La Biennale di Venezia
18. Mostra Internazionale di Architettura
The Laboratory of the Future
Dichiarazione di Lesley Lokko
Agents of Change (
Agenti di cambiamento)
Che cosa significa essere “un agente di cambiamento”? È questa la domanda che ha accompagnato il periodo di gestazione di
The Laboratory of the Future (
Il Laboratorio del Futuro) e che ha fatto da contrappunto e da forza vitale alla Mostra, mentre si sviluppava nell’occhio della mente, dove si trova tuttora, in bilico,
sul punto di nascere.
Negli ultimi nove mesi, in centinaia di conversazioni, messaggi di testo, videochiamate e riunioni, è emersa più volte la domanda se esposizioni di questa portata, sia in termini di emissioni di carbonio sia di costi, possano essere giustificate.
A maggio dell’anno scorso (in occasione dell’annuncio del titolo) ho parlato più volte della Mostra come di “una storia”, una narrazione che si evolve nello spazio.
Oggi ho una visione diversa. Una mostra di architettura è allo stesso tempo un momento e un processo. Prende in prestito struttura e formato dalle mostre d’arte, ma se ne distingue per aspetti critici che spesso passano inosservati. Oltre al desiderio di raccontare una storia, anche le questioni legate alla produzione, alle risorse e alla rappresentazione sono centrali nel modo in cui una mostra di architettura viene al mondo, eppure vengono riconosciute e discusse di rado. È stato chiaro fin dal principio che
The Laboratory of the Future avrebbe adottato come suo gesto essenziale il concetto di “cambiamento”. Nell’ambito di quelle stesse conversazioni che tentavano di giustificare l’esistenza della Mostra, sono state affrontate riflessioni difficili e spesso emotive sulle risorse, sui diritti e sui rischi.
Atelier Masōmī, Process, Photo by: Matteo de Mayda, Courtesy: La Biennale di Venezia 2023
Per la prima volta, i riflettori sono puntati sull’Africa e sulla sua diaspora, su quella cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo. Che cosa vogliamo dire? In che modo ciò che diremo cambierà qualcosa? E, aspetto forse più importante di tutti, quello che diremo noi come influenzerà e coinvolgerà ciò che dicono gli “altri”, rendendo la Mostra non tanto una storia unica, ma un insieme di racconti in grado di riflettere l’affascinante, splendido caleidoscopio di idee, contesti, aspirazioni e significati che ogni voce esprime in risposta ai problemi del proprio tempo?
Spesso si definisce la cultura come il complesso delle storie che raccontiamo a noi stessi, su noi stessi. Sebbene sia vero, ciò che sfugge a questa affermazione è la consapevolezza di chi rappresenti il “noi” in questione. Nell’architettura in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità – dal punto di vista finanziario, creativo e concettuale – come se si ascoltasse e si parlasse in un’unica lingua. La “storia” dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. Ecco perché le mostre sono importanti.
Costituiscono un’occasione unica in cui arricchire, cambiare o rinarrare una storia, il cui uditorio e il cui impatto sono percepiti ben oltre le pareti e gli spazi fisici che la contengono. Ciò che diciamo pubblicamente è fondamentale, perché è il terreno su cui si costruisce il cambiamento, sia a piccoli che a grandi passi.
Adjaye Associates, Kwaeε, Photo by: Matteo de Mayda, Courtesy: La Biennale di Venezia 2023
Exhibition Structure (
La Struttura della Mostra)
The Laboratory of the Future è una mostra divisa in sei parti. Comprende 89 partecipanti, di cui oltre
la metà provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana. L’equilibrio di genere è paritario e l’età
media dei partecipanti è di 43 anni, mentre scende a 37 nei
Progetti Speciali della Curatrice, in cui il
più giovane ha 24 anni. Il 46% dei partecipanti considera la formazione come una vera e propria
attività professionale e, per la prima volta in assoluto, quasi la metà dei partecipanti proviene da studi a conduzione individuale o composti da un massimo di cinque persone.
In tutte le sezioni di
The Laboratory of the Future, oltre il 70% delle opere esposte è stato progettato da studi gestiti da un
singolo o da un team molto ristretto.
Tali statistiche riflettono un cambiamento sismico nella cultura della produzione architettonica in generale e un mutamento ancora maggiore nella partecipazione alle mostre internazionali. L’equilibrio si sposta.
Le strutture si sfaldano.
Il centro non regge più.
Olalekan Jeyifous, ACE/AAP, Photo by: Matteo de Mayda, Courtesy: La Biennale di Venezia 2023
Al cuore di ogni progetto c’è lo strumento principe e decisivo: l’immaginazione. È impossibile costruire un mondo migliore se prima non lo si immagina.
The Laboratory of the Future inizia nel Padiglione Centrale ai Giardini, dove sono stati riuniti 16 studi che rappresentano un distillato di
force majeure (
forza maggiore) della produzione architettonica africana e diasporica. Si sposta poi nel complesso dell’Arsenale, con la sezione
Dangerous Liaisons (
Relazioni Pericolose) – presente anche a Forte Marghera, a Mestre, con un’installazione di grandi dimensioni di Emmanuel Pratt - affiancata a quella dei
Progetti Speciali della Curatrice, che per la prima volta è una categoria vasta quanto le altre.
In entrambi gli spazi sono presenti opere di giovani practitioner africani e diasporici, i nostri
Guests from the Future (
Ospiti dal Futuro), il cui lavoro si confronta direttamente con i due temi della Mostra, la decolonizzazione e la decarbonizzazione, fornendo un’istantanea, uno scorcio delle pratiche e delle modalità future di vedere e stare al mondo.
Tutti i partecipanti di questa Biennale Architettura si esprimono dalla posizione estremamente creativa del “sia/che”, propria di chi abita più di un’identità, parla più di una lingua o viene da luoghi a lungo considerati fuori dal centro. Abbiamo espressamente scelto di qualificare i partecipanti come “practitioners” e non come “architetti”, “urbanisti”, “designer”, “architetti del paesaggio”, “ingegneri” o “accademici”, perché riteniamo che le condizioni dense e complesse dell’Africa e di un mondo in rapida ibridazione richiedano una comprensione diversa e più ampia del termine “architetto”.
Ibrahim Mahama, Parliament of Ghosts, Photo by: Matteo de Mayda, Courtesy: La Biennale di Venezia 2023
Practitioners in the Exhibition (I Partecipanti della Mostra)
Al centro della Mostra, nel Padiglione Centrale, si trovano le opere di alcuni tra i più
rappresentativi practitioner africani e della diaspora africana attivi oggi. Adjaye Associates,
Cave_bureau, MASS Design Group, SOFTLAB@PSU, Kéré Architecture, Ibrahim Mahama, Koffi
& Diabaté Architectes, atelier masōmī, Olalekan Jeyifous, Studio Sean Canty, Sumayya Vally e
Moad Musbahi, Thandi Loewenson, Theaster Gates Studio, Urban American City (Toni Griffin),
Hood Design Studio e Basis rappresentano una panoramica della miriade di ruoli, modelli e
campi in cui ciascuno di loro lavora, insegna e fa pratica. Questi partecipanti costituiscono un frammento della esplosiva comunità di practitioner africani e della diaspora africana che sta ridefinendo il termine “pratica” secondo modalità impensabili fino a un decennio fa.
Liam Young, Photo by: Marco Zorzanello Courtesy: La Biennale di Venezia 2023
Per esplorare ulteriormente l’idea di un’espansione della definizione di architettura, nella
sezione successiva, Dangerous Liaisons (Relazioni Pericolose), allestita nel complesso dell’Arsenale, i
37 partecipanti scelti lavorano tutti in modo ibrido, valicando confini disciplinari e geografici e
sperimentando nuove forme di partnership e collaborazione. Sono presenti singoli practitioner
(Gloria Cabral, Liam Young, Suzanne Dhaliwal, Huda Tayob, Killing Architects); studi di
architettura di medie dimensioni (MMA Design Studio, Kate Otten Architects) e studi di due o tre
persone che combinano in egual misura insegnamento e pratica (Office 24-7 Architecture and
Lemon Pebble Architects, Wolff Architects).
Non mancano studi più grandi che affrontano il tema della decarbonizzazione in modo innovativo (White Arkitekter, BDR bureau & carton123 architecten, Flores & Prats Architects, and Andrés Jaque / Office for Political Innovation), così come
pratiche sperimentali (Gbolade Design Studio, Studio Barnes, Le laboratoire d’Architecture) il cui
lavoro cerca di ampliare la nostra comprensione di ciò che significa decolonizzare la conoscenza e
la produzione. Sono rappresentati progetti provenienti da tutti i continenti (RMA Architects,
Neri&Hu Design and Research Office, ZAO/standardarchitecture, Grandeza Studio, Ursula
Biemann, Gloria Cabral, Paulo Tavares, Studio Barnes, orizzontale, SCAPE Landscape
Architecture, Studio of Serge Attukwei Clottey, Twenty Nine Studio, Low Design Office, AMAA
Collaborative Architecture, DAAR - Alessandro Petti and Sandi Hilal, David Wengrow and Eyal
Weizman with Forensic Architecture and Nebelivka project), nonché da discipline diverse, come il
cinema, il giornalismo d’inchiesta, il riuso adattivo, la bonifica del territorio e la pratica comunitaria di base.
Kate Otten Architect, Threads, Photo by: Marco Zorzanello Courtesy: La Biennale di Venezia 2023
Per la prima volta alla Biennale Architettura, i Progetti Speciali della Curatrice e i Partecipanti
Speciali costituiscono una grande categoria fuori concorso. Sono definiti “speciali” per lo stretto
legame con la Curatrice e i suoi assistenti, che collaborano alla produzione di opere in categorie
specifiche scelte dalla Curatrice a integrazione della Mostra. Tre di queste categorie, Mnemonica;
Cibo, Agricoltura e Cambiamento Climatico; e Geografia e Genere esaminano espressamente il
complesso rapporto tra memoria e architettura (Adjaye Associates with Kiran Nadar Museum of
Art, Craig McClenaghan Architecture, Looty, and Studio & and Höweler + Yoon); tra cambiamento
climatico, pratiche territoriali e produzione alimentare (Margarida Waco, Gloria Pavita, BothAnd
Group) e tra genere, architettura e performance (Ines Weizman, J. Yolande Daniels, Gugulethu
Sibonelelo Mthembu, Caroline Wanjiku Kihato, Clare Loveday and Mareli Stolp).
Una ulteriore sezione, Guests from the Future (Ospiti dal Futuro), presenta 22 practitioner di colore emergenti il cui
lavoro è disseminato nel complesso dell’Arsenale e nel Padiglione Centrale e offre uno sguardo su
chi sarà il probabile architetto del futuro e su quali possano essere i suoi interessi, le sue
preoccupazioni e le sue ambizioni. Black Females in Architecture, Dele Adeyemo, Cartografia
Negra, Ibiye Camp, Courage Dzidula Kpodo with Postbox Ghana, Elementerre with Nzinga
Biegueng-Mboup and Chérif Tall, Folasade Okunribido, Lauren-Loïs, Miriam Hillawi Abraham,
Arinjoy Sen, Faber Futures, Tanoa Sasraku, Riff Studio, Anusha Alamgir, Guada Labs, Banga
Collective, New South, Aziza Chaouni Projects, Blac Spac, MOE+ Art Architecture, Juergen
Strohmayer and Glenn DeRoché sono stati selezionati per il loro lavoro innovativo a tutti i livelli e
in molteplici contesti, dal “reale” all’immaginario e viceversa. I Progetti Speciali della Curatrice sono
sostenuti dalla Ford Foundation e da Bloomberg Philanthropies.
Rhael 'LionHeart' Cape - Photo by: Matteo de Mayda, Courtesy: La Biennale di Venezia 2023
Tre partecipazioni speciali, il regista Amos Gitaï; il primo poeta laureato in architettura
Rhael 'LionHeart' Cape, Hon FRIBA e il fotografo James Morris, si trovano all'Arsenale in
corrispondenza di alcuni passaggi chiave. Qui il lavoro dei partecipanti è sia archivistico sia
esperienziale, integrando le Note a Piè di Pagina della Curatrice che percorrono tutta la Mostra e che
comprendono brevi testi della curatrice e fotografie di Alice Clancy, assistente della Curatrice, e di
Festus Jackson-Davis, membro del team di ricerca e curatore.
Inoltre, per la prima volta in assoluto, la Biennale Architettura includerà il Biennale College
Architettura, che si svolgerà dal 25 giugno al 22 luglio 2023. Nel corso di quattro settimane di
programma didattico, quindici noti docenti internazionali – Samia Henni, Marina Otero, Nana
Biamah-Ofosu, Thireshen Govender, Lorenzo Romito, Jacopo Galli, Philippa Tumumbweinee,
Ngillan Gbadebo Faal, Rahesh Ram, Guillermo Fernández-Abascal, Urtzi Grau, Samir Pandya,
Alice Clancy, Sarah de Villiers e Manijeh Verghese – lavoreranno con cinquanta tra studenti,
laureati, accademici e professionisti emergenti provenienti da tutto il mondo e selezionati
attraverso un processo di Open Call. Ángel Borrego Cubero girerà un documentario dedicato
all’esperienza formativa, che verrà pubblicato nel mese di ottobre di quest’anno. A luglio si unirà
al College un cast internazionale di critici. La Mostra è stata progettata con il supporto degli
assistenti della Curatrice: Emmett Scanlon, Laurence Lord, Alice Clancy e Sarah de Villiers, in
tandem con Fred Swart, che si è occupato del progetto grafico e della visual identity.
Faber Futures, Guests from the Future Museum of Symbiosis, Photo by: Matteo de Mayda, Courtesy: La Biennale di Venezia 2023
Carnival
Il programma della Mostra è arricchito dal Carnival, un ciclo di incontri, conferenze, tavole
rotonde, film e performance durante i sei mesi di mostra, volti a esplorare i temi della 18. Mostra
Internazionale di Architettura che inizierà a maggio 2023 e chiuderà a novembre 2023. Il Carnival è
sostenuto da Rolex, Partner esclusivo e Orologio ufficiale della Mostra. Concepito come uno spazio
di liberazione ma anche di spettacolo e intrattenimento, Carnival offre un luogo di comunicazione
in cui parole, punti di vista, prospettive e opinioni vengono scambiate, ascoltate, analizzate e
ricordate. Politici, policymakers, poeti, registi, documentaristi, scrittori, attivisti, organizzatori di
comunità e intellettuali pubblici condivideranno il palco con architetti, accademici e studenti.
Curare un programma di eventi pubblici è sempre più una forma di pratica dell’architettura che
tenta di colmare il divario tra gli architetti e il pubblico.
Serge Attukwei Clottey, Time and Chance, Photo by: Marco Zorzanello Courtesy: La Biennale di Venezia 2023
The Archive of the Future (L’archivio del futuro)
Come Hemingway, che terminava ogni sessione di scrittura con una frase lasciata a metà, The
Laboratory of the Future si chiude con una domanda aperta: e poi? The Archive of the Future è una
testimonianza visuale dei processi, dei disegni, delle discussioni, delle idee, delle conversazioni,
dei temi sviscerati, delle proposte e delle nuove consapevolezze che collettivamente hanno dato
vita a questa mostra. The Laboratory of the Future non è un progetto educativo. Non vuole dare
indicazioni, né offrire soluzioni, né impartire lezioni. È invece inteso come una sorta di rottura, un
agente di cambiamento, nell’ambito del quale lo scambio tra partecipante, esposizione e visitatore
non è passivo o predeterminato. È uno scambio reciproco, una forma di confronto glorioso e
imprevedibile, da cui ognuno esce trasformato e incoraggiato ad andare avanti verso un nuovo futuro.
Adjaye Associates, Kwaeε, Photo by: Matteo de Mayda, Courtesy: La Biennale di Venezia 2023