Galleria ME Vannucci, Pistoia, Foto Michele Alberto Sereni


Perché sottolineo il fatto che il nostro dialogo è avvenuto d’estate? Perché questa stagione ha una qualità particolare e preziosa, una qualità che muta nel corso dell’esistenza di ciascuno e che si rivela come la possibilità, anche solo per un attimo, di riuscire a sentire il tempo. Da bambino, l’estate era per me una stagione lunghissima e le settimane che precedevano l’impennata di agosto – quando finalmente amici e cugini sarebbero arrivati al mare – erano settimane di attesa, spesso di noia, nonostante io abbia adesso un ricordo quasi magico di quei pomeriggi infiniti e immobili, passati senza giocare. Quella solitudine era, infatti, non soltanto uno spazio di immaginazione e di possibilità ma, soprattutto, di abbondanza: l’immobilità del tempo – lo avrei compreso in seguito – era una qualità direttamente proporzionale al fatto di averne molto avanti a sé. Adesso l’estate sembra contrarsi in quelle poche settimane di vacanze attentamente programmate, e con esse si contraggono i pomeriggi nei quali una volta il tempo, come la luce, abbondava. Eppure, nonostante tutto, anche le estati adulte di ozio contrattualizzato riservano, ogni tanto, momenti immobili e acuti in cui il tempo diventa tattile come l’umidità, che ti fa scivolare le cose dalle mani anche se non la vedi.

Paesaggi personaliGiovanni Termini, Comizio, 2022, Galleria ME Vannucci, Pistoia, Foto Michele Alberto Sereni.


A Pistoia, Giovanni ha portato La misura di un intervallo, un’installazione che, se non proprio all’estate, un po’ ti fa pensare all’aria aperta e che, se non proprio nel gioco, un po’ ti porta dentro a quei momenti in cui aspetti e speri, se non addirittura di vincere, almeno di segnare un punto. E lo ha fatto con il linguaggio che contraddistingue il suo lavoro da oltre vent’anni, trasportando all’interno dello spazio dell’arte elementi del contesto urbano, soprattutto quegli elementi che la città la attraversano, la delimitano e la impediscono.
Ad accompagnare lo sviluppo longitudinale della galleria, quattro gabbie o recinzioni mobili in ferro usate per delimitare i cantieri e impedire l’accesso a un’area in costruzione o, più raramente, a un’area pericolante. Quelle reti che punteggiano la città come pause, isolando a ritmo intermittente qualcosa che sarà o qualcosa che è stato e che non è più.
Qui delimitano, invece, uno spazio vuoto e inaccessibile, quello spazio neutro che risponde all’estetica e alla logica espositive dell’arte contemporanea, all’avvicendarsi di quelle situazioni temporanee che chiamiamo “mostre”. Uno spazio che, contrariamente alle aree urbane limitate, non delimita qualcosa che è stato o che sarà ma che, al contrario, torna ciclicamente alla propria strutturale predisposizione al vuoto. Questo è uno spazio che accoglie, in successione e attraverso il dispositivo della mostra, una periodica limitazione del tempo, quella dimensione dell’impermanenza cui abbiamo destinato l’arte, anche in quei casi in quest’ultima si ostina ad ancorarsi a un luogo specifico attraverso la pratica dell’installazione. All’interno di due gabbie di metallo – di cui solo una conserva una possibile eppure impraticabile via di uscita addossata contro il muro – palloni da basket giacciono a terra, mentre a separarci da questo spazio scenico di inazione è disposta una fila di barriere Jersey in calcestruzzo, un altro di quei dispositivi atti a interdire un’area o che troviamo spesso sulle strade quando si rende necessario incanalare il flusso del traffico.

Paesaggi personaliGiovanni Termini, La specularità delle divergenze, 2022, Galleria ME Vannucci, Pistoia, Foto Michele Alberto Sereni


Un’opera del 2019 come Ostacoli già presentava una serie di strutture funzionali designate a interdire il passaggio o a rallentarlo, disposte a intervalli regolari a formare una sequenza perentoria ed estenuante come una corsa ad ostacoli: un’imperscrutabile, quasi derisorio sforzo senza fine e senza ricompensa, il luogo di un addestramento incondizionato per uomini e cani. Ciascun elemento di quella teoria di divieti era verniciato dello stesso azzurro, all’interno di un’unità cromatica che addolciva, in uno spazio astratto e formale, elementi altrimenti appropriati dalla realtà dei cantieri e dello spazio urbano. Un processo analogo di uniformazione della superficie lo ritroviamo nell’opera La specularità delle divergenze (2022), in cui due rampe di alluminio – di quelle usate per aggirare le barriere architettoniche dei nostri edifici pubblici – sono disposte specularmente fino ad incontrarsi, mentre accanto e sui loro piani inclinati sono disposte tre bottiglie di plastica galvanizzata, come se le proprietà riflettenti dell’alluminio delle pedane fossero estese alle bottiglie, ne avessero quasi contagiato di una qualità specchiante la plastica altrimenti trasparente.

Paesaggi personaliGiovanni Termini, Errata geometria, 2022, Galleria ME Vannucci, Pistoia, Foto Michele Alberto Sereni.


Di questa pratica cosmetica e installativa che seleziona elementi funzionali per poi assolutizzarne una specifica unità cromatica o materiale poco resta in La misura di un intervallo: le barriere di cemento e le reti di metallo, infatti, sono qui mostrate per quello che sono, senza alcuna elaborazione formale che non sia puramente compositiva, di distribuzione nello spazio.
Se scosse nel tentativo di abbatterle o di superarle, le gabbie di rete metallica possono tremare: la loro forza di contenimento è blanda, si potrebbe quasi dire che è una forza di dissuasione visiva più che fisica. La duttilità, la velocità con cui esse organizzano lo spazio in configurazioni sempre nuove incarna, in un certo senso, l’accondiscendenza tanto umana quanto animale verso il rispetto dell’ordine e del divieto, l’accettazione della cattività e dell’addestramento, la prontezza verso la prigionia. Le barriere di cemento, invece, conservano non soltanto la sordità di un ready made edile e perentorio ma anche, e soprattutto, il peso di una costrizione inamovibile individualmente, spenta come lo sporco che qui vela il cemento. La tenacia con cui esse rispondono impassibilmente solo alla forza della macchina ha qualcosa di terrificante e di tombale.

Paesaggi personaliGiovanni Termini, La specularità delle divergenze, 2022; Errata geometria, 2022, Galleria ME Vannucci, Pistoia, Foto Michele Alberto Sereni.


Presi dalla contemplazione di una macchina scenica così laconica, di un esiguo campo da gioco punteggiato di palloni inerti, il nostro tempo trascorre, si inceppa, si spreca e si addensa. Quand’è che finalmente segnerò un punto? Tutte le giornate, le settimane, gli anni passati a rimbalzare un pallone senza nemmeno vedere il canestro, a girare in tondo, senza un arbitro. Quand’è che i tentativi si esauriranno? Questo è lo spazio dell’attenzione umana e della tensione quotidiana, uno spazio immobile, per tornare a Proust, di allevamento e attesa che lascia i più esausti. Uno spazio che ci distrae, nel corso di un’intera esistenza, da uno spazio adiacente, sottile nemmeno pochi centimetri, ma profondo come un abisso, quella falda quasi impercettibile che corre lungo un’infilata di gabbie facilmente smontabili e un sbarramento inamovibile.

Alessandro Rabottini

 

Giovanni Termini
"Consuete Attenzioni"
Site Galleria ME Vannucci di Pistoia 2 ottobre - 6 dicembre 2022
@ 2022 Artext

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