Quando si rappresentano le piante
testo di Mirco Marino
Ma io non parlo di origine o di fine.
Non c’è mai stato più inizio di quanto ce ne sia ora,
Né più giovinezza o vecchiaia di quanta ce ne sia ora,
E non ci sarà mai più perfezione di quanta ce ne sia ora,
Né più paradiso o inferno di quanto ce ne sia ora.
(Walt Whitman, Leaves of Grass, 1855)
Hagoromo
al Centro Pecci
Una VHS del 1990 riproduce una figura femminile appesa ad un albero, un corpo che è protesi del naturale e si muove al vento come una foglia. L’identificazione del corpo umano come apparato della natura caratterizza una delle due soglie alla mostra di Massimo Bartolini al Centro Pecci
Hagoromo e configura un tema che ricorre nel lavoro dell’artista. Si tratta di un sentire del naturale che riguarda il ruolo dell’uomo nel mondo, la connessione di umanità e naturalità che nell’operare artistico diventa forma e metafora di un tempo eterno e di uno spazio fluido in cui la vita umana è espressione temporanea del ritmo naturale del mondo.
Massimo Bartolini, Ballad (concert for_a_tree) serralves
Un suono continuo proviene dalle sale originarie del museo, pervade lo spazio e riecheggia tra le pareti. Al suolo una zolla di terra di quasi tre metri occupa il centro della stanza. Il basamento dei basamenti, un’opera che appesantisce lo spazio, che si pone vicino all’idea di un readymade prelevato direttamente dalla natura, ma che in fondo non è altro che un altro singhiozzo del naturalismo, in cui la fusione in bronzo imita le forme del reale. Le grandi dimensioni dell’opera e la rappresentazione del naturale producono all’interno dello spazio museale una sorta di straniamento, evocato dall’assenza di luce naturale e l’isolamento meditativo del materiale. A lato una stampa a parete chiude la narrazione di
Basement. È
Irrigazione una fotografia che correla in immagine due stati dell’acqua, quello liquido e quello gassoso delle nuvole in cielo. La verticalità del movimento dell’irrigazione congiunge la terra al centro della stanza col cielo evocato dal fotografico. Si tratta allora di una narrazione che ricompone gli elementi naturali in un dittico installativo che non può che funzionare da nuova soglia per ciò che segue.
Massimo Bartolini, In là 2022, Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci ph. OKNO Studio
La mostra presenta una selezione di opere dell’artista toscano all’avvicinarsi del suo sessantesimo compleanno. Si tratta di una retrospettiva, di una mostra personale, di una riconfigurazione del lavoro pluritrentennale di Bartolini che si sviluppa attraverso due ritmi temporali: da un lato quello eterno del naturale, in cui le forme sopravvivono al tempo; da un altro quello finito dell’umano, in cui il tempo è vissuto come categoria misurabile e conoscibile. Per mettere in mostra questa dualità, Massimo Bartolini, con la cura di Luca Cerizza ed Elena Magini, sviluppa una configurazione espositiva circolare ma frammentata.
Massimo Bartolini, In là 2022, Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci ph. OKNO Studio
Nelle stanze centrali una struttura quasi-industriale in tubi di alluminio fissata con morsetti al soffitto è sospesa a pochi centimetri da terra e percorre le sale sezionando lo spazio in due metà. L’opera intitolata
In là è un’istallazione
site specific che funziona a livello sintattico come elemento di congiunzione spazio-temporale sia dell’architettura che del corpus di lavori presentati. La grande istallazione, oltre a presentare elementi formali che caratterizzano fortemente lo spazio attraverso la pesantezza dei materiali, riesce a evocare un senso di leggerezza mediante la dinamica di sospensione e la trasformazione sensoriale dei tubi in canne di un organo che è sia spina dorsale che respiro della mostra. Il suono è diffuso dall’opera attraverso il sistema di canne e riproduce una partitura ideata dal musicista Gavin Bryars. Il pezzo non può essere ascoltato nella sua interezza ma solo per frammenti lungo la visita, caratterizzando quindi sempre una nuova unica esperienza per l’osservatore.
Massimo Bartolini, Cera persa 2017–2022 Fusione in bronzo, Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci ph. OKNO Studio
Lungo questa connessione spaziale che
In là presenta, la dimensione frammentaria e ritmica legata al ritmo del tempo umano è rappresentata da
Cera persa una serie di sessanta candeline di compleanno che fuse in bronzo sono installate equidistanti sulle pareti del museo. Si tratta di un’evocazione che lascia poco spazio al metaforico ma che d’altra parte si muove su quel legame tra spazio e tempo che sembra ergersi a elemento di raccordo dell’esposizione.
Nel percorso circolare costruito da
In là e mantenuto coerente da
Cera persa, opere che rappresentano, forse non al meglio, la carriera di Bartolini declinano le varie ricerche dell’artista nel tempo. Per un verso è evidente una componente che mischia design sociale, metafora ed estetica del dettaglio; che si confonde però con la dimensione più intima e personale di Bartolini che lo lega ai suoi affetti e ai suoi paesaggi.
Massimo Bartolini, Conveyance, 2003 Photo courtesy Tuscia Electa, Firenze. Ph S. Dominge
In
Conveyance una vasca in acciaio è circondata da una seduta. Il liquido bianco si muove ritmicamente nel contenitore creando una visione bilanciata e costante, un’onda che, come in natura, non cessa mai il suo moto perpetuo. La dimensione meditativa è costruita attraverso la possibilità di congiungersi con l’opera sedendosi a lato, favorendo la concentrazione sul fenomeno ipnotico che l’opera mette in atto. Il lavoro si struttura circolarmente con un punto nello spazio, un luogo di raccoglimento che oppone la visione grandangolare della mostra a quella focalizzata centripeta dell’opera. Con un’attenzione simile al fenomeno e alla componente linguistica
And the Penny Drop è installata in un angolo in alto di una delle sale. È un’opera che riesce nonostante la sua natura di macchina a sparire nello spazio visivo, per saltare nuovamente fuori soltanto al suono di una monetina che cade a terra, convogliando l’attenzione su un meccanismo che trasla il contare delle monete nella frammentaria cadenza del tempo. In questa dinamica del nascondere in primo piano si inserisce l’opera
Dust Chaser un intervento di grandi dimensioni che occupa silenziosamente un’intera sala della mostra. Si tratta di una rappresentazione a matita in scala 1:1 sulle quattro pareti di polvere e peli. È un ritmo lento quello del posarsi delle polvere sulle superfici, riprodotto dal ritmo lento dell’atto di creazione dell’opera. L’operazione sembra suggerire un’attenzione al dettaglio che in questo caso, al contrario di
Conveyance non si struttura sul singolo punto nello spazio, quanto in una visione aperta sul mondo che richiede di fermarsi, respirare e osservare la naturalità delle cose mentre semplicemente esistono.
Massimo Bartolini, Rugiada (Dew), 2018 Courtesy the artist and Massimo de Carlo Gallery, Milan, London
A lato si sviluppa una narrazione più intima e legata al vissuto dell’artista. La mostra è costellata dagli
Studio matters, una serie di opere di piccole dimensioni che creano immagini di suggestioni e ritratti in assenza. Così, invisibile, su un intercapedine di un’apertura, una piccola goccia in silicone si mimetizza e richiama una dimensione naturale attraverso l’utilizzo di materiali da costruzione semplici. Un ritratto a partire da una crepa in un pezzo di argilla evoca la sensazione immaginativa della creazione e una piccola perla cava si erge a ritratto in figura, metaforico, della scrittrice Cristina Campo.
Nel percorso infinito la mostra sembra ritornare sui propri passi, una nuova maestosa zolla di terra in bronzo e dei paesaggi cangianti riemergono dallo spazio. Si tratta delle opere che compongono la serie
Rugiada, quadri che presentano una dimensione reale, presentata piuttosto che rappresentata, delle gocce di rugiada sintetica sopravvivono sulla superficie del paesaggio sul velo della rappresentazione. L’immagine racchiude in sé il senso del lavoro dell’artista, una natura che attraverso materiali sintetici è imitata nelle sue più visibili caratteristiche per creare infine un linguaggio preciso ed evocativo.
Massimo Bartolini, Dust Chaser 2016–2022, Matita e inchiostro su muro Dimensioni ambientali
È quindi come essere tornati all’inizio, ma un inizio nuovo, costellato da dei minuscoli alberi e arbusti che compongono il giardino dell’artista, in un preciso momento, in un tempo nitido ma infinito, naturale ma imitato, vero ma allo stesso tempo, nella dualità della ricerca poetica esposta, estremamente costruito. Si tratta quindi di rendere fluidi spazio e tempo congiungendoli a un senso del tempo naturale in cui i milioni di anni trapassano nelle forme della rugiada, in quelle delle zolle di terra, nella casualità fissa delle piante e allo stesso modo nella musica di tubi innocenti sospesi nello spazio con attenzione meditativa al fenomeno.
Massimo Bartolini, Hagoromo, 2022 Vista mostra al Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci ph. OKNO Studio
La grande mostra di Massimo Bartolini al Centro Pecci riesce allora nel creare attraverso una narrazione orizzontale e fluida un percorso continuo che richiama per eco il tempo umano e quello naturale. La realtà non è mai però evocata per quello che è, ma sempre in assenza e per simulazione. Il contatto con la natura è così reale ma allo stesso tempo mediato dall’atto artistico che alla fine pone una distanza, quella “piccola distanza che c’è, di volta in volta, tra il mondo e tutti i discorsi che lo raccontano”.