La pratica artistica di Jacopo Miliani tocca come tematiche principali la ricerca dell’identità, la
performatività, l’universo queer, la relazione tra il linguaggio verbale e l’espressività del corpo. Attraverso
una metodologia interdisciplinare, il suo lavoro si espande su diversi media dalla performance art al disegno e
dal video alla scrittura; è infatti autore e curatore di alcuni libri su temi inerenti la performance. Dopo
diverse produzioni audiovisive ha voluto intraprendere un’esperienza nel linguaggio cinematografico proprio
attraverso il progetto La Discoteca (2021).
Fiorentino di nascita si forma al DAMS di Bologna e al Central Saint Martins College di Londra. I suoi lavori
sono stati presentati in gallerie e spazi museali in Italia e all’estero. Ha lavorato con diversi performers tra
cui Jacopo Jenna, Annamaria Ajmone, Sara Leghissa, Antonio Torres, divaD, Benjamin Milan, Mathieu
LaDurée, Eve Stainton. Per i suoi progetti a carattere interdisciplinare ha collaborato con il regista Dario
Argento, lo scrittore Walter Siti, i fashion designers Boboutic, il produttore musicale Jean-Louis Hutha e la
semiotica Sara Giannini. Ha al suo attivo mostre personali e collettive in diversi spazi espositivi tra cui:
GUCCI Garden Cinema da Camera, Firenze (2019), GAMeC, Bergamo (2019), Centro per l'arte contemporanea
Luigi Pecci, Prato (2019), Galeria Rosa Santos, Valencia (2018), Palais de Tokyo, Parigi (2017), David Roberts
Art Foundation, Londra (2017), Kunsthalle Lissabon, Lisbona (2016), ICA studio, Londra (2015), MADRE,
Napoli (2011), Studio Dabbeni, Lugano (2014 e 2010).
La discoteca
Jacopo Miliani
Frammenti
Il mio lavoro guarda alla performance come pratica e come metodologia, quindi la differenza, il non essere mai uguale, è alla base della mia ricerca. Non credo però che sia possibile descrivere questa differenza.
... per alcune performance, il suono è quello del corpo che si muove, bisogna saperlo ascoltare.
Jacopo Miliani, La discoteca, film still, 2021.
L’idea di fare un workshop come prima fase di lavoro per un film nasce dall’esigenza di calare fin da subito il linguaggio della performance dentro quello del cinema. Per questo motivo
CASTING per LA DISCOTECA è stato un esperimento in cui i tempi dilatati del workshop incontrano le necessità di delineare dei personaggi precisi e caratterizzati. Per fare questo non sono partito chiedendo ai singoli partecipanti una possibile definizione della loro identità. Nel primo esercizio Casting Reverse-mode ho chiesto loro di fare a noi le domande sul progetto del film e attraverso le mie risposte ciascuno si è fatto un’idea personale de La discoteca che non è stata da subito condivisa. In questo modo si è invertito l’ordine: non è chi ospita a porre degli interrogativi a chi entra nello spazio, ma l’ospitalità si crea abitando il luogo. Per dare enfasi a questo processo, la successiva presentazione di ciascun performer (
Dark Casting) è avvenuta a occhi chiusi favorendo così non solo l’emissione della voce, ma l’ascolto del corpo che ti è vicino: il buio aiuta a essere consapevole di non sapere chi è l’altro che ti sta accanto. A partire da questo assunto di non conoscenza e dall’ascolto si crea la possibilità dell’ospite: una parola ambigua che indica sia chi ospita che chi viene ospitato. Questa parola per me è alla base del processo educativo che non deve azzerare i ruoli, ma ricontestualizzarli attraverso una dinamica di scambio e trasformazione continua.
Jacopo Miliani, La discoteca, film still, 2021.
Successivamente abbiamo iniziato a lavorare con la musica (ho utilizzato dei pezzi composti dalla DJ, artista e amica Chiara Fumai) come propulsore di gesti e espressioni. Dopo questi esperimenti nasce l’idea di introdurre il ballo non come liberazione, ma come negazione. “Nella discoteca del futuro è proibito ballare”: cosa accade al corpo quando viene impartito quest’ordine? Le reazioni dei partecipanti sono state una sequenza di eventi che si creavano al momento: tutti diversi uno dall’altro, impossibili da trascrivere in modo fedele, ma che hanno impostato il lavoro di scrittura del film
Infatti, alla base della scrittura c’è sempre l’esperienza del corpo nello spazio che agisce e crea. Mi ha accompagnato in questa fase la coreografa Annamaria Ajmone, dal momento che ho sentito la necessità di confrontarmi con i performer non solo attraverso un linguaggio fatto di esercizi impartiti verbalmente. Annamaria, infatti, spesso traduceva le mie richieste di condivisione attraverso degli esempi di movimento che venivano ascoltati e si propagavano nello spazio attraverso il corpo dei performer. La dinamica di questa fase del workshop era scandita da una costante ambiguità tra le “regole” imposte e la loro libera interpretazione, per poi sfociare nella completa trasformazione scelta dai partecipanti. L’alternanza tra controllo e de-controllo è per me una componente fondamentale della performance art in cui la creazione avviene proprio a cavallo tra queste due dimensioni. Controllo e de-controllo sono le strutture alla base del progetto “La discoteca” in cui il futuro è visto come una possibilità diversa di agire a partire proprio da una eccessiva regolamentazione. Le regole ci permettono di giocare e di creare una comunità di giocatori che intrepretandole sapranno dare inizio a un nuovo linguaggio espressivo.
Jacopo Miliani, La discoteca, film still, 2021.
La discoteca è un luogo di aggregazione dove entri e non sai bene quel che accadrà. Se, per esempio, vai in discoteca per imbroccare, forse è la volta che vai in bianco. Ho iniziato a scrivere il progetto a dicembre 2019 e ho pensato a una discoteca in cui è proibito ballare. L’idea del controllo e delle proibizioni nasce da un immaginario legato alla crisi delle discoteche gay in seguito all’avvento del virus e alla propaganda che ha condizionato i nostri comportamenti sociali. Quello che pensavo fosse un futuro distopico si è concretizzato velocemente.
Nella costruzione del film La discoteca mi sono appoggiato molto ai miei riferimenti culturali, sono parte della scrittura; i film che vediamo e i libri che leggiamo influenzano il nostro fare.
Nel film ci sono molti giochi di linguaggio e tantissime reference. La discoteca si chiama Babilonia non solo in riferimento alla leggendaria città simbolo della nascita delle diverse lingue, ma è anche un riferimento all’omonima rivista gay (la prima in Italia a essere distribuita nelle edicole) fondata da Ivan Teobaldelli e Felix Cossolo nel 1982.
Quando ho pensato a una tiranna che abitasse dentro il club immaginato nel film mi è venuto subito in mente il nome di Sylvester in quanto regina del dancefloor e pioniera della disco-music. In quel momento stavo leggendo “Crisco Disco” di Luca Locati Luciani. Nel film però non ho voluto lavorare sull’identità, al contrario per me e importante creare dei corto-circuiti identitari e linguistici e quindi ho scelto Eva Robin’s per la parte di Sylvester.
Ho conosciuto Eva quando le ho proposto di partecipare al film.
Nonostante la sua grande esperienza in teatro e al cinema, lei si è affidata molto a me e ci siamo ascoltati a vicenda. Sul set è stata pura… magia!
Jacopo Miliani, La discoteca, film still, 2021.
«La discoteca è il mio primo film e ci sono arrivato con le mie ricerche sulla performance, il corpo e il linguaggio. Diversamente dai precedenti lavori in cui la parola non era presente a livello narrativo, in questa produzione la creazione di una storia è stata la fase iniziale da cui poi sono scaturite molte visioni. La fase di scrittura della sceneggiatura è iniziata attraverso delle immagini personali che avevano la necessità di confluire in una struttura discorsiva e questo è avvenuto grazie all’aiuto della regista e sceneggiatrice Gaia Formenti con cui ho collaborato. Successivamente ho lavorato con la coreografa e danzatrice Annamaria Ajmone per quanto riguarda il movimento e Giancarlo Morieri per la direzione della fotografia. Le immagini si sono fatte parole e poi hanno dovuto trovare dei corpi che le abitassero.
«Non c’è un ordine gerarchico delle cose e per tanto non ci sono filoni prioritari o secondari, ma si tratta appunto di una stratificazione o meglio di un confluire di immagini, sensazioni, emozioni, suoni, colori, abiti, oggetti. Tutto è stato pensato nei minimi dettagl...
Sento inoltre che da questo progetto ho imparato molte cose nuove, soprattutto per quanto riguarda il linguaggio cinematografico che chissà mi piacerebbe continuare a sperimentare, anche se si tratta di percorsi che richiedono tempo, energie e supporto.
Per quanto riguarda il futuro…l’idea di immaginare un futuro distopico nasce proprio dall’esigenza di attingere dal passato per concentrarmi sul presente, senza aspettare ma lasciandomi sorprendere».
Jacopo Miliani, La discoteca, film still, 2021.