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Centro Pecci
Jacopo Benassi
Vuoto

 
Jacopo BenassiJacopo Benassi. Vuoto, 2020. Installation view at Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. © photo Ela Bialkowska, OKNO studio



VUOTO
Dialogo

Artext - “Vuoto” il titolo della tua recente mostra al Centro Pecci di Prato a cura di Elena Magini, a cosa fa riferimento, ad un azzeramento, ad una percezione differente del reale?

Jacopo Benassi - Al vuoto che ho creato in studio che mi sta facendo riflettere su tutto il mio lavoro.

A - Il tuo studio come installazione riflette la tua idea di arte che si ricostituisce in uno spazio museale e così diventa esposizione...

JB - Mi fa sentire sempre meno fotografo e molto più Artista che usa la fotografia.

A - Il soggetto e l'altro è la tua modalità linguistica primaria per mettere in relazione corpi e spazio?

JB - Io entro nella vita personale dei miei soggetti ma facendomi notare non come un ladro, lo spazio è il Museo. Io quando fotografo penso sempre ai busti Romani dentro un Museo.

A - Quale è la relazione che stabilisci, conscia e inconscia con quanto fotografi...

JB - Non penso ACTION DIRECT! Odio le idee, cerco sempre di non premeditare le mie azioni e forse per questo che a volte fatico nel rimanere dentro gli schemi.

Jacopo BenassiJacopo Benassi, BLONDIE Debbie Harry 2009


A - Come avvicini i soggetti che fotografi, cosa chiedi?

JB - Li voglio conoscere, in certi casi chiedo un ritratto e rubo 30 secondi, ma questo anche con i personaggi famosi. Una volta fotografai Ronaldo (Inter) che mi diede 15 secondi, e io gli dissi, me ne servono 10.

A - Cosa metti in gioco, cosa catturi? Qual'è il soggetto in senso esteso che emette o assorbe luce?

JB - Io prendo l’anima poi la porto in officina e la trasformo in opera.

A - Perché preferisci l'incandescenza? cosa vedi quando fotografi?

JB - Vedo semplicemente il flash che sbatte sui loro corpi, mi da un senso di cattura.

A - Dei personaggi celebri che fotografi non cerchi sempre di restituire il "sex appeal" dalle tue fotografie, piuttosto hai una disposizione documentaria o derealizzante...

JB - Le persone celebri sanno già come mettersi, sanno già come vogliono venire, anche se io li brutalizzo con il flash, difatti molte volte non li fotografo perché non si fanno fotografare. Le celebrità sono facili da fotografare mi annoiano. Ne fotografo sempre meno ormai preferisco fotografare me stesso, fotografando me fotografo tutti.

Jacopo BenassiJacopo Benassi, Crack | © Jacopo Benassi


A - Sostieni "mi sento molto più scultore o comunque più vicino a un artista concettuale rispetto alla figura del fotografo".
Perché ti piace la scultura? Cosa realizzi o ricomponi?

JB - La mia fotografia oggi fa parte di un lavoro dove c’è il legno, il gesso, il vetro e dove colpisco ad accettate le mie cornici e taglio i vetri o dove creo supporti che sostengono le mie foto - per me sono sculture.

A - Quale paragone faresti tra la pratica della fotografia e la scultura? Entrambi i medium vogliono fermare il movimento o il tempo?

JB - Non mi sento di fermare il tempo ma di far nascere un qualcosa che ho dentro, perciò che continua a vivere.

A - Da alcune tue pose (in stampelle) definiresti te stesso scultura vivente?

JB - Quella foto è stata fatta ispirandomi ad una scultura in restauro in Francia.

Jacopo BenassiJacopo Benassi, Benassi plays Benassi, 2018, performance.


A - Ho sentito per la prima volta parlare di te in relazione ad un concerto/spettacolo dei Kinkaleri - Play For Subject, Microphone And Target 1/3/2012 | Btomic, La Spezia.
Ricordi quella esibizione? Cosa agivi?
Cosa era Btomic per te..

JB - Il BTOMIC è stato lo spazio più interessante che ho gestito e frequentato di tutta la mia vita. E' stata una palestra e se ora faccio performance è grazie al Btomic. I KINKA hanno fatto questo show come se fossero una vera BAND, ricordo solo che da lì non ci siano più lasciati!

A - Il tuo senso e gusto musicale si è formato dai concerti al Btomic?... 'confrontandoti con artisti della scena underground provenienti da ogni parte del mondo’

JB - Direi di si mi hanno formato e sono in gran parte diventati grandi amici e collaboratori.

A - Quando hai iniziato a fare le performance? Cosa agivi, il tuo corpo, il suono, la fotografia?

JB - Ho iniziato per un esigenza fisica, amo la danza ma non so danzare, amo la musica ma non so suonare. La fotografia nella performance mi permette di danzare cadendo sugli strumenti, suonandoli. La performance sta diventando sempre di più parte di me!

A - Puoi raccontare di Benassi plays Benassi, la performance multimediale che porta questo titolo?

JB - Io che mi suono con un microfono e documento in tempo reale con un radiocomando l’azione del mio corpo che si spoglia e suona in un crescendo di suono fino che diventa una sinfonia noise. Il progetto è stato fatto con Khan of Finland che poi ha rimixato il progetto per il disco, in un lato lui, nell’altro Jochen Arbeit degli Einsturzende Neubauten.

Jacopo BenassiJacopo Benassi/Kinkaleri, No Title Yet 2016


A - Come è nata l’idea della collaborazione Kinkaleri/Benassi per No title yet?

JM - È nata da una mia richiesta di fare una performance con loro, dove la fotografia fosse la drammaturgia e la scenografia della performance - e loro hanno realizzato il mio sogno.

A - Quali le relazioni pubblico/performer di queste azioni frutto di improvvisazioni?

JM - Si, io mi baso sull’improvvisazione, mi piace sorprendere il pubblico e coinvolgerlo nella performance, se dovessi recitare una parte in un live non riuscirei.

A - Come ciascuno di voi si inserisce nel processo creativo e come è organizzato il materiale di ripresa?

JM - Con i Kinkaleri si discute animatamente sempre ma in maniera costruttiva, è uno stato libero con delle regole fondamentali, quelle dello spettacolo che loro sanno gestire benissimo. I progetti che faccio con i Kinkaleri sono progetti editoriali, come ho già detto, cioè non sono performance che dopo un tot di anni devi cercare il materiale in giro per pubblicarlo, no lo facciamo da subito.

A - Come definiresti la tua fotografia in questo contesto, quando sperimenti la foto in diretta..

JM - Non la definisco è solo documentazione in tempo reale che mi fa entrare dentro la performance. Penso sempre di essere in prima linea come un fotoreporter in guerra, ho quel tipo di approccio, forse è un mio sogno che non ho voluto mai realizzare, ecco sì, mi sento in prima linea e devo essere veloce e non pensare troppo.

Jacopo BenassiKinkaleri+Benassi, Once More 2020, Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci


A - Le tue azioni ed i movimenti indicano la creazione di un legame aperto e condiviso, che tendono a creare forme di presenza reale, sono mondi possibili ed immaginari…?

JM - Mondi reali che esistono, io sono lì e vi tocco vi prendo! L’immaginario mi spaventa... non so, mi condiziona. Lascio tutto al fato, cado e mi rialzo, se penso cosa possa riflettere la gente in quel momento preciso mi cago adesso, ma in realtà quando sei lì ti senti Jim Morison.

A - Once more performance, presentata per la prima volta a Roma per Short Theatre, cosa vi si agisce e in cosa si differenzia dalle precedenti realizzazioni?

JM - Ci poniamo come rocker sulla scena, la viviamo come due veri musicisti che dialogano tra loro e il pubblico. In questa performance noi ci fotografiamo mentre 'No title yet' è nella reazione della gente che vediamo. Qui c’è una sorta di auto narcisismo specialmente nel finale, tipo un red carpet dove facciamo le pose da vere rockstar. Once More è una performance che mano a mano che la facciamo cresce!

A - Once more si sviluppa come un circuito di relazioni e d'azioni che si intrecciano...

JM - E' un'azione reale, come una bomba che esplode in una palazzina, noi dobbiamo agire in quel momento.

A - Come evolve la vostra idea di allestimento dello spazio e di scena primaria? (di un qui ed ora, la nudità, dolore, durata e un’idea scrupolosa di “autenticità")

JM - Cambia sempre rimanendo però dentro degli schemi, è un percorso destinato ad evolversi, dove la fotografia e il flash suonano insieme agli strumenti che invece URLANO! Il nostro è un progetto editoriale, un libro un disco e a molto altro ogni volta.

A - Esiste una generazione del tutto nuova che non considera la performance né la sua storia definitivamente codificata. Quale è il tuo pensiero sulla performance come modello di attività pluridisciplinare ('è un campo aperto in cui esibirsi, letteralmente’).

JM - Per me è un mondo nuovo e lo affronto con la mia fotocamera, è lei che mi aiuta ad affrontare il pubblico, non mi guardo mai dietro perciò non so se la performance non è considerata dalle nuove generazioni. AI GIOVANI D’OGGI CI SCATARRO SU! Cit. (Aferhours)

Jacopo BenassiJacopo Benassi. Vuoto, 2020. Installation view at Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. © photo Ela Bialkowska, OKNO studio


Jacopo Benassi, 1970, La Spezia.
Nel 2019 ha esposto il progetto CRACK in due personali, a CAMERA – Centro italiano per la fotografia di Torino e al Festival Fotografia Europea 2019 a Reggio Emilia. Nello stesso anno ha tenuto una personale al Palazzo Bentivoglio di Bologna a cura di Antonio Grulli, Bologna Portraits. Alla fine del 2016 ha pubblicato il libro Gli aspetti irrilevanti, pubblicato da Mondadori e di cui è co-autore assieme a Paolo Sorrentino: il regista vincitore di un premio Oscar ha creato 23 piccole storie partendo da 23 ritratti di Jacopo Benassi. No Title Yet! è uno spettacolo di fotografia e performance creato con I Kinkaleri. Nel 2014 è stato presentato un magazine edito dallo stesso Benassi, prodotto al Palais de Tokyo di Parigi in collaborazione con Le Dictateur di Milano. Ha collaborato con il direttore artistico Federico Pepe a COCO, un progetto di musica e videoarte. Dal 2013 al 2015 ha esposto per tre edizioni al Si Fest di Savignano sul Rubicone. Nel 2011 ha esposto in una mostra personale alla galleria Zelle a Palermo. Ha aperto Talkinass Paper and Records e prodotto magazine e CD live di artisti della scena underground. Ha collaborato con registi e scrittori come Paolo Sorrentino, Daniele Ciprì, Asia Argento e Maurizio Maggiani. Nel 2010 ha preso parte a No Soul for Sale con Le Dictateur alla Tate Modern di Londra, un evento curato da Maurizio Cattelan e Massimiliano Gioni. Nel 2009 la 1861 United Agency ha pubblicato una monumentale monografia di Benassi: The Ecology of Image. Sempre nel 2009 ha preso parte a FotoGrafia - International Festival of Rome. Nel 2007 ha esposto nella mostra Vade retro. Arte e omossessualità, da von Gloeden a Pierre et Gilles, curata da Vittorio Sgarbi e Eugenio Viola. Ha collaborato con numerose riviste in Italia e all’estero. Nel 2005 ha partecipato a Aphotography alla Changing Role gallery a Napoli e nel 2006 - 2007 ad Artissima, Torino.


 

Jacopo Benassi
Vuoto
a cura di Elena Magini
8 settembre / 10 gennaio 2021
Centro Pecci
@ 2020 Artext

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