Danish Pavilion
Inuuteq Storch
RISE OF THE SUNKEN SUN
Annotazioni sul passato Coloniale
Alla Biennale di Venezia 2024, il Padiglione danese ospita
sei opere fotografiche di Inuuteq Storch, che intessono
una narrazione polifonica della sua terra natale, la Groenlandia
– Kalaallit Nunaat.
In
Rise of the Sunken Sun – in italiano,
L’Alba del
Sole Tramontato -, i suoi racconti personali intrecciano il
passato col presente, esplorando temi di appartenenza,
identità nazionale e de/colonizzazione.
Il titolo allude al complesso rapporto tra la luce
e il sole, un aspetto che viene ripreso dal semicerchio
rosso presentato in maniera autonoma nello spazio espositivo
principale. Fungendo da cuore della mostra, questo
elemento scultoreo incarna l’essenza dell’
Erfalasorput, la
bandiera ufficiale di Kalaallit Nunaat, dove il semicerchio
rosso simboleggia il tramonto che si staglia sul ghiaccio.
Inuuteq Storch è principalmente un narratore.
All’interno della mostra, le sue fotografie sono accompagnate
sia da una narrazione personale, che si spiega
sulle pareti attraverso tutte le stanze, sia da una colonna
sonora composta dalla musica e da altri suoni che hanno
caratterizzato la sua vita e le sue esperienze quotidiane.
Tuttavia, è la fotografia – che, non a caso, significa
“disegno di luce” – ad offrire a Storch il mezzo artistico
ideale per esprimersi, permettendogli di metterne
a frutto il potenziale attraverso l’intimità delle riprese e
la schiettezza comunicativa.
Storch integra nella mostra anche la fotografia
storica, incorporando immagini del primo fotografo professionista
kalaaleq, John Møller, nella serie Mirrored –, Rispecchiati – insieme a foto e ritratti amatoriali
provenienti dal suo archivio di famiglia nell’opera Sunsets
of Forgotten Moments –, Tramonti di Momenti Dimenticati.
La mostra di Storch va oltre gli interni del padiglione,
estendendosi al suo esterno: nel cortile, i visitatori
sono accolti da una prospettiva panoramica sul mare,
come vista dal balcone di Storch a Sisimiut.
I visitatori noteranno inoltre, sulle facciate
anteriore e posteriore dell’edificio, che la scritta “DANMARK”
del padiglione è stata parzialmente coperta dalle
parole “Kalaallit Nunaat”, ovvero, Groenlandia. Tale atto
simbolico mette in evidenza il rapporto tra queste due
realtá, le cui complesse vicende storiche coloniali hanno
avuto una certa risonanza fino ai giorni nostri.
Inuuteq Storch, Rise of the Sunken Sun, Danish Pavilion, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Image credit Inuuteq Storch
Il fotografo Inuuteq Storch
* Inuuteq Storch (nato nel 1989) è cresciuto a Sisimiut, la
seconda città più grande di Kalaallit Nunaat, situata sulla
costa occidentale dove vivono circa 5.000 abitanti, e
luogo nel quale tutt’ora continua a risiedere e lavorare.
Come numerosi artisti contemporanei kalaallit, Storch
ha conseguito gli studi sia in Danimarca che all’estero,
in particolare presso Fatamorgana, la Scuola danese di
arte fotografica di Copenaghen e all’International Center
of Photography di New York – il Centro Internazionale di
Fotografia di New York.
La sua fotografia cattura l’identità contemporanea
kalaallit e la vita quotidiana attraverso uno stile
istantaneo e intuitivo, crudo e al tempo stesso poetico,
giocoso e divertente, fugace e fisico.
C’è anche una dimensione fisica molto presente
nel processo creativo di Storch, dal momento in cui adopera
prevalentemente la fotografia analogica. Si approccia
alle immagini utilizzando diverse tecniche materiali,
creando fotografie sgranate, sovraesposte o addirittura
danneggiate, che consentono alla materialità dell’immagine
di aggiungere un significato oltre a quello già manifestato
dal soggetto.
A differenza di molti fotografi che danno priorità
alla perfezione tecnica e alla sofisticatezza dell’attrezzatura
fotografica, l’attenzione di Storch si concentra
altrove. È da notare il fatto che utilizzi principalmente
fotocamere ricevute in regalo o acquistate da familiari o
amici intimi. Questo approccio personalizzato e intuitivo
sottolinea il legame profondamente personale che lui
stesso ha con la fotografia.
Il formato preferito di Storch è il libro fotografico,
con il suo potenziale di creare strutture narrative attraverso
sequenze ritmiche e pause. Essendo un mezzo di
distribuzione accessibile, il libro fotografico offre una piattaforma
artistica alternativa oltre i confini dell’esclusivo
mondo delle gallerie d’arte e dei musei. La sua accessibilità
offre strade per una più ampia visibilità, disseminazione
del messaggio e coinvolgimento di un pubblico diversificato,
promuovendo un approccio comunicativo e democratico
che si allinea con le pratiche decoloniali, in particolar
modo nelle regioni con scene artistiche ancora ristrette.
Nell’ambito di argomenti quali decolonialità
e non-colonialità, artisti come Inuuteq Storch operano
all’interno di uno scenario pluralistico che non è necessariamente
definito o legato al colonialismo. Tuttavia,
il passato coloniale e la complessa storia del rapporto
tra Kalaallit Nunaat e la Danimarca restano pertinenti
all’arte fotografica di Storch e al contesto più ampio della
cultura, della vita quotidiana e della politica kalaallit in
cui è inserito il suo lavoro. Diventa quindi necessario per
l’argomento trattato un breve excursus storico.
Mirrored, Portraits of Good Hope, John Møller, Danish Pavilion, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by John Møller
Nel 1721, Hans Egede, un missionario che rappresentava
la regione danese-norvegese, fondò una società commerciale
e una missione luterana sulla costa occidentale di
Kalaallit Nunaat. In molte fotografie di Storch, si mette in
evidenza la significativa influenza delle missioni cristiane
su tutta Kalaallit Nunaat.
Tuttavia, lo scopo principale della Danimarca
fu il guadagno economico, derivante dalla possibilità di
beneficiare delle abbondanti risorse naturali e di mantenere
il monopolio commerciale su tutta Kalaallit Nunaat
per diverse centinaia di anni.
Dopo la colonizzazione della costa occidentale
di Kalaallit Nunaat nel 1721, seguì quella della zona ad est
nel 1895 e quella del Nord nel 1910. La Danimarca affermò
la propria sovranità sull’intero territorio nel 1921, imponendo
severe restrizioni agli abitanti kalaallit.
Dopo la seconda guerra mondiale si diffuse tra
la maggior parte della popolazione danese una consapevolezza
generale della sproporzionata povertà presente
a Kalaallit Nunaat, in gran parte grazie alle testate dei
principali giornali danesi, che denunciarono le dure condizioni
di vita dei kalaallit.
Tuttavia, quando l’ONU esortò tutte le potenze
coloniali a rinunciare ai propri possedimenti, la Danimarca
fuorviò i negoziatori kalaallit offrendo loro solo la
scelta tra integrazione e indipendenza totale, omettendo
diverse altre opzioni che offrivano maggiori libertà.
Nonostante l’acclamata nuova costituzione danese
del 1953, che garantiva ai kalaallit pari diritti di cittadinanza
e rappresentanza in parlamento, la Danimarca
continuò ad agire come un sovrano coloniale paternalista,
governando Kalaallit Nunaat e considerandolo “immaturo”
dal punto di vista politico. Esempi di tale politica sono
i trasferimenti forzati e le chiusure di villaggi avvenuti
tra gli anni ‘50 e ‘60.
L’autogoverno fu finalmente implementato a Kalaallit
Nunaat nel 1979, segnalando un certo grado di autonomia
e decolonizzazione, sebbene la Danimarca mantenne
una significativa influenza politica e culturale.
Come in molti rapporti coloniali, l’assunto coloniale
della Danimarca si basava su una percezione infantilizzante
di Kalaallit Nunaat, vista come un bambino
sottomesso da cui ci si aspettava che mostrasse gratitudine
e deferenza verso la madrepatria Danimarca. Questa
mentalità ha lasciato tracce durature, evidenti oggi nello
status di Kalaallit Nunaat, che è ancora parte del Regno
danese nel quadro politico noto come “l’Unità del Regno”,
nonostante Kalaallit Nunaat abbia optato per una forma
di autogoverno nel 2009.
Questo contesto è cruciale per cercare di capire
il titolo della mostra di Storch, in particolare per la somiglianza
nella fonetica inglese tra le parole “sun” – che in
italiano significa ‘sole’ – e “son” – in italiano, ‘figlio’.
Rise of
the Sunken Sun allude a una condizione decoloniale o postcoloniale
in cui il metaforico “bambino”, storicamente
soppresso o messo a tacere e invisibile all’interno di una
dinamica familiare opprimente, ora emerge, rivendicando
il suo spazio e affermando la propria voce.
Inuuteq Storch, Rise of the Sunken Sun, Danish Pavilion, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by Ugo Carmeni.
Inuuteq Storch
Rise of the Sunken Sun
La fotografia: da strumento coloniale a potenziale decoloniale
La mostra
Rise of the Sunken Sun rappresenta una pietra
miliare significativa perchè si tratta della prima mostra
personale di un artista kalaaleq alla Biennale di Venezia.
È anche la prima volta che l’intero padiglione danese viene
messo a disposizione ad un fotografo. Attraverso la sua
opera fotografica, Storch fa il possibile per promuovere una
comprensione più ampia di Kalaallit Nunaat al resto del
mondo, sia da un punto di vista contemporaneo che storico,
una narrazione fino ad ora osservata e interpretata prevalentemente
attraverso lo sguardo di persone non autoctone.
Nella storia dell’arte occidentale, gli studiosi
hanno rinvenuto una miriade di immagini accattivanti,
sebbene spesso esotizzanti e stereotipate, che raffigurano
le montagne e le coste di Kalaallit Nunaat, catturate da
esploratori e da altri fotografi e artisti non del luogo. Tuttavia,
la storia della fotografia comprende anche un volume
significativo di documentazione esemplificativa della
popolazione kalaallit, realizzata con vari scopi scientifici.
Già nel 1850, c’erano macchine fotografiche ad
accompagnare le spedizioni britanniche e americane verso
Kalaallit Nunaat. L’ispettore danese H.J. Rink, che risiedeva
nella parte meridionale di Kalaallit Nunaat, contribuì
ad arricchire questo corpus fotografico negli anni ‘60
dell’Ottocento, attingendo alla sua personale familiarità
con la terra e la sua gente.
Lo sviluppo della tecnologia fotografica dopo gli
anni ‘80 dell’Ottocento ne facilitò l’uso e un’adozione diffusa
da parte di esploratori, scienziati e individui associati
all’amministrazione coloniale durante i loro soggiorni
a Kalaallit Nunaat.
La maggior parte delle fotografie provenienti
dall’inizio del XX secolo, archiviate nei musei danesi, sono
state scattate da preti, scienziati e membri delle spedizioni
danesi. La maggior parte di loro trascorreva gran
parte del tempo con altri connazionali; perciò, quello che
hanno documentato della popolazione, delle case e dei
paesaggi kalaallit è completamente permeato della prospettiva
di un estraneo. Una volta giunte in Danimarca,
le loro fotografie hanno plasmato in modo significativo la
percezione di cosa fosse Kalaallit Nunaat, apparendo su
cartoline, pubblicazioni e persino in alcune mostre.
I fotografi contemporanei devono inevitabilmente
fare i conti con la storia coloniale del mezzo fotografico,
che a sua volta è stata legata ad altri aspetti
quali la sorveglianza, la mappatura, l’esplorazione e la
documentazione “scientifica” delle popolazioni indigene.
Sempre più spesso, studiosi e artisti hanno esaminato in
maniera critica il ruolo della fotografia in questi contesti,
fornendo informazioni preziose per contestualizzare
il materiale storico nei processi post- e de-coloniali.
Inuuteq Storch si confronta con il potenziale della
fotografia come documento storico, concentrandosi però
sulle immagini scattate dagli stessi kalaallit. Il suo desiderio
più grande è quello di contribuire alla creazione di un
museo della fotografia kalaallisut. Forse,
Rise of the Sunken
Sun potrà servire da catalizzatore per questa sua visione.
*In seguito alla scelta di Inuuteq Storch di utilizzare
nella mostra il nome kalaallisut per parlare della sua
madrepatria (cioè la terra dei kalaallit), questo testo
applica la parola Kalaallit Nunaat invece di "Groenlandia",
che in alcuni casi può essere interpretata come
una traccia ancora presente del colonialismo.
Inuuteq Storch, Rise of the Sunken Sun, Danish Pavilion, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Image credit Inuuteq Storch
Necromancer
48 fotografie in bianco e nero.
Montate su plastica acrilica trasparente.
Un negromante è uno sciamano che comunica con i morti e può fare profezie sul futuro.
Scattate durante la pandemia del Covid-19 in Danimarca,
Canada, Svezia e Kalaallit Nunaat, queste fotografie
trascendono le loro origini temporali e geografiche
grazie alla manipolazione di contrasti a grana grossa
da parte di Storch, che evocano un’atmosfera oscura,
quasi distopica. All’interno di queste cornici prevalgono
la desolazione e l’abbandono, evocando associazioni di
mortalità e impermanenza, alludendo, al tempo stesso,
all’esistenza di forze oltre la comprensione umana.
La serie di Storch si rifà alle origini della fotografia e
alla percezione del mezzo come qualcosa di magico; riuscire
a catturare e tenere il soggetto davanti all’obiettivo
fotografico sembrava una stregoneria. Le immagini
che ne risultavano avevano una qualità eterea, simile ad
apparizioni spettrali. Questa percezione alimentò in maniera
piuttosto comprensibile un senso di inquietudine
tra i primi soggetti, i quali temevano che la macchina
fotografica potesse rubare loro l’anima o che il fotografo
nutrisse intenzioni sinistre.
In
Necromancer – in italiano,
Il Negromante -, i soggetti
sono stati sottoposti ad un processo di purificazione, attraverso
cui tutti gli elementi bianchi sono stati rimossi
dalle fotografie originali. Stampati su plastica acrilica
trasparente, sembrano librarsi, proiettando sottili ombre
sulle pareti.
Attraverso lo sdoppiamento e il rispecchiamento, le immagini
sembrano come iscritte nell’oscurità piuttosto
che nella luce. In questo modo, Inuuteq Storch assume
il ruolo di uno “spirito guida” della fotografia, navigando
il fascino mistico del mezzo e invitando gli spettatori ad
esplorare gli spazi liminali tra ciò che è visibile e ciò che non lo è.
Inuuteq Storch, Rise of the Sunken Sun, Danish Pavilion, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Image credit Inuuteq Storch
Soon will
Summer be over
56 fotografie in bianco e nero e a colori.
Stampe digitali su superficie lucida, montate su Dibond.
Qaanaaq è la città più settentrionale di Kalaallit Nunaat e una delle città più a nord del mondo. Qaanaaq fu uno degli ultimi luoghi di
Kalaallit Nunaat ad essere colonizzato (1910-30 circa) e attirò quindi
l’attenzione di spedizioni, scienziati e fotografi danesi che cercavano
di indagare e documentare quella che consideravano la cultura
Inuit “autentica”.
A Qaanaaq vivono meno di 700 abitanti. Nell'estate del 2023 hanno ricevuto la visita del 'fotografo Storch', il quale si è temporaneamen te integrato nella comunità, creando stretti legami con coetanei, famiglie e cacciatori.
Per Storch, l’incontro umano ha la precedenza e la fotografia
si adatta di conseguenza, garantendo che i soggetti
si sentano a proprio agio di fronte all’obiettivo fotografico.
Tuttavia, la presenza di Storch ha anche uno
scopo documentaristico, come è evidente nella selezione
delle immagini della mostra presentate in un formato
fotografico piuttosto convenzionale: stampate, montate
ed esposte sulle pareti.
Il linguaggio figurativo delle immagini comprende una
gamma diversificata, da abitazioni, interni e paesaggi a
persone che chiamano Qaanaaq la propria ‘casa’. All’interno
delle mura delle proprie abitazioni, dettagli come crocifissi
e motivi cristiani servono come evidenti ricordi della
storia coloniale. Qaanaaq porta le cicatrici dei trasferimenti
forzati, in particolare quello del 1953, quando ventisette
famiglie di cacciatori kalaallit furono sfollate per far spazio
alla base aerea militare statunitense di Thule, proprio negli
stessi terreni di caccia ancestrali di Uummannaq.
Le splendide fotografie all’aperto documentano la lotta
in corso per preservare le pratiche di caccia e pesca
in un clima in continuo cambiamento. Qui la fotografia
assume sia il ruolo di testamento che di invito all’azione.
Eppure, nonostante tutte le sfide, Storch riesce a catturare
momenti toccanti di scambio intergenerazionale, ritraendo
così incontri rispettosi tra un fotografo più giovane
e una generazione più anziana e vulnerabile alle prese con
le pressioni della modernità. Sebbene molti metodi di caccia
tradizionali persistano nel nord di Kalaallit Nunaat, lo
spettro del cambiamento climatico incombe, influenzando
sia la vita quotidiana che le pratiche tradizionali.
Il titolo,
Soon Will Summer Be Over –, Presto
Sarà l’Estate Finita -, divergendo intenzionalmente
dalla sintassi inglese convenzionale per rispecchiare la
grammatica kalaallisut, allude alla brevità dell’estate
nel circolo polare Artico. Tuttavia, allude anche ad un
imminente epilogo, che si tratti della crisi climatica o
del collasso ecologico. A Qaanaaq si mantiene viva una
profonda venerazione per la natura, un riconoscimento
della sua immensa importanza e della necessità urgente
di agire come suoi guardiani.
Inuuteq Storch, Rise of the Sunken Sun, Danish Pavilion, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by Ugo Carmeni.
At home
We belong
22 fotografie in bianco e nero montate all’interno di light box.
Si tratta della prima serie fotografica di Storch, composta originariamente da venticinque
immagini, scattate principalmente nella sua
città natale di Sisimiut, la seconda città più
grande di Kalaallit Nunaat, situata sulla costa
occidentale, che conta circa 5.000 abitanti.
At Home We Belong – in italiano,
A Casa Ci
Sentiamo Appartenere – emerge come una risposta
diretta alle rappresentazioni esoticizzanti
e stereotipate di Kalaallit Nunaat e dei
suoi abitanti da parte di estranei. Attraverso
il suo obiettivo, Storch cerca di presentare
alcuni scorci dei suoi immediati dintorni che
risultano non solo sorprendenti, ma peculiari
e più sfumati.
Le singole immagini all’interno della serie
fungono da tableaux, l’uno indipendente
dall’altro, e presentano oggetti e figure prevalentemente
contestualizzate all’interno
di paesaggi e di ambienti all’aperto. Nonostante
la loro autonomia individuale, queste
immagini sono unite da una sottile gradazione
di luce: un progressivo oscuramento
che nel complesso intesse un filo narrativo
coeso. Questa progressione può essere letta
sia come il divenire di vari momenti che si
svolgono durante una giornata sia come la
rappresentazione di vari stati mentali che
ricorrono con una frequenza ciclica.
Nello spazio espositivo, le immagini sono disposte
in una fila di light box – in italiano,
scatole luminose – creando una linea di luce
che rievoca l’orizzonte e che affascina e guida
il viaggio dello spettatore verso l’ampia
sala principale dell’edificio.
Inuuteq Storch, Rise of the Sunken Sun, Danish Pavilion, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by Ugo Carmeni.
Sunsets of
Forgotten moments
2 proiezioni video a canale singolo, scansioni digitalizzate di
fotografie analogiche, risalenti al 1940 circa al 2000 circa.
Questo vasto archivio risale ai nonni di Storch, che senza dubbio
provenivano da contesti socioeconomici molto diversi: il
suo nonno paterno era un prete mentre quello materno,
un falegname. Queste fotografie di famiglia riflettono i
loro mondi distinti. Da questa giustapposizione emerge
un panorama ricco di potenziali interpretazioni, accessibili
anche all’osservatore esterno. Come viene spesso
riconosciuto, ciò che è personale è al tempo stesso intrinsecamente
politico; gli aneddoti personali, così come
gli avvenimenti locali, si intrecciano insieme a narrazioni
nazionali e internazionali più ampie.
Il titolo della serie,
Sunsets of Forgotten Moments – in italiano,
Tramonti di Momenti Dimenticati -, trasmette l’idea
che i ricordi fugaci, sull’orlo dell’oblio, hanno la capacità di
riaffiorare momentaneamente come scorci. Ma sottolinea
anche il profondo aspetto filosofico della fotografia, per
cui il mezzo, catturando il motivo su materiale fotosensibile,
immortala momenti che altrimenti svanirebbero.
Nel corso della storia, la fotografia è stata associata a
sentimenti di perdita, ed anche di malinconia. Questa
accezione trova eco nel titolo di Storch,
Sunsets of Forgotten
Moments, dove si fa specifico riferimento alla tradizione
familiare di guardare i tramonti da una collina
locale con suo nonno, che soffriva di demenza.
Nella presentazione delle immagini, scorrono in sequenza
centinaia di motivi, impossibili da catturare nella
loro interezza. Compleanni, vigilie di Natale, cene e feste
paesane si fondono con scene di vita quotidiana: case,
soggiorni, biciclette nuove, battute di caccia e cimeli di
famiglia. Escursioni in montagna, sfilate per le città e
panorami sereni sul mare si mescolano con istantanee
di aerei e traghetti. Ci sono pose impacciate per la macchina
fotografica, espressioni giocose per il fotografo,
ritratti da cabine fotografiche, scatti in studio in bianco
e nero e istantanee ingiallite e sbiadite. Amici e vicini,
coppie, fratelli, nonni e bambini popolano le cornici – e,
occasionalmente, un giovane Inuuteq Storch.
Vite e destini si intrecciano in una narrazione visiva
dove il racconto cronologico diventa soltanto una lente
attraverso la quale osservare il tempo. L’installazione diventa
un flusso di immagini, in cui l’esperienza di ogni
spettatore viene modellata dalle percezioni di ciascuno
e dalle impressioni che scorrono fugaci.
È evidente che il valore culturale e socio-storico della
fotografia si estende ben oltre le immagini catturate dai
fotografi professionisti. Invece, spesso risiede nell’ambito
della fotografia amatoriale, o di quella vernacolare,
dove trovano voce le esperienze delle popolazioni
emarginate, trascurate o intenzionalmente messe a tacere
dalla storiografia tradizionale. All’interno di queste
istantanee private e personali, si trova un arazzo di storie,
piccole e grandi, che contribuiscono a rendere viva
la storia di Kalaallit Nunaat.
Mentre ricercatori e funzionari hanno documentato Kalaallit
Nunaat e la sua gente attraverso il loro obiettivo
fotografico, sono gli album di famiglia e le fotografie
del tempo libero che fungono da serbatoi per una moltitudine
di narrazioni, dando forma ad una storia del
patrimonio culturale di Kalaallit Nunaat in continua
evoluzione.
Inuuteq Storch, Rise of the Sunken Sun, Danish Pavilion, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by Ugo Carmeni.
Keepers ofF
the ocean
37 fotografie a colori montate all’interno di light box.
Montata all’interno di light box – in italiano, scatole luminose
– come fosse la sequenza di un montaggio cinematografico, questa
presentazione rispecchia dal punto di vista formale lo stesso numero
di immagini selezionate per il progetto successivo,
Mirrored –,
Rispecchiati.
Le immagini rappresentano soltanto una selezione della serie più
ampia che è stata pubblicata integralmente nel libro fotografico
Keepers of the Ocean – in italiano,
I Guardiani
Dell’Oceano – nel 2022.
Come At Home We Belong, questa
serie è stata scattata principalmente a Sisimiut, la città
natale di Storch, sottolineando con ricercata insistenza
il valore di ciò che è locale e della fotografia come parte
integrante della comunità.
Le fotografie istantanee e profondamente intime di Storch
mettono in risalto le qualità tattili delle diverse superfici
e dei materiali: vestiti, neve, pelle, capelli, cibo, metallo,
porcellana. Insieme, queste fotografie funzionano
come una sorta di autoritratto sia di Storch che della sua
comunità. Alcune immagini si avvicinano così tanto che i
volti e gli oggetti non risultano più messi a fuoco, anche
se creano un’esperienza corporale di esseri presenti.
In una delle fotografie, si vede un edificio verde in legno,
di poca altezza, con l’insegna “Konditori” (Pasticceria),
e che è tuttora gestito dalla famiglia Storch. La maggior
parte delle foto ritraggono gli amici più
stretti di Storch – che escono, mangiano, o si
divertono ad una festa – e, in teoria, potrebbero
essere state scattate ovunque. Di tanto
in tanto compaiono immagini strane, quasi
inquietanti, più difficili da decifrare.
Alcuni motivi ci inducono a prendere in considerazione
nuovi sguardi e punti di vista,
come una finestra su una facciata di legno
blu con una tenda a motivi rosso/bianchi,
quasi completamente tirata verso l’interno.
Chi sta osservando fuori e chi può guardare dentro?
Infine, diverse immagini degli interni rivelano
dettagli personali, culturali e storici,
come una natura morta con una lampada,
uno specchio, figure in pietra ollare, porcellane
del marchio
Danish Royal –, I
Reali Danesi – e un piccolo barattolo di vetro
con minuscole bandierine di carta danese e kalaallisut.
Senza risultare né esplicite né didattiche,
le fotografie di Storch sottolineano però la
natura ibrida dell’identità contemporanea
kalaallit, che si mantiene intrecciata assieme
grazie a influenze provenienti da tempi e luoghi diversi.
La cerchia di amici di Storch vive in una società
postcoloniale; molte delle loro scelte
culturali, sociali e politiche sono espressioni
di un rapporto consapevolmente decoloniale
nei confronti della Danimarca, mentre altri
tra di loro, come lo stesso Storch, cercano
con altrettanta insistenza di definire la propria
cultura, sviluppando pratiche estetiche
che non sono definite principalmente dal
passato coloniale, ma che traggono invece
ispirazione dalla cultura locale, Inuit o persino, globale.
Inuuteq Storch, Rise of the Sunken Sun, Danish Pavilion, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Image credit Inuuteq Storch
Mirrored
37 scansioni digitalizzate montate su light box, provenienti da
negativi originali su vetro risalenti agli anni 1880-1930.
Montata su light box come fosse una sequenza di un montaggio
cinematografico, questa presentazione rispecchia dal punto di vista
formale lo stesso numero di immagini selezionate per il progetto Keepers of the Ocean.
John Møller (1867-1935) è stato il primo fotografo
professionista di kalaaleq.
Nella sua vita si è mantenuto
principalmente grazie alla sua
attività di fotografo, e alla ritrattistica
di danesi, europei e kalaallit.
Ci ha lasciato però anche
fotografie di spazi all’aperto e di
ambienti interni, che comprendono
persino scene ambientate
nella propria abitazione.
Le fotografie di Møller offrono
uno sguardo accattivante sulla
società kalaallit durante l’era coloniale,
in un momento storico in
cui era caratterizzata da profonde
trasformazioni.
Dopo la sua morte, una collezione
di circa 3.000 negativi su vetro
fu donata al Nunatta Katersugaasivia
Allagaateqarfialu (Il Museo
e l’Archivio Nazionale della Groenlandia).
Quasi un secolo dopo,
Storch ha meticolosamente scrutinato
la collezione, nutrendo un
profondo legame con il lavoro di
Møller. Perciò, ha digitalizzato
una parte significativa di queste
immagini, mostrandone una selezione
curata nel libro
Mirrored –,
Rispecchiati.
Møller, conosciuto come Ujut in
kalaallisut, aveva iniziato la sua
carriera insieme a suo padre, Lars Møller,
presso la tipografia di H.J. Rink di Nuuk. Nel
1887, proseguì ulteriormente gli studi a Copenaghen,
padroneggiando la fotografia, la
fabbricazione di lastre e l’incisione su zinco.
Al suo ritorno a Nuuk, si unì nuovamente
alla tipografia, dove nel 1889 fu fondata la
Godthaab Photographic Institution. Møller
rimase lì fino al suo pensionamento nel 1927,
dopo il quale continuò i suoi progetti fotografici
in maniera indipendente.
Al di là della sua passione per la fotografia,
Møller nutriva un vivo interesse per le tecniche
di caccia e la natura, in particolare per
l’ornitologia, come evidenziato dal motivo ricorrente
degli uccelli imbalsamati nelle sue
fotografie. Ha anche contribuito a spedizioni
come interprete e fotografo, esplorando regioni
fuori Nuuk, tra cui il sud di Kalaallit Nunaat.
La curatela da parte di Storch delle fotografie
di Møller non è motivata esclusivamente
da un interesse storico o fattuale. Piuttosto,
la sua selezione è guidata dal fascino visivo
evocato dalle immagini. Comprendendo diverse
immagini che raffigurano individui e
luoghi non identificati, l’attenzione di Storch
si concentra sul fascino estetico dei motivi
ricorrenti, delle espressioni e dei gesti che
evocano sia immaginazione che empatia, andando
oltre le barriere temporali e spaziali.
Con il titolo
Mirrored, Storch sottolinea una
riflessione tra passato e presente, un concetto
ulteriormente accentuato nell’installazione
del Padiglione, dove le immagini di Møller
sono giustapposte alle fotografie contemporanee
di Storch di Keepers of the Ocean. Questa
giustapposizione mette in risalto dettagli,
espressioni e stati d’animo che altrimenti
potrebbero sfuggire all’attenzione.
La selezione che Storch fa delle immagini di
Møller è costituita prevalentemente da ritratti
di danesi, messi in scena da Møller all’interno di
un set fotografico. Pertanto, Møller, e di conseguenza
anche Storch, rivolgono effettivamente
il loro sguardo verso chi non è originario del
luogo: amministratori coloniali, preti, membri
delle spedizioni e scienziati come l’esploratore
Peter Freuchen e il filologo e ricercatore della
cultura Inuit William Thalbitzer.
Attraverso il “rispecchiamento” che Storch fa
con le sue fotografie, non solo si inverte temporaneamente
quella gerarchia di sguardi
stabilita dai ritratti di Møller, ma si crea uno
sdoppiamento forse più intricato, equilibrato
e persino giocoso. Queste situazioni di rispecchiamento
possono essere interpretate come
imitazioni sottilmente satiriche o provocatorie
dei rappresentanti del potere coloniale
– una strategia non distante dal mimetismo
suggerito dalla teoria decoloniale. Tuttavia,
l’installazione offre una moltitudine di interpretazioni,
riflettendo quello che può considerarsi
l’approccio tipico di Storch, ovvero di
astenersi dal fare una dichiarazione artistica,
che potrebbe risultare univoca. Al contrario,
invita gli spettatori ad esplorare le immagini
e le connessioni consentite dalle giustapposizioni
create all’interno dello spazio.
Inuuteq Storch, Rise of the Sunken Sun, Danish Pavilion, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by Ugo Carmeni
Padiglione della Danimarca alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia