United States Pavilion
Joan Jonas "They Come to Us without a Word"
United States Pavilion, Giardini della Biennale
They Come to Us without a Word.Installation view.
In occasione della 56. Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia. Jonas, pioniera del video e della performance, occupa interamente le cinque gallerie del Padiglione con una nuova video installazione, che include disegni ed elementi scultorei.
They Come to Us without a Word deriva da un lavoro precedente, Reanimation, presentato per la prima volta come performance nel 2010 al MIT, dove Jonas ha insegnato per quindici anni. Reanimation era in parte ispirato alle opere dello scrittore islandese Halldór Laxness e alla sua descrizione poetica del mondo naturale.
They Come to Us without a Word ruota intorno all’idea di fragilità della natura in un contesto di rapido cambiamento. Ogni spazio rappresenta un soggetto specifico, come le api o i pesci. Frammenti di storie di fantasmi tratti dalla tradizione orale di Cape Breton, in Nova Scotia, sono inclusi in una narrativa non lineare che si sviluppa da una sala all’altra. “I fantasmi sono vivissimi in quelle terre, come in tutto il resto del mondo”, afferma Jonas. “Siamo abitati da fantasmi, le stanze sono abitate da fantasmi”.
In ognuna della quattro stanze del Padiglione si trovano due videoproieizioni – una dedicata al tema centrale di quella stanza e l’altra al racconto dei fantasmi – che costituiscono il filo conduttore lungo gli spazi espositivi.
Una serie di specchi autoportanti ondulati, ideati da Joan Jonas e prodotti appositamente da artigiani di Murano, sono disposti nelle stanze a fianco dei suoi caratteristici disegni e di una serie di aquiloni, insieme a una selezione degli oggetti usati come arredi scenici nei video. Questa disposizione crea la sensazione di trovarsi dentro a un set. Altri specchi coprono le pareti della stanza circolare del Padiglione, dove al centro è sospesa una struttura simile a un lampadario con appesi vecchi cristalli veneziani. L’ambiente riflette chi guarda e l’esterno dei Giardini, intervallati da immagini video. Nel cortile, un’opera composta di tronchi agganciati l’uno all’altro, provenienti dalla vicina Isola della Certosa, rimanda ai temi della mostra.
They Come to Us without a Word. Installation view.
Joan Jonas ha realizzato i video a New York lo scorso inverno, durante una serie di workshop con bambini dai cinque ai sedici anni che si sono relazionati a fondali video girati perlopiù nei paesaggi canadesi della Nuova Scozia e di Brooklyn a New York. Tra i materiali usati compaiono anche alcuni dei primi video dell’artista.
Jonas ha composto la colonna sonora di They Come to Us without a Word utilizzando estratti di musiche di Jason Moran e canzoni del cantante Sami norvegese Ánde Somby. L’illuminazione è ideata per la mostra dal light designer Jan Kroeze.
They Come to Us without a Word. Video Still. © Joan Jonas
Joan Jonas
“Nonostante l’idea del mio lavoro ruoti intorno alla questione di come il mondo stia cambiando così rapidamente e radicalmente, essa non è affrontata in modo diretto o didascalico” ha dichiarato Jonas. “Essa è evocata poeticamente nel lavoro attraverso il suono, le luci e l’associazione di immagini di bambini, animali e paesaggi”.
“Ho sempre amato l’arte. Sono sempre stata assorbita dal mio stesso atto di vedere dipinti, video, sculture, film, architettura e tutte le arti performative, fin tanto che ho memoria. Ho studiato la storia dell’arte e della scultura, imparando da dove tutto ha un inizio. Prima di iniziare a creare performance, sono stata incuriosita dai rituali delle altre culture, a come sopravvivono nel presente e a come sono sorti nel passato, rimanendo nel mito e nella storia dell’uomo. Ritengo infatti che la performance non sia altro che un rito contemporaneo. Sebbene, però, io sia stata influenzata da altre culture e dal passato, il mio lavoro esiste e permane nel presente, diventando appartenenza di questo tempo”.
Presented by the MIT List Visual Arts Center
Commissioner and Co-Curator: Paul C.