Józef Robakowski I Am Electric 1996–2005 video
Il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci presenta la prima retrospettiva in Italia di uno dei massimi rappresentanti dell'arte e del cinema sperimentale polacco, Józef Robakowski, dal titolo Più vicino – più lontano, a cura di Bożena Czubak.
Józef Robakowski (Poznań, 1939) è artista e autore di film, video, installazioni, performance e fotografie, ma anche animatore culturale e teorico d’arte. Ha coordinato alcuni dei movimenti artistici fondamentali della seconda metà del Novecento, dal Collettivo Zero-61 (1961-1969) che si è ispirato alla tradizione del montaggio metaforico utilizzato dal cinema d’avanguardia, al Laboratorio per la Forma Cinematografica (Warsztaty Formy Filmowej, 1970-1977).
Animatore del movimento artistico progressista polacco, la sua ricerca l’ha portato a interrogarsi sul linguaggio, la meccanica e il materiale filmico, unendo a questi elementi un interesse verso la tradizione concettuale d’avanguardia filtrata attraverso la lente dell’autenticità e dell’identità personale.
Intervista con Marina Abramović
Fabio Cavallucci
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Fabio Cavallucci - Credo che tu abbia incontrato per la prima volta Robakowski al De Appel ad Amsterdam, un centro per le performance, l'installazione e la videoarte. Tu lavori principalmente nel campo della performance, mentre Robakowski si occupa di film e videoarte. Ti ricordi di sovrapposizioni nei vostri rispettivi interessi?
Marina Abramović - Tutti quelli che vanno al De Appel stanno facendo qualcosa di sperimentale o nuovo, qualcosa all'avanguardia, qualcosa che non è convenzionalmente accettato dalla società in quel momento. Quindi questa era la cosa che avevamo in comune. Per me Robakowski era un uomo rinascimentale, si interessava a tutto: fotografia, collage, pittura. Mi sembrava un filosofo, parlava di tante modalità diverse di lavorare, mentre io ero più focalizzata su un singolo aspetto. Per me era semplicemente troppo! Era questa la mia percezione.
Józef Robakowski Nearer – Farther 1985 video
F C - Le vostre strade si sono incrociate in occasione di alcune mostre. Nel 1979 entrambi avete partecipato alla mostra Work and Words al De Appel. L’esposizione era stata presentata come un “confronto tra artisti provenienti da Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e Paesi Bassi che condividono una sensibilità comune”. Hai notato un approccio comune che ti ha permesso di entrare in dialogo con la pratica di Robakowski?
M A - All'epoca c'erano tanti elementi in comune tra Robakowski e me, e anche con l'intero gruppo collegato al Centro per gli Studenti in Bulgaria. Una delle prime ricerche di Robakowski, risalente alla fine degli anni ‘60, riguardava l'esposizione del soggetto della fotografia senza mostrare la fotografia stessa; era veramente una dichiarazione significativa. La mia carriera artistica è iniziata nel 1971 con la mostra Dragularium presso il Centro Culturale (dragularium significa “piccola cosa”). L'idea era che gli artisti presentazione gli oggetti che gli avevano ispirati senza però mostrare l'opera stessa. Uno ha esposto la porta del suo studio, dicendo che aveva avuto l'ispirazione mentre la apriva. Un altro ha portato una radio, dicendo che la ascoltava mentre lavorava, e poi ha annunciato radiofonicamente la mostra mentre noi lo ascoltavamo. Un altro ha presentato la sua fidanzata, dicendo che faceva sempre l'amore con lei prima di andare nel suo studio. Un altro è venuto con delle vecchie coperte, visto che andava sempre al suo studio per dormire. Fino a quel momento io dipingevo nuvole, ma da lì in poi ho smesso di dipingere e non mi sono mai guardata indietro. C'è un'altra cosa interessante da sottolineare per quanto riguarda le somiglianze, ovvero quando Robakowski usasse nel suo lavoro gli elementi provenienti dalla sua biografia e della sua vita personale. Nel 2012 ha realizzato un film intitolato Lentiggini (Freckles), in cui parlava di come, da bambino, tutti lo deridessero a causa delle sue lentiggini. Questo tipo di racconti, che potrebbero sembrare divertenti o semplicemente degli aneddoti innocui, possono rivelare delle esperienze infantili molto traumatiche. Ho lavorato con la mia infanzia nel documentario Life and Death of Marina Abramovic e devo dire che la mia infanzia è stato il momento più infelice della mia vita. Quindi l'opera di Robakowski ha alcuni aspetti umani molto semplici che sento vicini e che si collegano al mio lavoro.
Józef Robakowski, Paul Sharits In collaboration with Wiesław Michalak Attention: Light! 2004 video
F C - Robakowski è stato un fondatore del Workshop of the Film Form, un collettivo polacco noto per la sua critica al cinema ufficiale e all’establishment culturale in generale. Ricordando i suoi incontri con te, sottolinea la tue critiche feroci nei confronti di qualsiasi compromesso. Come percepisci la sua presa di posizione critica? Ha influito sulla vostra amicizia?
M A - No, sono state delle conversazioni molto animate. Probabilmente sembrava che stessimo litigando, ma è semplicemente il modo in cui la gente slava discute. E penso che in realtà lui stesse dicendo più o meno il contrario. Era radicale a suo modo, ma era interessato a così tante cose diverse. Io no. Mi interessava solo una cosa: la performance e come questa potesse far superare i propri limiti fisici e mentali. Adesso i tempi sono cambiati e anche le condizioni performative si sono modificate. Ora sto creando un istituto basato sulla ri-performance, in cui le persone possono eseguire di nuovo dei lavori fondamentali del passato. Si potrebbe dire che questo rappresenti un rinnegamento della mia precedente posizione radicale, ma il cambiamento del mio atteggiamento proviene da una lunga esperienza. Se non dai alle persone la possibilità di rieseguire il tuo lavoro, questi lo faranno comunque con o senza il tuo consenso, quindi a questo punto è meglio gestire il tutto in modo più controllato.
F C - Alla fine degli anni Novanta tu e Robakowski avete partecipato la moto Body and the Beast, che esplorava il tema del corpo dell'artista come mezzo di espressione essenziale. Hai iniziato con la Body Art dell'inizio degli anni Settanta, spingendo il corpo oltre i suoi limiti fisici e mentali. Come consideri le opere di Robakowski dello stesso periodo?
M A - Per me all'epoca era una questione essenziale e la situazione era molto chiara: ogni artista ha un medium espressivo fondamentale e deve attenersi ad esso. Il mio medium era il corpo e il medium di Robakowski era il film. C’è una somiglianza fisiologica tra il corpo e la videocamera, e lui con il suo medium affronta cose molto simili a quelle che ho esplorato con le mie performance in relazione al pubblico. Sono profondamente interessata al lavoro di Robakowski e la sua produzione mi piace molto. Penso che sia un artista molto importante e, se non fosse vissuto in Polonia ma in Occidente, ora sarebbe molto più conosciuto. Credo che la sperimentazione sia veramente importante. Conosci Michael Snow? Lavora con il cinema lavora ed è citato in ogni libro di storia dell'arte. Robakowski meriterebbe sicuramente lo stesso status, perché i suoi esperimenti erano all'avanguardia e il suo lavoro è unico e originale.
Più vicino – più lontano, a cura di Bożena Czubak.